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Mercoledì 16 OTTOBRE 2013
“Sanità a 21 velocità”. Sintesi dei risultati e delle proposte

Ecco una sintesi del volume sul federalismo sanitario curato da Lorenzo Cuocolo, Stefano da Empoli, Davide Integlia dell’Istituto per la Competitività.

Tagli lineari. A partire dal 2000, il problema del contenimento degli sprechi in sanità si pone come vexata quaestio carica di contraddizioni. Contenere gli sprechi è una forte e stringente necessità per le istituzioni italiane (sia centrali che locali) in un contesto macroeconomico di crescita del debito e crisi finanziaria. Ma le soluzioni con tagli lineari e i provvedimenti di spending review (D. L. del 06/07/2012) disseminano incertezze rispetto al diritto di accesso universale alle cure e all’assistenza sanitaria, perché si impone con sempre maggiore forza una visione economicista del “problema”.

Differenziazione della spesa tra Regioni. Le evidenze emerse dall’analisi della devianza della spesa sanitaria pro-capite tra le Regioni italiane in un arco temporale che va dal 1990 al 2012, sono quelle di un’inequivocabile differenziazione (innescatasi tra il 1999 e il 2000) nell’ammontare delle risorse allocate dal servizio sanitario nazionale ai cittadini delle diverse regioni. Questa differenziazione è aumentata negli anni successivi al 2000, in particolare tra il 2001 e il 2003.

Italia/Estero. Sulla quota destinata alla spesa sanitaria, le statistiche internazionali smentiscono però che il nostro Paese sia troppo generoso. Nel 2011 il livello medio di spesa sanitaria in rapporto al PIL dei Paesi OCSE si è attestato al 9.3%, mentre l’Italia si posiziona al 9,2%. Anche l’incremento nazionale di spesa osservato nel decennio 2000-2011 è stato inferiore per l’Italia (1,8%) rispetto a quello della media dei Paesi più sviluppati (4,1%). Ciò vale anche per la componente di spesa pubblica (2,3% dell’Italia contro il 4,2% della media OCSE).

Mancato sviluppo di un federalismo maturo. L’occasione di cambiamento degli assetti di potere tra Stato e Regioni rappresentata dalla modifica del Titolo V del 2001 sembra non essere stata sfruttata e ha colto forse impreparate le Regioni stesse. Più che realizzare un incentivo alla riorganizzazione del sistema da parte degli Enti territoriali con l’obiettivo di abbattere i costi e migliorare la qualità del servizio sanitario, il processo federalista sembra aver delegato agli enti territoriali un potere di controllo della spesa. Autonomia sì, soprattutto finanziaria, ma responsabilità poca e non condivisa e, ancora, una scarsa capacità di iniziativa delle Regioni nella riorganizzazione dei piani sanitari, a parte alcune eccezioni.
A fronte della diminuzione del disavanzo sanitario regionale (38,7% nel solo biennio 2010-2011) si contrappone la realtà delle Regioni in Piano di Rientro che hanno performance ancora deludenti pur procedendo verso un graduale miglioramento dei propri conti pubblici. Il decremento del FSN particolarmente accentuato per il triennio 2013-2015 si innesta in questa realtà.

Minor spesa vs miglior spesa. Sembra che il faro che guida le scelte dei nostri policy makers in sanità sia “minor spesa”, mentre il concetto da mettere a fuoco è quello di spesa buona, quindi giusta. Le sfide dei prossimi anni e del costituendo Patto della Salute sono molte. Tra queste spiccano valorizzare la ricerca e l’innovazione e affrontare l’appropriatezza in un contesto di mutamenti demografici che pongono il nostro Paese tra quelli con l’aspettativa di vita più alta a livello mondiale (82,7 anni).

Non tutto è sbagliato. Non tutto è pero da cambiare, best practices regionali insegnano infatti che si può procedere verso la strada giusta con una serie di step: rafforzamento dei servizi destinati alle cure primarie, prevenzione e gestione delle patologie cronico-degenerative, assistenza territoriale adeguata per i soggetti fragili,  accesso alle terapie innovative e protagonismo delle farmacie dei servizi e delle reti di professionisti socio-sanitari. In poche parole, appropriatezza e innovazione sono le parole d’ordine per un rilancio del sistema.

