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Giovedì 10 FEBBRAIO 2022
La convenzione impoverisce la medicina territoriale. Per i Mmg meglio la dipendenza



Gentile Direttore,
sono un medico di medicina generale (MMG) favorevole al passaggio alla dipendenza. Ritengo infatti l’inquadramento convenzionale dei MMG un potente dispositivo di impoverimento della medicina del territorio nel nostro Paese e tra le cause del suo mancato sviluppo culturale e organizzativo.
I MMG vengono accusati di essere pagati molto, sbandierando le cifre esorbitanti dei loro cedolini.
 
Sarebbe vero se le cifre presenti in tali cedolini fossero stipendi reali, ciò che finisce nelle loro tasche, anche se lordo. È falso se immaginiamo che quel cedolino rappresenti il budget di una sorta di piccola unità operativa, all’interno della quale il MMG dovrebbe operare. Sarebbe un po’ come se, considerando il budget complessivo di un reparto ospedaliero e dividendolo per il numero dei medici che vi lavorano (dei soli medici, non di tutto il personale), credessimo che tale quoziente sia lo stipendio di ogni medico.
 
La convenzione, in sostanza, fa entrare nella busta paga (o le buste paghe per chi lavora in associazione) di un’unica figura professionale tutte le risorse necessarie a costruire un’unità operativa multiprofessionale. Il cedolino mensile del MMG comprende quindi tutte le spese per il personale, le spese di gestione e di consulenza, tutto ciò che è necessario a mandare avanti quella che, di fatto, è una piccola unità operativa trasformata in impresa. Se seguiamo tale ragionamento, capiamo subito la scarsità di risorse con cui i MMG si trovano a tentare di dare risposte ai bisogni dei cittadini, sempre crescenti alla luce delle transizioni (demografica, epidemiologica e sociale) che investono la nostra società.
 
Questo definanziamento ha avuto importanti ripercussioni sulla composizione delle equipe territoriali, oggi condensate e appiattite sulla sola figura del MMG: poco personale amministrativo, poco infermieristico, assenti o poco presenti le altre figure professionali come fisioterapisti, psicologi, terapisti occupazionali, educatori ecc.
 
A queste si aggiungono le figure manageriali, perché quel budget va amministrato e anche questo richiede tempo. La mancanza di tutte queste figure professionali si riversa sul MMG che si ritrova a diventare una sorta di tutto fare: tutto e inevitabilmente spesso male; un professionista sottoutilizzato in qualità di medico, ma allo stesso tempo affaccendatissimo. Pensare che un MMG lavori solo le ore che è tenuto a dichiarare in virtù dell’ACN è come pensare che i medici di reparto lavorino solo il tempo del giro visita.
 
Come non mi permetterei mai di pensare che le liste di attesa siano dovute alla pigrizia dei colleghi specialisti, non capisco come si possa invece ancora accettare con leggerezza le letture semplicistiche sulla medicina generale. La realtà è che i MMG lavorano quanto gli altri medici (a volte anche di più), ma questo lavoro ha una scarsissima ricaduta in termini assistenziali, traducendosi in un frustrante affaccendamento inoperoso. Il modello territoriale va cambiato non perché i MMG oziano mentre gli altri fanno gli eroi, ma perché è inefficiente e inefficace.
 
Il problema è che la convenzione ha condensato sul MMG la mole di compiti che doveva essere svolto da tutta una serie di figure professionali ora mancanti e ha reso difficile l’integrazione con gli altri professionisti sanitari e sociali presenti. Ciò si è tradotto in un’alienazione del ruolo degli stessi MMG.
 
La convenzione inoltre lascia senza chiari confini la ripartizione delle risorse tra la quota destinata allo stipendio del MMG e la quota destinata a migliorare l’assistenza, per esempio investendo in personale, strumentazione, organizzazione. Ciò crea un conflitto latente tra il diritto del MMG e i diritti dei cittadini assistiti. A causa di questo conflitto, la convenzione delegittima il MMG dal rivendicare ulteriori risorse, lasciando sempre adito al dubbio che le risorse richieste siano destinate a incrementare i suoi guadagni e non invece a migliorare la qualità dell’assistenza. In tal modo condanna il MMG a lavorare con poche risorse e allo stesso tempo a essere continuamente sotto accusa di sottrarre risorse all’assistenza.
 
La convenzione trova tuttavia ancora molti sostenitori tra i MMG. Al netto di chi è interessato ad altro rispetto al miglioramento dell’assistenza territoriale (come chi è preoccupato per la tenuta dell’ENPAM o della perdita di valore del patrimonio immobiliare rappresentato dagli studi medici), esistono molti colleghi che vedono nella dipendenza una minaccia alla loro possibilità di cura.
 
Questi colleghi temono in realtà un’ulteriore perdita di autonomia professionale, fondamentale nel territorio per garantire risposte tarate sui diversi contesti locali. I timori di questi colleghi sono legittimi e richiamano la necessità di un cambiamento complessivo dell’organizzazione dei servizi territoriali e sottolineano la non sufficienza del solo passaggio dal rapporto convenzionale alla dipendenza. Tuttavia occorre comprendere come la convenzione non è affatto la risposta a questa esigenza, garantendo in realtà un’autonomia imprenditoriale e mortificando invece l’autonomia professionale.
 
Oggi abbiamo necessità di un modello di assistenza territoriale basato su equipe multiprofessionali, composte da professionisti sanitari e sociali, organizzate in reti assistenziali coordinate dalle Case della Comunità. Tali equipe devono essere capaci di operare nei territori, rilevandone i bisogni di salute, ed essere dotate dell’autonomia professionale per sviluppare le risposte conseguenti. Il “Libro Azzurro” promosso dalla “Campagna Primary Health Care: Now or Never” ben delinea la necessità di tale cambiamento e la strada per realizzarlo.
 
Superare il convenzionamento dei MMG e, più in generale, giungere a un inquadramento omogeneo, all’interno del Sistema Sanitario Nazionale, dei professionisti che operano sul territorio è premessa indispensabile alla nascita di tali equipe multiprofessionali.
 
Agostino Panajia
Medico di Medicina Generale
Partecipante alla “Campagna PHC: Now or Never” e alla scrittura collettiva del “Libro Azzurro”

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