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Venerdì 26 OTTOBRE 2012
Alzheimer. Scovati 5 marker per riconoscere la malattia

Fino ad oggi la diagnosi certa è solo post-mortem, ma uno studio svedese potrebbe cambiare per sempre il riconoscimento e la cura della patologia: cinque proteine nel fluido cerebrospinale potrebbero funzionare come biomarker e permettere di discernere la patologia da altri tipi di demenza e deficit cognitivo.

Alcuni marker specifici nel fluido cerebrospinale potrebbero essere utili per riconoscere l’Alzheimer da altri tipi di demenza. Il metodo, studiato dai ricercatori della Sahlgrenska Academy di Goteborg e pubblicato su Jama, potrebbe essere utile nella diagnosi precoce della patologia neurodegenerativa, visto che ad oggi la certezza della presenza della malattia può avvenire solo tramite il riconoscimento delle placche amiloidi nel cervello a seguito del decesso.
 
Il problema, dunque, sorge nel distinguere con sicurezza i pazienti affetti da morbo di Alzheimer da quelli che presentano altri tipi di deficit cognitivi: fare una diagnosi corretta è però l’unico modo per stabilire un trattamento appropriato e per iniziarlo tempestivamente. Secondo gli scienziati della Sahlgrenska Academy dell’University of Goteborg ciò sarebbe possibile semplicemente analizzando un campione di fluido cerebrospinale dei pazienti, poiché esisterebbero cinque proteine capaci di funzionare come marker per la patologia. “Studi precedenti avevano rimostrato che la patologia di Alzheimer è associata con cambiamenti biochimici in proteine specifiche del cervello”, ha spiegato Annika Öhrfelt, ricercatrice nel centro svedese. “Il nostro studio dimostra che la presenza di una nuova proteina può aiutarci a distinguere i pazienti affetti da questa malattia da quelli affetti da demenza da corpi di Lewy, morbo di Parkinson o altri tipi di patologie neurodegenerative”. E non solo: i biomarker potrebbero anche riuscire a distinguere la malattia di Parkinson da parkinsonismi atipici, che associano ai classici sintomi della patologia neurodegenerativa altri segni neurologici.
“Dovremo effettuare ulteriori studi prima che i biomarker entrino nella pratica clinica”, ha concluso la ricercatrice. “Ma questi risultati rappresentano sicuramente un enorme passo in avanti nella ricerca”.

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