L’Italia penalizza il settore farmaceutico. L’innovazione non può prescinde dagli investimenti in Ricerca e Sviluppo e in questo il nostro Paese molto deve all’industria farmaceutica, settore industriale ad alto valore aggiunto e in grado di creare occupazione qualificata. Gli ultimi dati elaborati dall’Istituto per la Competitività fanno pensare tuttavia che la tenuta del settore sia minacciata: redditività media del settore in calo e inferiore nel 2010 a quella di importanti attori internazionali (Francia e Germania), scarsa competitività del mercato interno, crisi dei consumi che determina una contrazione della spesa. Nonostante i dati sull’occupazione specializzata in R&S siano in calo, il contributo dell’industria farmaceutica all’occupazione del settore industriale, manifatturiero e high-tech, è importante.
Si profila una fuga sempre maggiore verso l’export del settore farmaceutico, penalizzato dall’appesantimento burocratico, dai ritardi nei pagamenti, dai drastici tagli di spesa delle ultime manovre finanziarie. L’innovazione va incoraggiata e non ostacolata, sia per le prospettive del comparto che per migliorare le possibilità di cura dei cittadini.

Spesa sanitaria. Nel ventennio 1992-2011 la spesa sanitaria è aumentata in termini reali del 40,8%. Tuttavia si possono osservare differenti fasi nell’arco del periodo. Nel corso del primo ciclo (1992-1995) si assiste a un decremento successivo all’uscita della lira dallo SME, seguito da due cicli di crescita (2000-2003; 2003-2007). Negli ultimi anni è osservabile una stabilizzazione determinata sia dalla necessità di rispettare i vincoli di bilancio e i parametri europei anche da parte delle Regioni, che dal minore trasferimento dei fondi non vincolati da parte dello Stato centrale. Nei cicli di incremento - a partire dal 1999 - si assiste in particolare a una marcata differenziazione della spesa pro-capite a livello regionale. Se si analizza la variazione territoriale della spesa sanitaria (deviazione standard della spesa nazionale) si constata che il valore schizza verso l’alto in un solo anno (dal 1999 al 2000), cioè prima della riforma costituzionale del 2001, alla quale è dunque imputabile solo in parte (ma deve ascriversi maggiormente alla devoluzione amministrativa della fine degli anni Novanta). L’applicazione del patto di Stabilità (2005), i piani di rientro e la soppressione dei trasferimenti statali alle Regioni dal 2008 riducono prima lentamente (2007) la variabilità regionale della spesa sanitaria per poi stabilizzarla, su livelli comunque elevati, negli ultimi anni. In particolare, la deviazione standard della spesa sanitaria pro-capite in Italia (cioè lo scostamento medio delle Regioni rispetto alla media nazionale) è balzata da una media intorno ai 25 euro negli anni Novanta a circa 200 euro nel 2004, per poi lentamente stabilizzarsi poco sopra i 150 euro.  

Spesa farmaceutica. Nel caso della spesa farmaceutica, la compressione della spesa osservata negli anni ’90 (picco 1994-95) è stata favorita da un’interpretazione restrittiva delle regole contenute nel Patto di stabilità interno, con restringimento dei canali di finanziamento e tagli netti dei prezzi. I tetti di spesa relativi al rapporto tra farmaceutica pubblica (territoriale e ospedaliera) e finanziamento dello Stato (Accordo Stato-Regioni 8 agosto 2001), non hanno valutato le dinamiche endogene della spesa stessa, e sono stati accompagnati- negli anni successivi alla Riforma federalista del 2001 ad altri fattori di contenimento dei costi: incentivazione uso generici, diffusione delle Note CUF, istituzione dei Prontuari Terapeutici.
Un fenomeno analogo a quello della divergenza territoriale della spesa sanitaria, è accaduto con la spesa farmaceutica territoriale, dove la deviazione standard ha superato nel 2006 i 40 euro per poi stabilizzarsi intorno a 30 euro nei due anni di più recente rilevazione (2011 e 2012). Tra l’altro, il dato sulla farmaceutica è ancora più macroscopico in termini relativi (la spesa farmaceutica territoriale infatti incide per molto meno del 20% sulla spesa pro capite sanitaria) e in teoria è ancora meno giustificabile, vista che autorizzazione all’ immissione in commercio e prezzi sono decisi da AIFA. Peraltro in entrambi i casi, è stato sterilizzato il fattore demografico, pesando la popolazione per età.  
Da notare che anche in questo caso, il balzo verso la forte disomogeneità territoriale avviene a partire dal 1999.
La scomposizione dell’indice di Gini per gruppi di Regioni mostra in particolare una concentrazione ineguale della spesa farmaceutica tra queste. E’ evidente che dalla fine degli anni Novanta sia peggiorata la distribuzione della spesa farmaceutica territoriale pro-capite tra le Regioni.
Lo sforamento dei tetti della farmaceutica ha determinato comunque l’intervento dello Stato con una presa in carico delle quote di disavanzo sanitario, in assenza di un quadro normativo e regolamentare uniforme. Il costante abbattimento dei prezzi dei farmaci rimborsabili e lo spostamento dell’onere del finanziamento dal pubblico al privato hanno provocato poi un ulteriore contrazione di risorse per le imprese farmaceutiche e una erosione  dei LEA con aggravio di spesa sui cittadini-consumatori. Le performance degne di attenzione sono state soprattutto quelle della spesa farmaceutica ospedaliera, che emergono nel raffronto con quella territoriale:
Nel primo decennio di riferimento (1992-2000) l'andamento delle due voci di spesa è sostanzialmente simile mentre nel secondo l’aggregato ospedaliera cresce addirittura dell'80% (dieci volte di più della spesa farmaceutica territoriale).

