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Venerdì 01 FEBBRAIO 2013
Cossutta (Snoq sanità): “Ecco da dove partiamo”

Perché “Se non ora quando, Sanità”? Ci sono tanti “perché” – che abbiamo scritto nel nostro “Quaderno dei perché” ma il primo e più importante è perché la sanità pubblica è una conquista irrinunciabile (per tutti ma soprattutto per le donne) e perché questa conquista per la prima volta viene oggi apertamente messa in discussione, attaccandone la sua sostenibilità finanziaria, attaccando il pilastro fondamentale del modello istituzionale del nostro sistema universalistico rappresentato appunto dalla fiscalità generale.
 
Per la prima volta oggi apertamente, ma bisogna dire che da decenni la riforma del 1978 è stata “ferita”, sottoposta a spinte centrifughe. Troppe sono state le ambivalenze, i ritardi, gli errori, le rimozioni: dall’enfasi sul “privato è bello”, a quello sulla totale autonomia regionale (senza vedere i nessi inscindibili tra coerenza del modello organizzativo/gestionale e modello istituzionale), al titolo V votato senza riflettere sui rischi dei suoi possibili effetti sull’aumento delle disuguaglianze, dal ruolo delle Università (ancora “buco nero” nelle scelte di programmazione sanitaria) e della formazione, dalla perdita sempre più vistosa del ruolo della programmazione, della valutazione e dei controlli, all’abbandono di una cultura critica che –per esempio- strettamente collegava la tutela della salute alla tutela dell’ambiente (e il caso ILVA drammaticamente lo dimostra).
Ma oggi l’attacco al modello universalistico è spudoratamente chiaro. Allora, appunto, se non ora quando?
 
E il secondo importante “perché” è che vogliamo far contare il protagonismo delle operatrici e degli operatori, dei professionisti tutti della sanità pubblica. I professionisti sono da troppo tempo “in prima linea”, ma mai “in prima fila”.
 
“In prima linea”, a subire gli effetti della spending review, dei tagli lineari, del blocco del turnover, dell’accanimento contro il Pubblico Impiego, con carichi di lavoro sempre più faticosi, nell’impossibilità di garantire la centralità della persona e della relazione tra paziente e operatore (che invece è elemento essenziale della qualità dei percorsi). Ma mai “in prima fila”: inascoltati, rassegnati, arrabbiati. Eppure la valorizzazione delle risorse umane dovrebbe essere considerata prioritario fattore produttivo; eppure i professionisti tanto avrebbero da dire sull’appropriatezza dei percorsi assistenziali (che è la vera misura dell’efficienza di un sistema), o su come si fa programmazione a partire dall’analisi dei bisogni dei cittadini, o sul perché - per esempio al San Camillo - sta saltando l’integrazione tra i vari livelli assistenziali, trasformando un’ azienda ospedaliera in un ospedale di emergenza, con la riduzione dei ricoveri elettivi, che determina anche riduzione della produttività.
 
Allora, se non ora quando? Alla vigilia delle elezioni politiche e regionali i professionisti della sanità pubblica chiedono conto, giustamente: a Storace, che ha prodotto nel passato 10 miliardi di “buco” e a Monti, che è stato il primo a lanciare il sasso e poi a ritirare la mano, mettendo sul piatto il tema dell’insostenibilità del sistema e l’apertura ad altre forme di finanziamento.
 
Serve una scelta di campo chiara e serve coerenza, rigore, professionalità, volontà politica. Serve che si dica che per il governo complesso della sanità pubblica - per esempio nel Lazio – non ci si può affidare ad organi di consulenza esterna (quelli che hanno prodotto la ormai famigerata nota sulla riduzione del 15% dei bilanci per il 2013), ma che serve conoscenza profonda delle varie specifiche realtà, il coinvolgimento costante delle professioni, la difesa degli interessi generali, la lotta alla illegalità, la promozione di valori etici.
 
Valori che fanno parte non di una cultura “conservatrice”, ma della cultura costituzionale, che promuove i diritti e le libertà di tutti, che riconosce le differenze per non farle diventare disuguaglianze. Una cultura che – non dobbiamo mai dimenticarlo - riconosce nella laicità non un minimalismo etico, ma l’approccio essenziale e modernissimo per leggere il diritto alla salute a partire dalla libertà di scelta consapevole delle persone, di ogni persona.
 
Questa iniziativa vorremmo fosse un inizio, un segnale, un catalizzatore di tante altre iniziative, discussioni, mobilitazioni, per tutti quelli che vogliono difendere la sanità pubblica, che sanno che per difenderla bisogna cambiarla, ma che cambiare non vuol dire tagliare. E che insistono a dire che difendere la sanità pubblica non può significare difendere l’indifendibile: tra cui, per esempio, l’autoreferenzialità dei servizi e dei comportamenti; o anche (tema che nonostante le dichiarazione d’intenti continuamente si riaffaccia) la lottizzazione dei partiti, le spinte hobbistiche e corporative, gli atteggiamenti opportunistici, talvolta anche da parte dei sindacati.
Se non ora, quando?
 
Maura Cossutta

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