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Giovedì 17 MAGGIO 2012
Babudieri (Simpse): “Una corretta assistenza sanitaria nelle carceri è possibile”

Il peer to peer prende sempre più piede, su internet. Ma questa filosofia di vita può andare bene anche in altri ambiti, e sembra calzare a pennello nella prevenzione e nel controllo delle patologie virali croniche nelle carceri italiane. Abbiamo chiesto a Sergio Babudieri, docente universitario dell’Università di Sassari e presidente della Società Italiana di Medicina e Sanità Penitenziaria (Simpse), di spiegarci da dove viene quest’idea e perché è vincente.
 
“Il problema con i detenuti è che spesso non sono disposti ad ascoltare le disposizioni che gli sembrano imposte dall’alto”, ha spiegato. “La sfida era dunque quella di fargli capire che informazione e prevenzione sono un’opportunità non un’imposizione. Per farlo avevamo bisogno di qualcuno che avesse passato le stesse cose che avevano passato loro, in modo che la ‘formazione’ potesse essere fatta in maniera del tutto orizzontale”.
E i risultati sono stati ottimi. “Abbiamo i dati di meno della metà degli Istituti Penitenziari in cui abbiamo fatto la campagna ma il dato è chiaro: la popolazione dei detenuti ha deciso di ascoltare le indicazioni. Tanto che non solo molte più persone hanno fatto i vari test per scoprire se avevano malattie virali croniche, ma alcuni hanno anche scoperto di essere infetti ed oggi possono accedere alle cure”, ha aggiunto Babudieri.
Lo scopo finale è quello di arrivare a far sì che la maggior parte dei detenuti delle carceri italiane comprenda l’importanza degli screening e li faccia. “Da qualche anno ormai la sanità penitenziaria è passata sotto il Servizio sanitario nazionale. È stato chiaramente un passo in avanti per le nostre carceri, ma che oggi va sostenuto”, ha spiegato ancora il presidente Simpse. “Ciò vuol dire che ad occuparsi dell’assistenza ai pazienti negli Istituti penitenziari sono le Asl disseminate nel territorio, proprio come per tutti gli altri cittadini. Ma questo vuol dire dobbiamo imparare a garantire gli stessi livelli essenziali di assistenza (Lea), sia dentro che fuori dai luoghi di detenzione”.
E la campagna “La salute non conosce confini” serve proprio a questo. “Oggi abbiamo dimostrato che anche in un ambito così difficile queste cose si possono fare”, ha concluso Babudieri. “In un certo senso è anche un messaggio alle istituzioni: alla fine della campagna avremo dati precisi sulla situazione delle malattie virali croniche negli Istituti penitenziari, in quel momento bisognerà – a maggior ragione – approntare un sistema di assistenza efficace e che raggiunga tutti”.

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