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Mercoledì 15 MARZO 2023
I Forum di QS. Sanità pubblica addio? Palumbo: “Aprire una fase straordinaria per il SSN”

Occorre assumere un’iniziativa per fermare la deriva del nostro sistema sanitario. Il persistere del pericolo pandemico e della gravissima crisi assistenziale e la necessità assoluta di avviare per il SSN un percorso rifondativo con interventi aggiuntivi per la resilienza

Partecipo a questo Forum non solo per commentare l’ultimo libro di Ivan Cavicchi ma anche per farne occasione di partecipazione al dibattito sullo stato di gravissima difficoltà in cui versa il SSN.

Questa nota è composta di due parti: la prima per il vero e proprio commento per il Forum; la seconda per operare una riflessione aggiuntiva su un tema che è chiamato in causa dalla parte prima, la Sanità integrativa. Mi riservo nei prossimi giorni di inviare altre riflessioni aggiuntive su altre questioni toccate dal libro di Cavicchi e dal Forum .

Il libro di Cavicchi e il Forum
In queste ultime settimane è cresciuta nel mondo sanitario del nostro Paese (purtroppo meno nella società civile) la preoccupazione di quanto potrà accadere in materia di tutela e promozione della salute in Italia. Paradossalmente ciò avviene proprio nel momento in cui si sta lavorando all’attuazione del PNRR , nel cui ambito si sono adottate sul piano generale e teorico alcune linee di azione con una roboante adozione di parole d’ordine evocanti obiettivi e azioni ampie a complesse (ci riferiamo all’ implementazione nel nostro Paese di iniziative quali quelle rappresentate da One Health, Salute 2020, Agenda 2030) .

La pubblicazione del nuovo libro di Ivan Cavicchi avviene in questo scenario e fin dal titolo esprime una valutazione molto preoccupata della situazione in cui ci troviamo. La crisi mette tutto il sistema sanitario sotto stress che come spesso accade in situazioni come questa rende più visibili le debolezze del sistema, anzi le sue ferite per il disagio forte che accomuna cittadini, pazienti e personale del SSN. Sotto questo punto di vista, il libro mi sembra agire come un bisturi, anzi prospetta una iniziativa che agisca come bisturi , il classico ubi pus, ibi evacua, anche sacrificando una parte per salvare il tutto. In fondo, mi pare sia questo l’intento, quando propone di urgentemente intervenire, ripulendo (liberando?) l’organismo da coperture, strati, superfetazioni, ingessature, applicazioni di correttivi incongrui o terapie inefficaci, insomma tutte quelle modificazioni o innovazioni sbagliate che Cavicchi individua nelle norme che hanno modificato (tradito in tutto ?, tradito in parte?) la originaria riforma del 1978.

L’analisi di Cavicchi arriva al cuore della 833 e trova anche nella stessa Riforma madre elementi di debolezza che alla nascita del nuovo sistema furono sottovalutati. La più grave di queste carenze originarie mi pare che Cavicchi la individui nel fatto che la stessa legge omise di riformare le prassi. professionali nelle strutture sanitarie per adeguarle alla legge di riforma.

Cavicchi esamina strato per strato tutto l’impianto normativo soprattutto del decreto legislativo 502/92 e del decreto legislativo 229/99. Nel farlo a mio avviso non registra una cosa che pure ha una sua rilevanza. Mi riferisco alla modalità di elaborazione dei documenti base che nel caso del d.lgs. 502 furono molto centralizzate e poco partecipate mentre per il d.lgs.229 videro un forte coinvolgimento regionale. Furono tante le riunioni in cui con carta e penna alla mano (tablet se ne vedevano ancora pochi), si stilavano ipotesi, si abbozzavano norme poi lasciate al Ministero per le proprie valutazioni.

