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Martedì 07 NOVEMBRE 2017
Intervista a Valeria Rappini (Ocps Sda Bocconi): “Redditi alti, più offerta e una maggiore cultura della salute. Ecco perché i cittadini del Nord spendono di più per la propria salute”

La spesa sanitaria privata degli italiani vale 39,5 miliardi. A spendere di più sono le Regioni del Nord, in coda quelle del Sud. In particolare, per quanto riguarda il Fondo Sanitario Integrativo del Gruppo Intesa Sanpaolo, oggetto della ricerca condotta dall’Osservatorio sui Consumi Privati in Sanità (OCPS) della School of management della SDA Bocconi, la spesa pro-capite per assistito al Nord ammonta a 742 euro, che si riducono a 732 euro per il Centro, a 516 euro per il Sud e a 482 euro per le Isole.
 
Ma da cosa dipendono queste variazioni? E cosa indicano? Lo abbiamo chiesto a Valeria Rappini, coordinatrice dell’Osservatorio sui Consumi Privati in Sanità (OCPS) della SDA Bocconi, che in questa intervista ha voluto anticiparci i risultati più significativi della ricerca che sarà ufficialmente presentata il 13 novembre a Milano, in occasione di un convegno dal titolo “La sanità integrativa e la geografia dei consumi in Italia” promosso dalll’Osservatorio sui Consumi Privati in Sanità (OCPS) della School of management della SDA Bocconi, in collaborazione con il Fondo Sanitario Integrativo del Gruppo Intesa Sanpaolo.
 
Dottoressa Rappini, cosa differenzia la vostra indagine da altre precedentemente condotte sulla spesa sanitaria out of pocket degli italiani?
La nostra ricerca si caratterizza per l’utilizzo dei dati di spesa sanitaria intermediata del Fondo Sanitario Integrativo del Gruppo Intesa Sanpaolo. Si tratta di una ricerca di estremo interesse per molte ragioni, ma soprattutto perché l’appartenenza della popolazione osservata a un fondo aziendale, in questo caso un grande gruppo bancario, consente di eliminare molta della variabilità riconducibile ai differenziali di reddito tra regioni e territori così presenti in tutte le indagini sui consumi sanitari privati.
Ne emerge un quadro complesso dove l’idea che sia la scarsa qualità dei servizi sanitari regionali ad aumentare la spesa delle famiglie per beni e servizi per la salute è ampiamente superata dalle evidenze. Tra le Regioni dove la quota di spesa privata dei cittadini è più alta ci sono, ad esempio, Lombardia, Veneto ed Emilia Romagna, i cui servizi sanitari regionali sono spesso presi a modello. Mentre in coda troviamo Calabria, Campania e Sardegna.
Anche nella popolazione degli assistiti del Fondo è osservabile una elevata variabilità nella geografia dei consumi sanitari con alcune interessanti peculiarità rispetto alla popolazione italiana. La spiegazione del divario va quindi ricercata in diverse cause strutturali, culturali e socio demografiche.

Ma perché nelle Regioni dove la sanità è migliore il cittadino decide comunque di spendere di tasca propria?
Le ragioni possono essere diverse. Sicuramente ad influire sono i redditi più alti, che permettono ai cittadini delle Regioni più ricche di sostenere spese extra. Ma una ipotesi che trova sempre maggiori conferme è anche che nelle Regioni dove la sanità è migliore, i cittadini dimostrano maggiore sensibilità per i temi della salute e sono quindi disposti a investire maggiormente sul proprio benessere. Si sottopongono, dunque, a un numero maggiore di controlli, fanno più prevenzione, hanno più cura del loro aspetto, come dimostrano i dati inerenti alla spesa per cure e prodotti odontoiatrici (apparecchi odontoiatrici correttivi, implantologia, ecc.). In Emilia Romagna, ad esempio, abbiamo riscontrato una quota più alta, rispetto alle altre Regioni, nei consumi sanitari (pubblici e privati) dei soggetti giovani, cioè una fascia di popolazione che in linea di massima è più in salute e avrebbe quindi, in teoria, meno bisogno di cure.

Non si può inoltre dimenticare che laddove c’è maggiore offerta e maggiore presenza di strutture, si finisca per avere anche maggiore domanda. La nostra analisi, utilizzando una popolazione relativamente più omogenea per reddito, condizione professionale ed età di quella italiana, indica che fattori strutturali, sociali e culturali riescono a esercitare una influenza rilevante sulla spesa privata in sanità.

Quali sono gli altri aspetti importanti che emergono dalla vostra ricerca?
I dati del Fondo Intesa Sanpaolo confermano come la disponibilità di offerta, tipica dei grandi contesti urbani dove si concentrano strutture e professionisti, si rifletta inevitabilmente sulla domanda. Così anche nella stessa regione le differenze tra grandi capoluoghi e resto del territorio risultano particolarmente significative.

