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Lunedì 22 NOVEMBRE 2021
Con la pandemia è boom di richieste di riabilitazione logopedica, ma all’appello mancano 10 mila Logopedisti

Presentato il Libro Bianco sulla logopedia: il rilevamento demoscopico ha coinvolto 2.100 tra mmg, pediatri, geriatri, neurologi e fisiatri, intervistati anche ds e dg. Nel nostro Paese ci sono circa 15 mila Logopedisti, 24 ogni 100 mila abitanti, contro una media europea di 40 per 100 mila. Al convegno a Roma anche l’ex Ministra Lorenzin: stakeholders a confronto sul tema della riabilitazione al tempo del Covid e nel futuro.

Boom di richiesta di riabilitazione logopedica durante la crisi pandemica da Covid-19. Non solo dislessia, balbuzie, disfagia, disturbi dell’apprendimento e del linguaggio: con la pandemia le richieste di un loro intervento hanno subito un’impennata (+30%) per la riabilitazione del linguaggio dei pazienti dismessi dalle terapie intensive.

I Logopedisti si sono subito attrezzati, in due modi: attivando un sistema di logopedia a distanza e tele-assistenza molto efficace e varando per primi delle linee guida che sono state subito prese a modello all’estero. Ma tutto questo è avvenuto sulle spalle di una categoria drammaticamente sottodimensionata: basti pensare che nel nostro Paese ci sono circa 15 mila logopedisti, 24 ogni 100 mila abitanti, contro una media europea di 40 per 100 mila. Calcolando 60 milioni di abitanti, mancano all’appello 10 mila professionisti.

È questa la fotografia che emerge dal primo ‘Libro Bianco sulla Logopedia’, un’indagine sul modo in cui viene vissuto il ruolo del Logopedista sia dalle altre professioni sanitarie sia dal management del sistema sanitario. Realizzato dalla società di ricerche demoscopiche Datanalysis, ha coinvolto 2.100 tra Medici di famiglia, Pediatri, Geriatri, Neurologi e Fisiatri e 200 tra direttori generali e direttori sanitari di Asl e Aziende ospedaliere, in tutta Italia. Il volume e l’indagine sono stati presentati oggi a Roma, al Centro Studi Americani (Csa) di via Caetani, dalla Federazione dei Logopedisti Italiani (FLI).

Al convegno di presentazione del Libro Bianco – che ha visto la collaborazione con la SIMEDET e un intervento di presentazione dell’indagine del responsabile di Datanalysis Ivano Leonardi - è intervenuta la parlamentare ed ex Ministra della Salute Beatrice Lorenzin, che ha spiegato: “Grazie per questa analisi così approfondita: senza i dati non si possono trovare le soluzioni più adeguate. Molta strada c’è da fare sulla comprensione profonda dei disturbi del linguaggio e questo l’ho vista nella mia esperienza ministeriale come quando abbiamo lavorato sulla dislessia oppure sull’autismo. Ci sono delle questioni che un po’ per mancanza di conoscenza, un po’ forse per timore o per giudizio non sono ancora inquadrati in dei percorsi nei sistemi sanitari. Manca il termine ‘persona’ con una visione a tutto campo – dall’età evolutiva alla terza età – in una dimensione anche di Benessere psico-fisico. Io so per esperienza personale che l’Italia che sappiamo essere frammentata in realtà regionali lo è su tutta la medicina e lo è in particolare su questo. Tutti i territori soffrono per riabilitazione, tutti soffrono per la presa in carico, e tutti soffrono per la logopedia. Si fatica a stare dietro la crescente domanda. E in alcuni territori questo disagio diventa enorme e ricade sul paziente, anche con liste d’attesa di 2 o 3 anni. E se, per esempio, un bambino affetto da disturbi del neurosviluppo non riceve le cure adeguate, il bambino se le porterà dietro per tutta la vita”.  Il direttore sanitario ha poi “una visione, una percezione che emerge dall’indagine rispetto al direttore generale. Che rapporto ha? – si chiede Lorenzin – il direttore generale per esempio con la scuola?. Se dovessi dire la mia visione come parlamentare è quella che si realizzi una grande riforma della prevenzione, proprio per i temi di questa giornata” e sulla carenza di professionisti occorrerebbe rispondere “innanzitutto con l’individuazione dei fabbisogni, con dati oggettivi, altrimenti il tema della mancanza di personale non riusciamo a farlo in modo completo”.

L’indagine
Il primato dei pediatri, poi medici di famiglia, neurologi e geriatri.
Per quanto riguarda per esempio i medici che ricorrono più spesso al supporto del Logopedista, il primato va ai pediatri di famiglia (il 91% degli intervistati) seguiti dai neurologi ambulatoriali (75%) e dai medici di famiglia (70%). Le problematiche per le quali si è reso necessario l’intervento del Logopedista sono state anzitutto i disturbi primari del linguaggio e quelli specifici dell’apprendimento, su sollecitazione del 25% dei pediatri di famiglia; malattie croniche e degenerative (Parkinson, SLA, etc) sono state invece il motivo per cui circa il 40% dei fisiatri ha chiesto aiuto a uno specialista dei disturbi fonetici. Circa uno su quattro dei geriatri ambulatoriali intervistati, invece, ha ritenuto opportuno avere un supporto di fronte a pazienti affetti da Alzheimer o altre demenze. Da notare come la maggior parte dei mmg e degli altri specialisti intervistati (oltre il 50% del campione) sia sostanzialmente concorde nell’individuare il motivo di fondo per cui si ricorre al supporto di un logopedista: evitare un aggravamento progressivo della patologia dell’assistito.