Questo aspetto mi porta ad aprire la riflessione sull’elemento regionalizzazione. Era evidente la situazione fortemente contradditoria del Governo che da un lato per la Sanità predisponeva una seppur parziale ricentralizzazione e dall’altro in Parlamento e nell’opera di alcune funzioni ministeriali afferenti alla Presidenza del Consiglio lavorava al federalismo a Costituzione invariata. e poi al varo della legge costituzionale n. 3 del 2001 con il nuovo Titolo V. Cito queste cose per riflettere su quanto quest’aspetto di incongruenza centrale abbia contribuito a rendere tutto più difficile. È un fatto che non fece in tempo a partire l’applicazione del 229 che il Ministero della sanità venne abolito. Certo, poi risuscitato ed opportunamente intitolato con la parola salute al posto della parola sanità, ma sempre un passo indietro rispetto, per esempio, al Ministero del lavoro.

Condivido fortemente l’analisi del malessere che affligge gli ospedali, che ben prima del Covid presentavano difficoltà sia sul versante dei medici, degli infermieri e della altre figure professionali. che sul versante dei pazienti. Quali elementi meriterebbero di essere ancor di più approfonditi? Ne cito uno: quello dell’assetto istituzionale e degli organismi di direzione ed amministrazione dei presidi ospedalieri.

Qui va detto che ci fu una sottovalutazione o comunque una inadeguatezza della 833. Ma, per fare un esempio, come si è potuto pensare che a Napoli un aggregato di presidi ospedalieri quale quello del grande ospedale Cardarelli insieme addirittura con un altro importante ospedale quale il Santobono, con un bacino di fatto sovraregionale potesse essere gestito da un Comitato di gestione che doveva occuparsi di promuovere e tutelare la salute di un gande quartiere di Napoli? Quello che è accaduto, lo sappiamo bene, fu l’interruzione del processo implementativo pieno della legge Mariotti che in molte realtà locali ancora non si era realizzato. E poi, a seguire l’impostazione opposta, l’affidamento di tutta gestione ad una figura monocratica e la conseguente definitiva involuzione o paralisi di qualsiasi articolazione interna di ruoli , poteri, funzioni che aveva iniziato verificarsi nei presidi ospedalieri. Ancora oggi ricordiamo i nomi di grandi direttori sanitari ospedalieri. Invece, chi ricorda oggi il nome di un direttore medico di presidio, al di fuori dei dipendenti di quel presidio? Tutta una esperienza andò dispersa e solo anni dopo ha ripreso a strutturarsi in connessione con le varie forme di dipartimenti o assetti organizzativi equivalenti.

Su un piano più generale, imperdonabile fu anche l’occupazione che un certo tipo di politica fece dell’ Unità Sanitarie Locali, con i Comitati di gestione che, in alcune realtà operarono bene, ma in molte altre scimmiottavano le giunte municipali: una stanza per il Presidente, una stanza per ogni componente del Comitato.

Ricordo il disorientamento degli esponenti delle realtà partecipative locali, che negli anni precedenti il 1978 avevano realizzato iniziative ed esperienze di gestione dei consultori oppure dei centri di vario tipo per la promozione della salute nei quartieri periferici o degradati, che nel giro di uno o due anni furono di fatto estromessi dagli spazi delle UUSSLL

Questo per dire che l’avvio del processo attuativo della 833 non fu un discorso lineare ed omogeneo. Per alcuni anni ( in alcune regioni per numerosi annui) l’assetto complessivo continuò ad essere la sommatoria dei precedenti assetti.

Come per ogni grande riforma strutturale , anche per la 833 era prevedibile che dovessero esserci degli interventi di aggiustamento. Il problema fu che con la grave crisi del 1992 questo intervento manutentivo, si trasformò in un drastico mutamento e l’aziendalizzazione fu finalizzata soprattutto a garantire la sostenibilità finanziaria. In ogni caso la sanità territoriale decollò e ci fu grande apertura all’ integrazione con il sociale e l’avvio di importanti esperienze sul versante del binomio salute e ambiente e di quello salute e lavoro.

La successiva ulteriore riforma del 1999 rappresentò il tentativo recuperare e aggiornare l’originaria impostazione del SSN, blindando questo processo con una dettagliatissima definizione di ogni aspetto della organizzazione aziendale , quasi ignorando il più generale processo di devolution dallo Stato alle Regioni che la Repubblica si obbligava a realizzare anche per la materia tutela della salute. Con la modifica della Costituzione del 2001, si apre una ulteriore fase : quella della definizione dei livelli essenziali di assistenza (compito dello Stato) e del governo del settore sanitario (compito delle Regioni).

