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Lunedì 24 OTTOBRE 2022
Scuole di medicina e Policlinici universitari: un percorso incompiuto che va definito



Gentile direttore,
negli anni 1973-1997 lo strumento per il funzionamento dei Policlinici Universitari è stato prima il contributo diretto dell’Università e poi lo strumento convenzionale con la Regione. Già nel passaggio allo strumento convenzionale con la Regione si sono verificati i primi problemi di sostenibilità economica, problemi che si sono man mano approfonditi ed aggravati con il passaggio alla legge 517 del 1999, che apparentemente ha fornito una base normativa, ma in realtà ha lasciato ampi spazi di ambiguità e indefinizione. Con la legge 517 nasce l’Azienda Ospedaliero-Universitaria come modello unico, con l’intento di abolire la distruzione tra Policlinici a gestione diretta e Policlinici a gestione mista.

Entro 4 anni tutti i Policlinici, con annesse Scuole di Medicina, avrebbero dovuto essere ricondotti al modello Azienda Ospedaliero-Universitario.

Così non è stato ed attualmente, sul territorio nazionale, si assiste ad una grande eterogeneità organizzativa, con differenti equilibri in rapporto alla visione delle singole Regioni sul ruolo dell’Università, non solo sulla formazione medica dei professionisti sanitari ma anche sul contributo che i Policlinici Universitari debbono fornire nell’ambito della programmazione regionale all’assistenza sanitaria.

Tra gli esempi più virtuosi annovero l’Università La Sapienza: il transito all’Azienda Ospedaliero-Universitaria è avvenuto da molti anni e i docenti ne hanno riscontrato un vantaggio in termini di integrazione con la Sanità Regionale e di impegno della Regione nel sostentamento dei corsi di studio, con una maggiore responsabilizzazione diretta nel funzionamento della componente assistenziale.

La maggior parte dei Policlinici del Sud Italia, fra cui i Policlinici napoletani, versano tutt’ora in una situazione limbica: il tempo si è fermato ai 4 anni di sperimentazione orami scaduti da decenni, come scaduti sono i Protocolli di Intesa dal 2019. La conseguenza è un affanno economico continuo, un difficile equilibrio fra tetti di spesa per il personale, contributo all’emergenza/pronto soccorso, richiesto come requisito obbligatorio per la formazione degli specializzandi, mancanza di fondi per la manutenzione strutturale; insomma, giganti incerottati e perennemente affamati.

Anche il modello Toscano ed Emiliano, basato sulla polverizzazione della componente assistenziale, che viene di fatto ridotta ad attività convenzionata presso le ASL e le Aziende Ospedaliere, ha mostrato grossi limiti: perché sia efficace l’attività di

formazione medica e delle professioni sanitarie occorre una grande integrazione tra attività didattica e attività assistenziale, che non può prescindere dalla sua erogazione in un campus universitario. La polverizzazione riconduce la formazione medica e sanitaria al vecchio “apprendistato” delle scuole di avviamento professionale, con il sacrifico della integrazione armonica, che presuppone una forte sincronia tra Azienda Ospedaliero-Universitaria e Scuola di Medicina.

Né riesumabile è l’arcaico sogno nostalgico dei Policlinici Universitari sostenuti solo dal MIUR (Ministero dell’Università e della Ricerca), che armai da anni tace sull’argomento e di fatto non ha completato neanche i decreti attuativi previsti dalla legge 517, né monitorato l’attuazione del percorso sul territorio nazionale.

Per quanto sopra, il destino delle Scuole di Medicina con i Policlinici Universitari attende ancora una sua definizione, eppure in queste strutture si formano i professionisti sanitari del futuro ed il loro rilancio è interesse stesso delle Regioni, che in quanto sono risorse importanti, anche perché la formazione dei professionisti sanitari, alla luce delle evoluzioni organizzative e tecnologie dell’assistenza sanitaria moderna, devono essere all’altezza delle aspettative ed è quindi interesse di tutti che tale formazione avvenga in un habitat di competenza.

Maria Triassi
Preside della scuola di Medicina dell'Università Federico II

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