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Lunedì 02 OTTOBRE 2023
Numero chiuso a medicina. GMI: “Ecco perché non può essere abolito”

Togliere il test d’accesso o predisporre modelli alternativi sottoporrebbe la rete formativa universitaria a stress a cui di fatto non è in grado di rispondere, andando a inficiare la qualità formativa e a peggiorare la già critica situazione attuale, con un drastico peggioramento qualitativo della formazione, e quindi dei futuri medici, oltre a minare il riconoscimento europeo della laurea stessa.

Parlare del numero programmato e quindi del test di accesso a medicina oggi vuol dire parlare di una tematica complessa che per semplicità d’analisi suddivideremo in più punti.

1) Il numero di medici esistenti e prossimi alla laurea rapportato al numero di borse
Partiamo da una breve considerazione dei fatti: nei prossimi anni si laureerà un numero di medici considerevole, ciò a causa dei vari incrementi avvenuti negli anni del numero di immatricolazioni nei Corsi di Laurea in Medicina e Chirurgia, l’ultimo dei quali con il decreto ministeriale 994, che stanzierà per l’anno accademico 2023-2024 19.544 posti, ovvero il 23% in più rispetto all'anno scorso. Questo notevole incremento del numero di medici laureati andrà potenzialmente a ricostituire un problema molto grave e solo recentemente risolto, quello dell’imbuto formativo, che ha negato per anni la formazione post lauream necessaria ai giovani medici per accedere al mondo del lavoro.

Ciò dimostra come sia non solo necessario il test a numero programmato, ma come sia necessaria una decisa riduzione del numero di accessi al corso di laurea in medicina e chirurgia, in modo tale da poter avviare una programmazione seria che preveda un numero adeguato di borse annuali rapportato al numero di accessi alla facoltà.

2) I costi che genererebbe una modifica dell’attuale impianto
Partiamo dal costo unitario per la formazione del singolo medico. Lo Stato sostiene come Ffo (Fondo di finanziamento ordinario) per i sei anni complessivi del corso di laurea che servono a formare un giovane medico non specializzato una spesa pari a 24.800 euro totali (fonte: statistica MIUR e portali atenei). Prendiamo ad esempio il test del 2019, il cui numero di partecipanti è stato di 68.694 (dati MUR). Se tutti questi aspiranti medici avessero avuto accesso diretto al corso di laurea in medicina e chirurgia, lo Stato avrebbe dunque dovuto affrontare una spesa complessiva di 1.703.611.200 euro.
Volendo moltiplicare anche solo un sesto di questa cifra, considerando un eventuale sbarramento al primo anno, per il numero di persone che in media provano il test ogni anno lo stato dovrebbe affrontare annualmente una spesa di circa 280 milioni di euro.

Una cifra mostruosa considerando l’attuale condizione economica del paese, che la rende indisponibile e se anche tale cifra fosse disponibile potrebbe essere spesa in modo più utile in investimenti di tipo strutturale per ciò che riguarda le borse di specializzazione o l’ammodernamento del Sistema Sanitario Nazionale stesso o il miglioramento della didattica. Va infatti considerato che tutti questi medici impossibilitati ad entrare nel mondo del lavoro in Italia si recherebbero in altri Stati, di fatto un regalo del valore di miliardi di euro da parte dell’Italia. Inoltre tale cifra non tiene conto di ciò che sarebbero i necessari fondi da investire per adeguare la capacità della rete formativa.

3) L’impatto che una modifica dell’attuale impianto avrebbe sulla qualità formativa
La rimozione del test a numero programmato con conseguente accesso diretto ai Corsi di Laurea in Medicina e Chirurgia senza che siano previsti gli adeguati finanziamenti atti ad adeguare la capacità di formazione della rete formativa universitaria, andrebbe ad inficiare in modo grave la qualità formativa dei futuri medici italiani, una controtendenza con ciò che invece oggi richiede la medicina iperspecialistica odierna e che metterebbe a rischio la validità europea della laurea stessa, oltre che a intaccare la validità della laurea Italiana in Europa.
Bisogna infatti considerare tutti i paletti legali esistenti. La legge prevede l’obbligatorietà delle lezioni, che queste ultime siano svolte da un docente presente fisicamente in aula e non tramite video, il numero di posti nelle facoltà è legato al numero di posti letto dell’ospedale universitario 1 a 3, senza considerare le varie norme di sicurezza legate alle aule.

L’adeguamento della capacità di formazione della rete formativa universitaria andrebbe quindi intesa come idoneità delle aule e degli spazi formativi in generale, presenza fisica per ogni aula del docente durante la lezione, possibilità di valutazione degli studenti in maniera oggettiva e accurata, possibilità di effettuare tirocini formativi con un rapporto ottimale fra tutor/studenti, accesso ai reparti di degenza in numero tale da non creare disagi ai pazienti.