In questa nuova fase cresce lo spessore del carattere obbligatoriamente intergovernativo con cui va guidata e mantenuta la organizzazione sanitaria e siamo alla fase dei Patti per la salute a partire dall’Accordo Stato Regioni dell’8 agosto 2001 e dalla Intesa Stato Regioni del 23 marzo 2005.

Come ho già sostenuto in precedenti articoli su questo quotidiano, questa ultima fase prima della vicenda pandemica è molto rilevante perché vede il SSN - inteso come complesso delle attività sanitarie assicurate dalla Regioni per assicurare la uniforme erogazione di prestazioni (o attività o servizi) sanitarie – impegnato in un gigantesco sforzo per individuare inefficienze, sprechi, inadeguatezze gestionali sotto il profilo economico finanziario- che non ha uguali nella recente storia delle pubbliche amministrazioni ( vedi i giudizi fortemente positivi sia da parte di valenti economisti attenti alle problematiche dell’organizzazione sanitaria, che da parte della Corte dei Conti). Ciò nella prospettiva di poter utilizzare le risorse liberate dalle inefficienze corrette per fronteggiare i prevedibili costi crescenti per la Sanità italiana.

Come già segnalato nel precedente articolo, la decisione dello Stato di non assegnare alla Regioni per il SSN questi importi economizzati conta non poco nello spiegare perché, già prima del Covid e ancora di più dopo il Covid, la carenza di risorse (in primis, risorse umane per il settore sanitario) sta assumendo dimensioni preoccupanti. Al riguardo i tre monitoraggi assicurati annualmente da OASI, CRESA e OSSERVASALUTE ci raccontano la piega preoccupante che sta prendendo la crisi organizzativa e gestionale degli Enti del SSN e correlatamente degli utenti singoli o componenti di nuclei familiari.

Un’ulteriore fonte di preoccupazione nasce poi dallo stesso PNRR di cui apparentemente sappiamo tutto ma in realtà sappiamo pochissimo. Le uniche informazioni sono quelle inviate alla UE per ottenere le quote di finanziamento secondo il programma temporale concordato. Ma si tratta di informazioni parziali, ad una sola dimensione, mentre il processo di prima attivazione e implementazione di questo mondo assistenziale , che nasce ex novo o va a sostituire parti del mondo assistenziale precedente, ne ha tante di dimensioni

Qualche dato o valutazione
Durante la pandemia sembrava proprio che le risorse di parte corrente del SSN fossero in aumento: dai 120 miliardi del 2019 ai 127 del 2020 fino ai 130 del 2021.

Durate la pandemia si è registrato un buon numero di assunzioni , complessivamente l’offerta di cura e assistenza è stata potenziata : in primis, terapie intensive e centri vaccinali. Inizialmente si è ridotta la spesa privata, La sensazione era che avremmo accorciato le distanze rispetto a Francia e Germania per quanto riguarda la spesa sanitaria pubblica. Poi i documenti dii economia e finanza hanno fatto capire che non era così. L’incidenza della spesa SSN sul PIL è prevista in discesa al 7,2% nel 2022 e al 6% nel 2025 (NADEF, novembre 2022).

La spesa sanitaria pubblica in Italia resta molto indietro rispetto a Francia e Germania e si situa in una posizione più bassa insieme a Portogallo e Spagna. L’incremento del personale si è rivelato come temporaneo. Il tasso di copertura dei bisogni dei pazienti non Covid è ulteriormente peggiorato con liste di attesa ancora più lunghe sia per i ricoveri, sia per l’attività ambulatoriali. La spesa privata si è riattestata su valori più alti dopo il calo del 2020: i valori 2021 (692 € pro-capite) segnalano anzi in leggero aumento rispetto al 2019 (684 €). Il declino demografico italiano si tradurrà in una riduzione delle basi imponibili fiscali a fronte di un aumento degli anziani. Questa contraddizione genera un sovraccarico strategico sul SSN.