Federalismo e accesso alle terapie. L’avvio della Riforma federalista ha determinato un doppio sistema decisionale nella governance della spesa farmaceutica, assegnando ai livelli territoriali ulteriori margini di contrattazione, con ripercussioni – tra l’altro – sull’accesso alle terapie. A monte del sistema, assume particolare importanza il processo di determinazione del prezzo di riferimento del farmaco – fondamentale per la remunerazione delle aziende produttrici e per l’immissione sul mercato dei prodotti ad alta innovatività terapeutica. In queste circostanze appare quindi fondamentale saper agganciare criteri di rimborsabilità e determinazione del prezzo del farmaco al valore del prodotto (value based pricing), attraverso la valutazione della sua efficacia nel tempo e sulla base della sua capacità nel raggiungere l’obiettivo terapeutico. Il parametro, già utilizzato come criterio di rimborsabilità di importanti terapie innovative come i farmaci oncologici, insieme a quello di condivisione del rischio (risk sharing)  in capo alle aziende produttrici, consente di legare l’efficacia del trattamento alla rimborsabilità. In condizioni di contingentamento di risorse e vista l’attenzione recente da parte del Legislatore (D.l 158/2012) all’eliminazione dei farmaci obsoleti dal Prontuario Terapeutico Nazionale, appare sempre più importante procedere verso meccanismi efficientamento, nella fase valutativa del reference princing. Ciò in combinazione all’attenzione alla sicurezza e trasparenza. Una simile prospettiva è realizzabile anche sottraendo il percorso di valutazione dell’efficacia del farmaco al doppio binario centrale (AIFA) e locale (Regioni) per riconsegnarlo a un’unica autorità decsionale.

Dual governance della politica sanitaria e farmaceutica. La riforma federalista ha determinato una vera e propria dual governance nella politica sanitaria tra Stato e Regioni.  Questa nuova configurazione dei poteri si inserisce nel quadro di razionalizzazione delle risorse, ben evidenziato dall’istituzione dei tetti di spesa  farmaceutica – sia territoriale che ospedaliera – introdotti dall’Accordo Stato regioni dell’8 agosto 2001. In particolare per il farmaco, sono punti di svolta sia la legge 405/2001, che la legge 347/2001, che hanno assegnato alle Regioni rispettivamente competenze sulla determinazione del prezzo di rimborso di farmaci off -patent e sulla distribuzione diretta dei medicinali da parte di farmacie e ASL, per talune categorie di farmaci e pazienti. La legge 405/2001 di attuazione del federalismo fiscale è specialmente significativa perchè attribuisce alle Regioni l’onere della copertura del disavanzo sanitario mediante leva sui tributi regionali, individuazione della compartecipazione dei cittadini alla spesa (ticket) e altre misure di contenimento della spesa che nel corso degli anni si sono tradotte – tra l’altro - in meccanismi di controllo del recepimento dei farmaci nelle strutture territoriali.
 Dal 2004 in poi, la dualizzazione nella governance Stato-Regioni diviene radicale: le norme che più rilevano in tal senso sono quelle che hanno effetti sulla contrattazione del prezzo dei medicinali e sulla remunerazione – ridotta- dell’industria del farmaco. In particolare la Legge 27 dicembre 2006, n.96 che definisce il payback sulla spesa farmaceutica e il D.l. 159/2007, che introduce meccanismi di ripiano della a carico delle aziende, per lo sforamento della spesa territoriale e meccanismi di ripiano a carico delle Regioni, per lo sforamento della spesa ospedaliera, il cui tetto si rivela sin da subito palesemente insufficiente rispetto ai consumi.  Dal 2012 –  accanto alla disposizione di rimodulazione dei tetti di spesa per entrambe gli aggregati (3,2% ospedaliera, 11,5% territoriale), il Legislatore prevede che anche le aziende siano gravate  al 50% del ripiano per lo sforamento della spesa farmaceutica ospedaliera.