Interessante è stato anche osservare la composizione della spesa sanitaria privata e il peso dei diversi canali di finanziamento (pubblico, privato e intermediato). Nella spesa out of pocket la quota maggiore, pari a circa la metà della spesa, è rappresentata dai beni, come farmaci, prodotti medicali, presidi, occhiali o protesi uditive. Un’altra quota rilevante, circa il 40%, è composta da visite specialistiche ambulatoriali, odontoiatriche, servizi diagnostici e altre prestazioni effettuate da professionisti come infermieri, fisioterapisti, podologi e simili. I servizi ospedalieri, invece, rappresentano la quota più ridotta di spesa sanitaria delle famiglie, ma relativamente più alta quando si guarda alla spesa sanitaria intermediata. Le diverse prestazioni possono quindi essere collocate in un continuum ideale tra prevalenza dei consumi onerosi (riabilitazione e visite specialistiche) e prevalenza dei consumi pubblici (ricoveri).

La rappresentazione della spesa che ci ha appena forniti vale allo stesso modo per il Nord, il Centro e il Sud del Paese?
I servizi dentistici sono quelli che hanno la variabilità maggiore e che sono più collegati all’effetto reddito. Vi si ricorre più in alcune regioni del Nord, quindi. La variabilità si riduce notevolmente invece per i beni e in parte anche per gli altri servizi.

Va poi sottolineato che la variabilità non esiste solo tra Regioni o macro aree del Paese, ma anche tra aree urbane e non all’interno della stessa Regione. Anche in questo caso influisce probabilmente l’offerta, minore in provincia o nelle aree rurali e maggiore nelle grandi città.

In base alla ricerca svolta, quali sono le sue conclusioni in merito al sistema sanitario italiano e alla spesa sostenuta per i suoi cittadini e dai suoi cittadini?
Va anzitutto evidenziato come, nonostante la presenza di un sistema universalistico, un quarto della spesa sanitaria complessiva italiana è finanziata privatamente. Difficilmente ciò può essere semplicisticamente ascritto a una sorta di fallimento del sistema pubblico; infatti, i dati mostrano come la quota di spesa sanitaria privata dell’Italia sia in linea con quella di altri paesi a estesa copertura pubblica (Francia, Germania, Spagna, Gran Bretagna) e la stessa quota risulti maggiore nelle regioni dove il sistema pubblico funziona meglio, rimanendo sostanzialmente stabile nonostante i prolungati anni di contenimento della spesa pubblica (intorno al 2% del PIL).

A differenza di quanto si registra in altri paesi, tuttavia, le forme assicurative volontarie intermediano una parte ancora minoritaria della spesa privata, anche se tale componente è in crescita (soprattutto in termini di popolazione coperta) per la progressiva diffusione delle forme integrative di matrice contrattuale (le stime degli operatori del settore indicano a 4,5 miliardi la spesa sanitaria intermediata e 11 milioni di persone coperte).

Un approfondimento va poi fatto in merito a cosa compone la spesa privata, spesso considerata come un insieme indistinto. Non è così. Una distinzione rilevante dal punto di vista dei consumi è quella tra beni e servizi, i quali assorbono rispettivamente il 46% e il 54% dei 39,4 miliardi di spesa sanitaria privata. A loro volta, i 21,3 miliardi destinati ai servizi, vedono quali voci di spesa significative le cure odontoiatriche (circa 9 miliardi), le prestazioni ambulatoriali (circa 7 miliardi) e i ricoveri per acuti (circa 1,5 miliardi), mentre tra i beni la parte più rilevante è data dai farmaci in senso stretto (8,4 miliardi).

Come detto, inoltre, importanti distinzioni sono operabili anche guardando ai “consumatori”. Oltre al reddito, infatti, altre variabili socio demografiche (quali l’età, la composizione e la dimensione famigliare, il titolo di studio, la posizione professionale e, non ultimo, l’ambito geografico di residenza) possono influire sui livelli e modelli di consumo.

I ricercatori dell’OCPS sono convinti che la sanità debba rimanere un terreno ampiamente caratterizzato da scelte collettive e sottolineano il ritardo nel dibattito sul ruolo che la collettività intende assegnare ai consumi privati. Il tema non è se il privato ha cittadinanza in sanità, ma come assicurare la positiva coesistenza di meccanismi di finanziamento diversi. Disporre di solide informazioni è pertanto fondamentale per lo sviluppo del nostro sistema sanitario e per aiutare l’intera collettività a riflettere su come organizzare nelle forme migliori la risposta a bisogni fondamentali come quelli legati alla salute.
 
Lucia Conti

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