I 15,6 miliardi del PNRR destinati alla sanità, a cui si aggiungono 4 miliardi di fondi complementari, certo miglioreranno il quadro inizialmente ma poi, se non accompagnati da un incremento del finanziamento, non saranno risolutivi. Quindi non rimarrebbe che incrementare l’efficienza tecnica e l’efficienza economica, come se i margini di sostenibilità economica non si fossero già ristretti .

Da questo punto di vista la severità con cui Cavicchi giudica ogni aspetto passato e presente del SSN (il catastrofismo di cui lui stesso parla) appare addirittura eccessiva. Io la leggo come un artificio retorico che gli consente un bilanciamento tra due pensieri o affermazioni che sente di dover fare:

- da un lato per dire che il sistema sanitario va richiamato a dare ancora un contributo, ma la sensazione è che non ce la si possa fare. Insomma, toni forti perché la situazione è davvero preoccupante

- dall’altro per sostenere che in sanità più si riforma e meglio è. Riformare, quindi, è la condizione irrinunciabile per fare salute e cura. Ne deriva che meno riformi o più riformi male e più hai problemi. Ed è così. Tutti i più grandi problemi della sanità nascono tutti da problemi di riforma cioè da riforme fatte a metà, controriforme, equivoci riformatori, uso di concetti superati, quindi anacronistici. insufficienza ideativa, mancanza di soluzioni soddisfacenti, aporie poca innovatività di pensiero ecc. ecc.

Bisogna chiedersi se criticità così rilevanti siano affrontabili solo con azioni incisive, avviabili e realizzabili con un approccio tipo Patti per la salute . La sensazione è che occorra qualcosa di più.

Occorre che si apra una fase straordinaria con iniziative segnaletiche della volontà del Governo di salvare il SSN, individuando la modalità per reperire le risorse necessarie.

Una ipotesi potrebbe anche essere quella innanzitutto di fermare l’iter per le autonomie differenziate per la parte sanitaria, anche perché c’è un problema tecnicamente (sul piano giuridico ) molto rilevante relativo alla verifica di cosa sia cedibile alle nuove autonomie regionali della materia riguardante i livelli essenziali delle prestazioni sanitarie cioè dei LEA.

Più in generale andrebbe invocato il persistere del pericolo pandemico e della gravissima crisi assistenziale e la necessità assoluta di avviare per il SSN un percorso rifondativo creando un fondo dedicato per interventi aggiuntivi per la resilienza. Tale fondo per un certo numero di anni integrerebbe il fabbisogno annuale di risorse per il SSN. Per alimentare tale fondo si potrebbe far ricorso a risorse da rendersi disponibili a seguito di limitazioni alle agevolazioni fiscali di cui alla normativa sui fondi integrativi sanitari e similari.

Riflessione aggiuntiva su Sanità integrativa
La tematica della Sanità integrativa si sta definendo come un’area di straordinaria criticità, che per l’ampiezza del numero di cittadini che in vario modo sono coinvolti ( più di 10 milioni) costituisce una delle problematiche più rilevanti da affrontare nel necessario provvedimento di riordino del SSN.

Innanzitutto va detto che si tratta di una questione che si pone al crocevia di molteplici linee tematiche : le politiche sanitarie, le politiche fiscali, le politiche salariali, le politiche sociali. Ma questo sta comportando che il settore si sta sviluppando in base a logiche sue proprie che, per taluni rilevanti aspetti, si stanno rivelando contrastanti con le finalità ed il ruolo del SSN.

