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30 SETTEMBRE 2012
Ecco come il farmaco agisce anche sul carcinoma epatocellulare

Il fatto che Tivantinib agisca sul pathway specifico di MET lo rende un ottima opzione non solo per la cura del carcinoma polmonare non a piccole cellule non squamoso, ma anche per tutta una serie di altri tumori. Tra questi anche carcinoma epatocellulare (Hcc), una patologia difficilmente trattabile perché di solito correlata ad altre malattie, come la cirrosi epatica, che ne rendono la cura più complessa.
 
La prognosi dipende ad oggi da diversi fattori (dimensione e localizzazione del tumore, presenza di metastasi, funzionalità del fegato e salute complessiva del paziente), ma ad oggi - nei casi più complessi con presenza di metastatizzazione - esiste una sola terapia: si tratta di Sorafenib, inibitore multichinasico orale, unica terapia sistemica approvata per Hcc, ma che può risultare intollerabile per alcuni pazienti e per questo viene spesso interrotta. Oltre a questa terapia non esiste nessuno standard di seconda linea approvato.
 
Tuttavia Tivantinib, inibitore orale di MET, potrebbe rivelarsi un'opzione interessante
anche in quest'occasione. Il farmaco ha infatti brillantemente superato uno studio clinico di fase 2, dimostrando che il trattamento con questo come agente singolo produce un miglioramento nel tempo di progressione alla malattia del 56%, identificando inoltre una popolazione di pazienti (quelli che presentano appunto errori nel pathway di MET) su cui il farmaco è più efficace. “Ed è proprio questo che rende il farmaco così interessante”, ha spiegato al nostro giornale Bruno Daniele, direttore del Dipartimento di Oncologia e dell'Unità Medica Oncologica di Benevento, che abbiamo raggiunto nella sede del Congresso Esmo 2012. “Selezionare una popolazione di pazienti su cui funziona un farmaco è infatti una cosa buona, sia in termini di effetti che di costi, e soprattutto perché poter dire a un paziente che un farmaco funzionerà su di lui con un certo grado di sicurezza può sollevarlo almeno da una parte dello stress che la sua condizione causa”.
 
Anche in questo caso procedono gli studi: i buoni risultati ottenuti hanno infatti reso possibile uno studio di fase 3 che preveda proprio l'impiego di Tivantinib in pazienti affetti da Hcc e che presentano iperespressione del recettore MET. “Chiaramente c'è ancora qualcosa da migliorare, ad esempio il fatto che fino ad oggi molti studi falliscono proprio perché non riescono ad arginare gli effetti collaterali dovuti alle comorbidità”, ci ha spiegato ancora Daniele. “Ed è anche proprio su questo che vorremmo lavorare”.

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