Prontuari Regionali, ritardi e non uniforme accesso alle medicine. Nel decennio successivo alla Riforma del Titolo V e ai decreti attuativi emerge con sempre più evidenza l’uso distorsivo che le Regioni fanno dei propri Prontuari terapeutici territoriali proprio ai fini di contenimento della spesa per i farmaci ospedalieri che, di fatto, sono già stati approvati nella duplice fase sia europea (EMA) che nazionale (AIFA) e su cui le Regioni dovrebbero limitarsi a fornire – proprio mediante il Prontuario  - linee guida sull’appropriatezza prescrittiva e le caratteristiche terapeutiche delle molecole autorizzate.  Come evidenziato in un recente monitoraggio I-Com (maggio 2013), l’iter di recepimento del farmaco ha trovato nel potere di contrattazione delle Commissioni terapeutiche regionali un ostacolo che compromette di fatto l’accesso dei farmaci  (sia di fascia H che A come ormai spesso di fascia C) negli ospedali e nelle ASL del territorio nazionale, rendendolo disomogeneo.  Una parziale soluzione è stata trovata con l’Accordo Stato Regioni del 18 novembre 2011 che ha aperto una corsia preferenziale per l’accesso  nei Prontuari territoriali dei farmaci considerati “innovativi” da AIFA. Il D.l. n.158/2012 ha poi provveduto poi a velocizzare l’effettiva immissione in commercio anche dei medicinali approvati con procedura centralizzata.
Al di là di questi provvedimenti, generalmente sembra però che gli strumenti di controllo della spesa – in particolare quella farmaceutica – non tengano in debito conto  la valutazione dell’innovazione e i meccanismi di controllo dell’appropriatezza. Mappature effettuate da CESAV e FIASO nel 2012 e 2013 restituiscono ancora una volta emerge un quadro non uniforme nel recepimento dell’HTA da parte delle 21 Regioni italiane. L’assenza di un benchmark nazionale di riferimento è particolarmente gravosa nel processo di recepimento dei farmaci, che rimane vincolato invece a meccanismi automatici di controllo della spesa che prescindono dal bisogno sanitario. Ciò porta il sistema sanitario –  specie in tempi di stretta economica e instabilità finanziaria- a erogare un’assistenza farmaceutica non adeguata alle esigenze di cura dei cittadini. La questione dell’accesso alle cure e della gestione della spesa farmaceutica nei 21 sistemi regionali di governo, è argomento di dibattito tra i tanti attori coinvolti: decisori nazionali e locali, autorità regolatorie, rappresentanti dell’industria del farmaco e rappresentati  delle associazioni di tutela dei pazienti.

Costituzione di un Fondo Farmaceutico Nazionale – FFN. La regolazione del farmaco sembra sia stata ancor più messa in crisi dalle esigenze di contenimento della spesa nonostante vi sia un paradosso alla base e cioè che il farmaco è l’unico vero bene del servizio sanitario nazionale ad avere già un proprio costo standard.  Per questo motivo sembra opportuno discutere su un’ipotesi nuova di programmazione e gestione di un budget farmaceutico, individuabile in un Fondo Farmaceutico Nazionale. Un meccanismo separato dal Fondo Sanitario, gestito a livello centrale e concepito su una scala temporale di medio-lungo periodo (almeno triennale) per ricondurre sotto un unico cappello, quello dell’AIFA, la governance del farmaco, con le risorse già destinate a spesa farmaceutica territoriale e ospedaliera. La funzione più rilevante del Fondo potrebbe essere l’individuazione di politiche gestionali e logistiche volte ad assicurare la copertura, a condizioni vantaggiose e su tutto il territorio nazionale, delle più importanti macro aree terapeutiche. Ciò non impedirebbe alle Regioni di venir meno al loro fondamentale ruolo di vigilanza su appropriatezza prescrittiva e analisi e raccolta dei dati epidemiologici, al fine di calibrare le cure e le terapie sulle reali esigenze della propria popolazione. Un quadro regolatorio ed economico finalmente stabile agevolato dalla costituzione di un Fondo Farmaceutico Nazionale potrebbe inoltre dare nuovo slancio all’industria del farmaco e rilanciare investimenti e innovazione nel Paese, e innescare un circuito positivo da cui rilanciare – a dieci anni dalla Riforma federalista e in una fase di transizione delicata – il  nostro sistema sanitario.
 

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