Sulla base di un quadro ricognitivo preparato dal GIMBE anche sulla scorta di documenti della Corte dei Conti, ho predisposto in forma semplificata un riepilogo dei macro-dati che interessano questo settore. Riportiamo qui di seguito alcuni dati

Alcuni dati sui fondi integrativi sanitari e attività collegate

- oltre 300 i fondi sanitari integrativi attestati dal Ministero della Salute

- oltre 10 milioni di iscritti ai fondi di cui il 73% lavoratori, il 22,3% familiari e il 4,7% pensionati

- 85% dei fondi sanitari riassicurati e/o gestiti da compagnie assicurative

- 40% dei contributi versati per spese quali copertura di costi amministrativi, oneri di riassicurazione e utili delle assicurazioni

- € 2 ,4 miliardi di euro per rimborsare prestazioni agli iscritti

- 32% la percentuale di risorse destinate a prestazioni integrative quali odontoiatria e long term care

- più di 11 miliardi di euro l’ammontare dei contributi versati ai fondi portati in deduzione da persone fisiche per una spesa fiscale complessiva di circa 3 miliardi e mezzo di euro

- € 2 miliardi di euro l’ammontare dei contributi versati da datori di lavoro/società di capitali, per una spesa fiscale complessiva di circa 500 milion di euro, considerando l’aliquota IRES del 24%

Ai € 3.854 milioni di spesa fiscale per fondi sanitari bisogna aggiungere per Gimbe il mancato gettito fiscale per i premi di risultato previsti dal welfare aziendale.

Su questo, GIMBE ha stimato per il 2017 un importo di circa € 311 milioni sulla base dei seguenti dati:
- 2.038.647 lavoratori hanno percepito premi di risultato
- € 1.270 stima del premio di risultato individuale medio
- 40% dei servizi di welfare aziendale riguardano forme di sanità integrativa
- € 1.036 milioni il totale dei premi di risultato, per una spesa fiscale complessiva di € 311 milioni, considerando un’aliquota IRPEF media del 30%

Su tutta questa tematica è molto utile rifarsi ad un numero monografico della rivista Politiche sanitare ( n.1/2019) che raccoglie ed elabora i dati disponibili. Qui in particolare ci riferiamo a quanto scritto da REBBA, CITONI e PIPERNO.

Vi è innanzitutto una questione terminologica relativa al termine integrativa , che, certo, non deve costituire una questione esclusivamente nominalistica, ma che di fatto agevola questa tendenza del settore ad andare avanti in base a sue logiche endogene poco governabili. Il termine integrativo non quadra perfettamente con la terminologia Ocse e con quella OMS-Osservatorio europeo dei servizi sanitari .

OCSE 2004: Classificazione dei fondi

OMS- Uff europeo OSS SIST SAN Classificazione dei fondi

Il settore è rimasto regolato, sul versante sanitario , sostanzialmente solo da due decreti ministeriali ai quali non poteva attribuirsi che un carattere di prima applicazione.

La normativa frammentata e incompleta ha favorito l’involuzione dei fondi sanitari riassicurati in strumento di privatizzazione del SSN.

Gli autori fanno rilevare , che sono già ben evidenti, nel caso italiano, le tipiche conseguenze di un sistema duale evidenziate in letteratura, quali le violazioni dell'equità, l'effetto espansivo sulla spesa sanitaria totale, i profili di conflitto intergenerazionale e la probabile erosione del potere monopsonistico pubblico

Questi fondi seppur in crescita, sia come numero di assicurati sia come quantità di prestazioni garantite, configurano una situazione in cui il settore intermedia ancora un ridotto ammontare di risorse pro capite. Sarebbe questo, dunque, il momento di intervenire per renderlo coerente e complementare al Ssn, prima che il suo sviluppo sregolato configuri situazioni di conflitto con il sistema pubblico.

Il lavoro contiene un'opzione minimale di policy, che , tiene conto della situazione che si è determinata che va rettificata fortemente e che nella sostanza rifinalizzi le risorse già correntemente intermediate dai fondi e consistente nella delimitazione normativa dell'ambito d'intervento dei fondi integrativi a prestazioni predefinite della sola area dell'assistenza specialistica, con possibilità di opting out dei cittadini dal Ssn limitatamente appunto a questa tipologia di prestazioni.

Si tratta di una prima proposta da integrare sulla base di simulazioni e valutazioni di impatto.

Filippo Palumbo
Già Direttore Generale e Capo Dipartimento della Programmazione sanitaria del Ministero della salute

Leggi gli altri interventi al Forum: Cavicchi, L.Fassari.

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