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Medicina predittiva. Ioannidis: “Da riscoprire”


È questo il messaggio che arriva dal direttore dello Stanford Prevention Research Center, che grazie alla Fondazione Sigma Tau, sarà il protagonista di due letture a Firenze il 2 luglio, e a Milano il 6 luglio, sulla “Complex partnerships: genome, exposurome e predictive medicine”.

26 GIU - Utilizzare sia i fattori genomici sia quelli non genomici potrebbe essere utile per capire meglio le origini di malattie e realizzare finalmente un nuovo tipo di scienza, la medicina predittiva, grazie alla quale prevedere esiti e individualizzare le misure di prevenzione e i trattamenti. Ma l’avvento della medicina predittiva non è privo di difficoltà e di sfide, e occorrerà “essere molto cauti nel decidere come ottimizzare le conoscenze predittive e come applicarle nella pratica”.
Così John P.A. Ioannidis, titolare della cattedra C.F. Rehnborg di Prevenzione delle malattie e direttore dello Stanford Prevention Research Center alla Facoltà di Medicina dell’Università di Stanford uno dei maggiori esperti mondiali per quanto riguarda la credibilità della ricerca medica.
 
Ioannidis, il cui saggio sul tema “Perché la maggior parte dei risultati sulla ricerca pubblicati sono falsi” divulgato da PLoS Medicine è stato tra i più “cliccati”, sarà ora protagonista anche in Italia di due lecture organizzate dalla Fondazione Sigma-Tau. Il primo incontro si terrà il 2 luglio a Firenze nell’aula magna del rettorato dell’Università, e il 6 luglio si replica a Milano all’Istituto Mario Negri. Tema delle letture, le “Complex partnerships: genome, exposurome e predictive medicine”.
 
Negli ultimi 10 anni, come ha spiegato Ioannidis, sono stati compiuti enormi passi avanti nello studio dell’influsso della variabilità genomica sul rischio di malattie e di fenotipi complessi, ottenendo risultati replicabili. E i progressi nella capacità di misurazione su vasta scala, nella progettazione e nella qualità degli studi e la collaborazione internazionale sono stati fondamentali a questo fine. Contemporaneamente, si sta cercando anche di misurare il cosiddetto “exposurome”, vale a dire l’insieme dei fattori non genetici ai quali siamo esposti. “A queste esposizioni non-genomiche – ha osservato – potrebbero essere adattati e applicati alcuni dei metodi e dei principi che si sono rivelati efficaci nel campo della genomica, ma esistono soluzioni alternative. I modelli che utilizzano sia i fattori genomici sia quelli non genomici potrebbero essere utili per capire meglio le origini di malattie e fenotipi complessi. L’accumulo di informazioni di questo tipo potrebbe portare finalmente a realizzare un nuovo tipo di scienza e di pratica medica: la medicina predittiva”. Insomma, per Ioannis, piuttosto che limitarsi a diagnosticare e curare a posteriori, si potrebbero prevedere certi esiti, per individualizzare le misure di prevenzione e i trattamenti. Tuttavia, ha avvertito: “L’avvento della medicina predittiva non è privo di difficoltà e di sfide, e dovremo essere molto cauti nel decidere come ottimizzare le conoscenze predittive e come applicarle nella pratica”.
 
“La questione fondamentale – ha spiegato a questo proposito Alessandro Giuliani, primo ricercatore all’Istituto superiore di sanità – sta nell’impresa di riconvertire il mastodontico apparato di ricerca sviluppatosi con lo scopo di assegnare un significato ed un ruolo univoci a tutti i geni dell’organismo, nella speranza, poi dimostratasi vana, di avere ‘la chiave definitiva’ della vita. Il nuovo obiettivo è una visione più realistica della biologia, la cui cifra fondamentale è l’interazione fra stimoli ambientali e predisposizioni interne.
 
Di cosa si tratti risulta chiaro leggendo i lavori di John Ioannidis (http://ije.oxfordjournals.org/content/early/2012/03/12/ije.dys003.short): la misura sistematica di indicatori di esposizione acquisibili da matrici biologiche (sangue, urine, ma anche strumenti di monitoraggio ambientale), permette di ottenere degli osservabili da mettere in relazione con descrittori dello stato di salute degli individui, analizzati attraverso tecniche statistiche tutto sommato classiche, ma per troppo tempo dimenticate dalla cultura biomedica.
 
“Il risultato di tutto ciò – ha aggiunto Giuliani – è che “predittivo” non è più l’ingenuo ‘dammi la sequenza del tuo Dna ti dirò il tuo destino’ ma, più correttamente, l’individuazione del contesto di interazione fra organismo ed ambiente che permette di calibrare un giudizio probabilistico sulla congruità delle scelte mediche”. È la scoperta dell’acqua calda ? “Forse in parte – ha concluso il ricercatore dell’Iss – ma la cosa di cui abbiamo più bisogno attualmente nella ricerca biomedica è proprio un ritorno al senso comune ed alla ragione, che mai come ora diventa un atto potenzialmente dirompente”.

26 giugno 2012
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