quotidianosanità.it

stampa | chiudi


Martedì 15 OTTOBRE 2019
Mantoan (Veneto): “Autonomia è nel rispetto dell’unità nazionale”

“Il tema del regionalismo sta appassionando il Paese in quest’anno e mezzo. Prima di spiegare perché il Veneto ha fatto questa richiesta permettetemi di fare una premessa. Dobbiamo chiarirci tutti quanti perché sento un po’ di confusione anche da parte di quelli che si definiscono esperti in materia di federalismo”. È quanto ha detto il Dg della Sanità del Veneto Domenico Mantoan.
 
“Da almeno trent’anni – ha specificato - l’organizzazione della sanità è regionalizzata. Dal 2001 è stato fatto un accordo Stato regioni per cui è stato il primo esempio di federalismo dello Stato, la sanità è stata decentrata con un accordo ben preciso per cui lo Stato si è assunto l’onere dei debiti delle regioni fino a quel punto, e da quel momento in poi il motto è diventato chi rompe paga. per cui è nato il tavolo di monitoraggio, i piani di rientro, l’aumento dell’Irpef e via dicendo. Abbiamo il fondo sanitario nazionale e questa è solidarietà per cui le regioni contribuiscono al fondo ognuno in quota parte per la propria ricchezza e poi il Fsn viene diviso in modo equanime. Quindi ogni regione ha il suo tesoretto. Se una regione lo gestisce male non è colpa né dello stato centrale, né del Veneto, né del Fsn ma di una cattiva organizzazione e questa è figlia di chi governa”.
 
“Se l’Italia – ha precisato - è a due velocità la colpa di chi è? Volete tornare ad una sanità gestita dallo Stato centrale? Abbiamo politici in grado di gestire a livello centrale la sanità? nel referendum di Renzi, uno dei temi era proprio il ri accentramento della sanità e sappiamo come è finito. Bocciato. Se andate in Francia ad esempio la concezione Nord, Centro, Sud non esiste è solo italiana. Se i cittadini del Sud vengono al Nord per curarsi, qual è il problema c’è la libera scelta. Se in Francia un cittadino di a Marsiglia va a curarsi a Digione non è un problema. Stesso discorso in Germania, stato federale. Allora decidiamo cosa vogliamo perché essere stato centrale vuol dire avere una forte committenza centrale con una forte gestione centrale”.
 
“Il tema – ha specificato - va affrontato anche un base alla storia di un Paese. Questa è la nostra storia. Abbiamo una di regionalismo. Non è vero che abbiamo 21 sistemi sanitari, ne abbiamo uno che è uguale dappertutto. Poi è vero che c’è quello che funziona meglio e quello che funziona peggio. Il modello organizzativo è uguale in Campania come in Veneto. Perché c’è questa richiesta di autonomia differenziata? Intanto il Veneto confina con una regione a Statuto Speciale e a due province a statuto speciale. Queste realtà non hanno le nostre stesse regole. Per cui mentre in Veneto la spesa pro-capite in sanità che la regione spende per un cittadino è di 1700 euro a Bolzano è di 2400. Gli stipendi di un medico di Bolzano sono il doppio di quelli del Veneto. Quindi noi che gestiamo la sanità Veneta ci dobbiamo confrontare con queste realtà. Stesso discorso se ci confrontiamo con il Friuli. Poi ci sono anche regioni a statuto speciale che hanno problemi enormi sia di organizzazione che di gestione. Quindi il problema non sono solo i soldi ma la capacità di organizzare. Dunque in questo il ministero della Salute deve intervenire che sono dieci anni che è sparito dai radar. Noi, tanto per dirne una, non eroghiamo i nuovi Lea, approvati nel 2017, perché il ministero non ha fatto le tariffe”.
 
“Le manchevolezze dello Stato centrale – ha continuato - vengono ampiamente sottaciute. Questo ci ha spinto a chiedere l’autonomia differenziata. Tutte e tre le regioni che chiedono l’autonomia differenziata cosa chiedono? Non soldi, ma più autonomia organizzativa. Ad esempio per organizzarci con altre università, magari di Lubiana, la gestione delle borse di specializzazione visto che il ministero continua a sbagliare la programmazione. Basta con i tetti di spesa inamovibili che hanno ingabbiato il sistema. La nostra richiesta di autonomia prevede solo maggiore flessibilità organizzativa. Non maggiori soldi. Non vogliamo sottrarci alla solidarietà nazionale. Nessuno mette in dubbio il Fsn. Siamo tutti molto bravi a dire di no. Nessuno ha le soluzioni. Va bene, allora restiamo fermi così? Un sistema che non si rinnova è morto”.
 
“C’è chi dice – ha chiosato - che si sta facendo la IV riforma della sanità, magari dico io venisse una Rosy Bindi in grado di fare una riforma. Siccome non abbiamo una politica forte in grado di fare vere riforme, allora partiamo dal basso. Proviamoci noi. Noi non troviamo i medici che vanno a lavorare in montagna posso avere la possibilità di dare mille euro al mese in più a quelli che vanno a lavorare in zone disagiate dove non vuole andarci nessuno? Naturalmente i sindacati diranno no, perché bisogna che gli stipendi siano uguali in tutt’Italia e allora stiamo fermi. Chiuderemo i Ps per carenza di medici chiuderemo i punti nascita e piano, piano il sistema si affloscerà. L’autonomia che abbiamo richiesto è nel rispetto dell’unità nazionale e della solidarietà”.
 
“Se non ci riusciremo – ha concluso - riconsegneremo le chiavi allo Stato centrale ma non so se le cose andranno meglio perché c’è un particolare: la sanità è la parte più grande del bilancio regionale e per un amministratore, che deve sottoporsi alle elezioni, c’è la necessità di migliorare e il voto al 90% è influenzato dal funzionamento del Ssr”.   

© RIPRODUZIONE RISERVATA