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Lunedì 06 MARZO 2023
Perplessità su alcuni decreti "emergenziali": il Re è nudo?



Gentile Direttore,
vorrei affrontare un argomento scomodo, soprattutto di questi tempi, sperando di riuscire a trasmettere il senso della mia perplessità a fronte di alcune "misure tampone" che lasciano larghi margini di ambiguità.

E lo vorrei fare premettendo che tratto un argomento che mi ha visto protagonista sullo stesso versante: quello di un professionista sanitario in servizio (nel mio caso come infermiere cooperante internazionale), in una lunga missione in Egitto, per conto del nostro Ministero Affari Esteri e, in seguito, in due brevi esperienze in Pakistan e Bolivia, al seguito di un team internazionale, fra le prime ONG autorizzate.

Intendo cioè dire che "conosco" per esperienza diretta cosa significa lavorare all’estero, in una realtà dove la lingua del posto non è nota al professionista in servizio.

Il tema che affronto, richiamato da recenti interventi di titolari di RSA, è quello della ‘’sospensione’’, causa Covid, delle regole di autorizzazione all’esercizio sul territorio nazionale per il personale sanitario straniero, sospensione che viene auspicata definitiva e anzi, seguita da sanatorie e accessi facilitati, senza ulteriori controlli sui titoli e sulla conoscenza della lingua italiana.

Sin dal 17 marzo 2020 vennero, con Decreto del Governo Conte II, sospese le normali procedure per l'autorizzazione all’esercizio professionale in Italia di questi professionisti esteri; mentre in precedenza la procedura prevedeva due passaggi: il primo riguardava il riconoscimento del titolo straniero, da parte del Ministero della Salute, mentre il secondo passaggio avveniva da parte degli Ordini professionali territorialmente competenti, e riguardava l’accertamento della conoscenza della lingua italiana.

A valutare era un docente di lettere o, comunque, un esperto accreditato di lingua italiana.

Ora, nel commentare queste normative d’emergenza, si toccano tasti sempre complessi: alcuni, a fronte di semplici osservazioni tecniche sulla questione, nel suo insieme, avanzano accuse di "razzismo"; altri si riservano di proporre – senza questi provvedimenti e vista soprattutto la spaventosa carenza di infermieri nel settore privato- la chiusura delle RSA, con consegna (come fossero pacchi!) degli ospiti al più prossimo ospedale.

Insomma, c’è un po’ di tutto e sicuramente ci sono anche , in mezzo, affermazioni non completamente serene, vuoi per motivi di ‘’ideologia’’, vuoi per motivi di convenienza.

Da anni mi occupo di Risk Management: la stragrande maggioranza dei casi di incidente in Sanità che ho conosciuto, studiato ed analizzato ha dimostrato un difetto di comunicazione alla base dell’incidente. E, lo sottolineo, fra persone di nazionalità italiana, tutte parlanti la stessa lingua.

Insomma, non dico nulla di nuovo quando affermo che la prima causa di errore in Sanità è la comunicazione: interrotta, incompleta, parziale, ignorata, assente, ecc.

In piena emergenza pandemica - marzo 2020 - si è pensato di eliminare un primo passaggio fondamentale, che era quello del riconoscimento del titolo: il Decreto dice che ciò che conta è che il professionista sia ‘’iscritto’’ all’equivalente dell’ordine professionale presso il Paese di provenienza. E qui, insomma, un conto è essere provenienti da una Nazione con un sistema ordinistico esistente, e un conto è appartenere a Paesi che purtroppo vivono ben altre emergenze quotidiane, e un registro di quei professionisti non c’è, o comunque non è consultabile a distanza.

Questo è più importante di quello che potrebbe sembrare, perché non in tutto il mondo ci sono gli stessi percorsi di formazione, e questo vale per ogni qualifica, e non solo per gli infermieri che costituiscono, senz’altro, la componente più ‘’robusta’’ in questa faccenda.

La parte seguente, che è il requisito della conoscenza della lingua italiana, non è proprio un optional.

Qui vorrei essere un po’ polemico: perché il Decreto ha permesso, alla fine, di operare soprattutto - se non soltanto - nella Sanità privata a questi professionisti?

Si ritiene, forse, che siano meno importanti queste valutazioni nelle RSA? Ma un anziano che assume un piano terapeutico politerapico, fatto di molte somministrazioni quotidiane di più farmaci, con molti dosaggi e forme differenti, come e quanto viene compreso da un infermiere proveniente dal Paraguay, o dal Burkina Faso, se non ha alcuna conoscenza della nostra lingua?

Una terapia da 0,5 mg. se viene ‘’letta’’ come terapia da 5 mg. comporta un dosaggio dieci volte superiore: per alcuni prodotti, come la digitale, ciò può tradursi in un effetto letale.

Io non sono razzista: solo conosco il reale rischio che quotidianamente si corre se si lavora in un luogo dove non si conosce la lingua del posto, se non si comprendono le osservazioni dei malati; se non si capisce cosa ha detto un altro sanitario: lo so, perché io l’ho vissuto in prima persona, poichè il nostro inglese non era compreso da tutti gli arabi dell’ospedale in Abbasya, Cairo, e viceversa.

Ora che la pandemia è certamente meno impattante sulle organizzazioni, c’è chi chiede di proseguire col Decreto dell’emergenza, e con gli ingressi "non verificati" perché ci siamo accorti che, senza questo personale, le RSA possono anche chiudere: ecco, il Re è nudo!

In altre Regioni, intanto, stanno anche rivedendo al ribasso gli standard di accreditamento, "autorizzando" ore oss al posto di ore infermieristiche: tutto è legato alla carenza di infermieri, un tema che la FNOPI, le organizzazioni sindacali, e alcune associazioni professionali segnalano da anni.

Non aver voluto affrontare con strategie adeguate il problema ha portato a soluzioni di emergenza (appunto) dalle conseguenze e dalle complicanze incalcolabili, in contesti totalmente divergenti dal controllo del Risk Management, della qualità attesa (che non guardiamo nemmeno più) e dal buon senso più ovvio.

La richiesta è che almeno (almeno!) si organizzino "obbligatoriamente" corsi di lingua italiana prima di inserire nei cicli lavorativi questi professionisti esteri, perché credo che, pur davanti a qualsivoglia emergenza (pandemica o di dotazioni organiche) serva un minimo livello di competenze: capire la lingua del posto dove si esercita l’attività diventa indispensabile, ed è sorprendente che non venga valutata a monte dai Decreti; e ve lo dice uno che ci è passato: ricordo quando, mal comprendendo le parole del panettiere del quartiere del Cairo dove vivevo da poco, acquistai cento chilogrammi di pane (io credevo di aver chiesto "cinque panini").

Fu tale l’imbarazzo che, naturalmente (vista anche la esiguità del prezzo, all’epoca calmierato dal Governo Mubarak) portai via tutto il lotto, riempiendo l’intero cofano dell’automobile…

Francesco Falli
Presidente Ordine delle Professioni Infermieristiche La Spezia

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