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Martedì 31 LUGLIO 2012
Errori medici. Giannotti: “Bisogna fare di più. Sicurezza cure sia priorità del Ssn”

I nuovi casi di presunti errori di medici e sanitari registrati nelle ultime settimane in diversi ospedali italiani, da Roma a Napoli ma anche a Verona e Firenze, testimoniano ancora una volta i ritardi del sistema sanitario rispetto al tema della “sicurezza delle cure”. Parla il presidente della Fondazione "Sicurezza in Sanità".

Ne abbiamo parlato con Vasco Giannotti, presidente della Fondazione Sicurezza in Sanità, nata alcuni fa proprio con lo scopo di promuovere metodi e misure di prevenzione e gestione del rischio clinico.
 
Presidente Giannotti, c’è qualche differenza rispetto al passato in questa nuova ondata di “malasanità”?
Ogni caso di presunto o manifesto errore, sia esso dovuto a malpractrice o a malfunzionamento di un apparecchio o a falle del sistema nel suo insieme, rappresenta ovviamente un caso a sé, che come tale va analizzato per ricostruirne la dinamica e soprattutto per evitare che possa ripetersi con le stesse dinamiche, magari tra un mese o tra un anno. Quindi non possiamo fare confronti tra quanto accaduto nei giorni scorsi in diversi nosocomi e quanto verificatosi in altre circostanze. Ma un dato comune esiste ed è nella conferma, purtroppo negativa, dei ritardi e delle carenze nel sistema di sicurezza delle cure.
 
Cioè?
Mi riferisco al fatto che nonostante l’impegno e le numerose iniziative avviate in moltissime realtà sanitarie manca ancora una mentalità radicata sulla sicurezza, che vuol dire monitorare ogni atto sanitario e percorso di cura, adottare protocolli e standard di sicurezza, verificandone costantemente l’applicazione e la funzionalità, in tutte le occasioni. Ma anche programmare e gestire l’aggiornamento e la manutenzione delle apparecchiature. Formare e aggiornare il personale a dinamiche procedurali che pongano l’aspetto “sicurezza” al primo posto in ogni azione o intervento rivolto, direttamente o indirettamente, al paziente.
 
Eppure, di indirizzi e protocolli in tal senso, ne sono stati emanati parecchi?
Sì, ma evidentemente non basta. Occorre fare della sicurezza una regola, direi quasi automatica, nel proprio agire. Una vera priorità nelle politiche e nelle scelte organizzative e gestionali del Ssn. E questo ancora non accade.
 
E la colpa di chi è?
Al di là di quei casi di effettiva malpractice, che alla fine sono rarissimi, non parlerei di colpa. Semmai di responsabilità. E comunque penso che la soluzione non stia nell’individuazione del capro espiatorio, quanto nella ricerca e nella messa in atto di soluzioni concrete.
 
Ad esempio?
Prima di tutto va rafforzato il ruolo del Direttore generale nell’ambito della sicurezza delle cure. È decisivo che l’area del risk management entri nella “stanza dei bottoni” di Asl e Opsedali. Deve far parte a tutti gli effetti dell’attività strategica delle aziende sanitarie. E tra i compiti del Direttore generale devono quindi rientrare anche quelli che attengono alla valutazione dei modelli di prevenzione degli errori e sicurezza adottati dall’azienda stessa, attraverso l’assegnazione di obiettivi e compiti che dovranno poi essere opportunamente valutati.
 
Basterà?
Certamente no. Anche perché dobbiamo fare i conti con un quadro generale che ci obbliga a considerare con molta attenzione gli aspetti economici e le conseguenze di anni di tagli alla spesa sanitaria pubblica.
 
Sta pensando anche agli ultimi provvedimenti del Governo, alla cosiddetta spending review?
 
Non c’è dubbio che anche questa nuova manovra, pur dichiarando nel titolo del provvedimento che dovrà avvenire a “invarianza dei servizi erogati ai cittadini”, ha suscitato forti preoccupazioni. Intendiamoci: l’obiettivo dichiarato (quello della lotta agli sprechi e alle inefficienze) della spending review è giusto e dev’essere perseguito con determinazione. Ma tagliare senza criterio rischia solo di aumentare i costi sociali per i cittadini, senza considerare le ricadute sugli operatori che, a causa dei tagli orizzontali e del blocco del turn over di questi ultimi anni, hanno visto aumentare i carichi di lavoro e lo stress psicofisico. Non a caso gli errori sono più frequenti in estate dove la carenze d’organico sono più evidenti e i turni di lavoro più massacranti. Non sembra opportuno quindi proseguire sulla strada dei tagli orizzontali che non tengono conto delle specificità territoriali. Per attuare una vera spending review, in una materia complessa come la sanità, bisogna perciò affidarsi alle Regioni e alle aziende sanitarie che attraverso la gestione e il monitoraggio costante delle attività sono in grado di adottare misure di risparmio mirate ed efficaci e che tengano conto delle specificità. Ma ancora non basta…
 
Dica.
Come Fondazione per la Sicurezza vorremmo avanzare anche una specifica proposta per la migliore utilizzazione delle tecnologie in sanità. Siamo infatti convinti che lo sviluppo tecnologico può apportare benefici enormi al Servizio sanitario nazionale, anche sul terreno della prevenzione degli errori. La sanità senza innovazione tecnologica non può progredire. Occorre perciò avere determinazione, anche nella predisposizione dei percorsi clinici assistenziali (e mi riferisco per esempio allo sviluppo dell’ospedale per intensità di cura), nel perseguire l’ottimizzazione dell’uso della tecnologia sulla base di progetti di Health Technology Assessment o di progetti precisi e coerenti, anche vincendo le resistenze al cambiamento. Ogni ospedale dovrebbe predisporre sistemi d’identificazione dei pazienti, dei farmaci e dei dispositivi medici. Per esempio, perché non far diventare obbligatorio il braccialetto elettronico per i pazienti ricoverati per rendere sempre tacciabili le informazioni sull’assistito e gli atti clinici e terapeutico-assistenziali a cui è sottoposto?. Una piccola cosa, che però potrebbe salvare molte vite umane. 

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