Considerando che già oggi viviamo una drammatica carenza di personale docente di ruolo e ricercatore scientifico nella area disciplinare di scienze mediche possiamo già renderci con di come tutto ciò già oggi non avvenga, mostrando ciò che sono i limiti della rete formativa universitaria (report Anvur 2017: 8.944 unità docenti, fonte: Statistica e Studi MIUR a.a. 2016/17).

Abbiamo già un esempio pratico di quanto sopra, di fatti a seguito delle circa 30.000 iscrizioni in sovrannumero a seguito delle sentenze del TAR negli anni 2013/2014 e 2014/2015 abbiamo assistito all’evolversi una situazione sempre più precaria: aule e spazi formativi sovraffollati, qualità formativa in netto calo con lezioni poco stimolanti e eccessivamente frammentate, tirocini formativi farsa in cui il rapporto tutor/studente non consente di fatto il trasferimento delle conoscenze tecnico-pratiche, mancato accesso ai reparti di degenza o in caso contrario tempi di attesa incompatibili con le esigenze formative degli studenti ed esami in cui la valutazione oggettiva e accurata è immollata alla necessità di valutare un numero fin troppo elevato di studenti.
Tutto ciò non è compatibile con ciò che sarà il futuro della medicina.

4) L’analisi del modello francese
Ogni anno in concomitanza col test per l’accesso al Cdl in medicina e chirurgia si discute di adottare ciò che viene comunemente definito il “modello francese”, probabilmente più per motivi elettorali e di ritorno di immagine che per una reale presa di coscienza del problema.

Cosa prevede questo modello anzitutto?
Prevede un primo anno accademico, il Première Année Commune des Etudes de Santé (PACES) comune a quattro differenti corsi di laurea: Medicina, Odontoiatria, Farmacia e Ostetricia.
In questo primo anno accademico comune sono previsti corsi di scienze (biologia, chimica, fisica), di scienze mediche (anatomia, istologia, fisica, chimica), di scienze umanistiche.
Al termine di questo primo anno viene svolta la selezione nazionale per l'ingresso nel Cdl specifico scelto, che rimane a numero programmato per tutti e i quattro rami di Medicina, Odontoiatria, Farmacia e Ostetricia (7.492 posti per medicina, 1.200 posti per odontoiatria, 1.017 posti per ostetricia e 3.095 posti per farmacia). Per gli studenti che non superano la selezione il sistema non prevede opzioni di recupero, di fatto possono tentare nuovamente l'anno successivo, sola una volta, oppure indirizzarsi verso altre facoltà.

Analizzando questa tipologia di sbarramento si osservano criticità non accettabili, di fatto è una sorta di test d’ammissione al Cdl di Medicina e Chirurgia della durata di un anno estenuante a livello fisico e mentale che in Francia ha portato a un aumento fra gli studenti della prevalenza di depressione e malattie mentali quali possono essere gli attacchi di panico e alla perdita di uno o due anni di vita per chi non riesce a superare lo sbarramento.
Al di là dello spreco di risorse umane lo Stato si troverebbe ad affrontare costi notevoli con un elevato spreco di risorse economiche, da un lato il necessario adeguamento della rete formativa per accogliere gli studenti del primo anno, dall’altro un numero di ricorsi che già si può prevedere elevatissimo, molto più di quelli già attuali.

Come avverrebbe infatti il superamento dello sbarramento del primo anno? Tramite valutazione dei CFU raccolti? Tramite valutazione della media? Con quale oggettività fra i vari atenei e all’interno dello stesso ateneo? Tramite un test a numero programmato? Cosa accadrebbe agli idonei tagliati fuori per l’esaurimento dei posti?
Tutte domande che potrebbero essere spunto per altrettanti ricorsi che in più di un’occasione i magistrati hanno dimostrato di accogliere.

5) Conclusioni
Il mantenimento dell’attuale impianto normativo riguardante il test d’accesso al Cdl in Medicina e Chirurgia, appare quindi più che una scelta politica, una necessità imprescindibile. Togliere il test d’accesso o predisporre modelli alternativi sottoporrebbe la rete formativa universitaria a stress a cui di fatto non è in grado di rispondere, andando a inficiare la qualità formativa e a peggiorare la già critica situazione attuale.
Inoltre un accesso generalizzato alla facoltà di Medicina causerebbe un drastico crollo dell'indiscussa qualità dei corsi che in Italia formano medici e chirurghi, un drastico peggioramento qualitativo della formazione, e quindi dei futuri medici oltre a minare il riconoscimento europeo della laurea stessa.

GMI – Giovani Medici per l‘Italia

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