Le conseguenze del Covid-19: la frenata (-64%) durante la pandemia. Stabili pediatri e neurologi. Anche l’impatto della pandemia sulla collaborazione tra medici e logopedisti si riflette nei numeri dell’indagine: infatti, tutte le categorie di specialisti chiamati a rispondere hanno riconosciuto che il rapporto ha subito una forte frenata (specialmente i geriatri, con il 64%); piccole percentuali hanno invece dichiarato di non aver registrato variazioni di rilievo nel loro lavoro a quattro mani (per esempio i pediatri di famiglia, 16%, e i neurologi ambulatoriali, 13%). E il 43% dei medici di famiglia e la stessa percentuale di fisiatri segnala che il rapporto logopedista-assistito si è interrotto proprio in conseguenza della pandemia, mentre il 51% dei geriatri ambulatoriali racconta di continua sospensioni e riavvii che hanno complicato il percorso di riabilitazione.

L’organico insufficiente. La carenza di organico dei Logopedisti rappresenta un problema concreto per circa un terzo dei medici di famiglia, che per sottolineando l’importanza di questa figura professionale, lamenta il fatto che non sempre sono disponibili perché insufficienti. E di questa stessa idea risulta essere anche una cospicua percentuale dei pediatri di libera scelta e dei geriatri ambulatoriali (26%).

Direttori generali e sanitari. Il 75% dei direttori generali e sanitari considera il Logopedista “molto importante” o “abbastanza importante”; in particolare per far fronte a problematiche quali le malattie croniche o degenerative o l’afasia conseguente a un ictus o a interventi chirurgici. Il 58% dei dg e il 57% dei ds afferma che l’intervento di un logopedista sia strategico per evitare, in prospettiva, un aggravamento progressivo della patologia della persona assistita. Ma anche qui un manager su quattro è costretto a notare che l’attività del Logopedista durante la pandemia si è interrotta o ha subito pause e riprese che hanno causato problemi alla riabilitazione dell’assistito. 

Fernando Capuano, presidente nazionale della SIMEDET ha ricordato “C’è il PNRR, ci sono molti Tavoli tecnici regionali, molti volte i direttori generali non conoscono la ricchezza di determinate professionalità”, il presidente SIMEDET ha riaffermato “la necessità di un approccio multidisciplinare e interprofessionale del nuovo modello organizzativo della Sanità con il PNRR. La formazione delle professioni sanitarie si deve arricchire della multiprofessionalità, occorre fare rete tra sistema pubblico ed accreditato e la presa in carico dell’assistito deve essere garantita in tutte le fasi del PDTA. La carenza di 10 mila Logopedisti non assicura la fase di riabilitazione dei disturbi di linguaggio e dei deficit da long Covid, stroke e demenze”.

Per Tiziana Rossetto, presidente della FLI, il boom di richieste di riabilitazione logopedica durante il Covid ha una spiegazione: “Gran parte dei pazienti che sono finiti in terapia intensiva devono riacquisire alcune capacità primarie. Dopo aver trascorso anche trenta o sessanta in rianimazione, infatti, è necessario per molti, soprattutto se adulti o anziani, seguire un preciso percorso di riabilitazione per ricominciare a parlare, a deglutire o a mangiare correttamente. L’intubazione prolungata, per esempio, ha conseguenze sia sulla fonazione che sulla deglutizione, due specifici campi di competenza del Logopedista. Oppure se non si dà la risposta alla dislessia nel caso del bambino, questo si riflette in fenomeni di bullismo e di isolamento nei confronti del minore che non viene preso in carico”.

All’emergenza Coronavirus i Logopedisti hanno saputo rispondere: “Nel giro di pochissimi giorni dall’inizio del lockdown – ricorda Rossetto -, per esempio, abbiamo avviato la tele-logopedia, che ci ha permesso di garantire una continuità assistenziale a tutti coloro che già seguivano un percorso terapeutico. Inoltre – prosegue – abbiamo redatto, primi in Europa, le linee guida per la gestione del Covid-19, mettendo a punto un documento che né stato preso a modello da diversi altri Paesi, inclusi gli Stati Uniti”. Malgrado questo, i Logopedisti in Italia sono fortemente sottodimensionati, in particolare rispetto al resto del continente:  “E pensare che la nostra professione è ai primi posti nella scelta delle giovani matricole tra le 22 professioni sanitarie. Ma i circa 840 laureati che si registrano ogni anno in Italia non sono abbastanza per colmare il divario con gli altri Paesi”. Le conseguenze vanno a carico del cittadino: “Per fare solo due esempi, le liste d’attesa superano ormai un anno; inoltre – conclude la presidente – adulti e anziani in fase acuta e cronica (quali post ictus con afasia, malattie croniche degenerative, demenze) non possono essere presi in carico malgrado le evidenze scientifiche dimostrino l’efficacia dell’intervento di cura da parte del Logopedista”.

Lorenzo Proia

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