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Lunedì 19 FEBBRAIO 2024
Il prezzo e il costo della salute: chi paga?



Gentile Direttore,
ho molto apprezzato la lettera al Direttore del collega Walter Zalukar su QS del 13-2-2024 sul problema della crisi dei Pronto Soccorso. In effetti la presunta responsabilità della mancanza di filtro della medicina generale e la mancata appropriatezza dei codici minori sono la foglia di fico di un problema che ha ben altre radici, così come la contrapposizione e le responsabilità rimpallate tra territorio ed ospedale.

Con l’istituzione del Servizio Sanitario Nazionale abbiamo stabilito che la salute non ha prezzo. Abbiamo sostituito il prezzo con una astratta appropriatezza. Abbiamo caricato l’appropriatezza sulle spalle del medico con la medicina amministrata e meccanismi burocratici che nulla hanno a che fare con clinica ed empatia. Abbiamo fatto del medico più un cancelliere e un ragioniere che un consigliere del malato. Abbiamo detto al paziente che lui è portatore di diritti ed è al centro del sistema. Abbiamo inventato lo slogan “Nessuna decisione su di me senza di me”. Il risultato non può che essere quello che vediamo tutti i giorni. Malati confusi in cerca di prestazioni e non di relazioni, molto lontani sia dalla centralità sia dalla dignità dichiarata. Parenti saccenti che vanno dal medico per dirgli cosa fare e non per essere consigliati. Medici confusi in cerca di giustificazioni più che soluzioni. Specialisti alla ricerca del pelo nell’uovo senza alcuna convenienza clinica per il malato. Amministratori confusi convinti che la colpa sia dei cittadini e degli operatori sanitari che non seguono le loro appropriate regole. Tutti smaniosi di affidarsi finalmente alla intelligenza artificiale per placare dubbi ed ansie.

In questa confusione tutti hanno una loro ricetta spesso dimenticando che, se la salute non ha prezzo, ha comunque un costo. Chi paga? Anche se il Servizio Sanitario Nazionale è universale e deve essere pagato da tutti, è stato deciso, di fatto, che a pagare siano i soliti noti: gli sprovveduti che pagano o sono costretti a pagare le tasse. Gli altri, evasori e corrotti, ne usufruiscono gratis e spesso sono più pretenziosi degli altri. I furbi costringono a scelte politiche non solo di sottofinanziamento ma di dirottamento delle risorse verso attività non propriamente strategiche, evocando una astratta razionalizzazione.

Gli italiani non credono nello Stato. Anzi, hanno una atavica ammirazione per i furbetti del fisco. Chi non paga le tasse non è considerato un disonesto ma uno che ha capito come si vive. Quasi venti milioni non fanno la denuncia dei redditi. Il 48 % non versa neppure un euro. Quasi il 90% dell’Irpef è pagato da lavoratori dipendenti e pensionati. Dal 2024 la no tax area salirà a 13 mila euro. Sarà un aiuto per i veri poveri ma un paradiso fiscale per i finti poveri. Viene tartassato chi guadagna 50 mila euro lordi (poco più di duemila euro netti), con una tassa del 43% più le varie addizionali comunali e regionali, mentre i ricchi portano all’estero la sede delle aziende e la loro residenza fiscale. Solo 35 mila persone dichiarano più di 300.000 euro all’anno. Quindi il primo vero pilastro di un Servizio Sanitario Nazionale efficiente è quello che ognuno faccia con equità il proprio dovere fiscale per accedere al diritto alla salute. “Tutto il resto è noia” direbbe Califano.

Il secondo pilastro per rendere sostenibile il sistema, riducendo i costi, è la prevenzione. Il 50% delle malattie è determinato dagli stili di vita incongrui. Se il diritto alla salute non si accompagna al dovere di tutelarla non si fa né l’interesse dell’individuo né quello della collettività. Il diritto non accompagnato dal dovere costringe altri a doveri senza diritti. Finché i furbi sono pochi si può anche fare, quando sono molti diventa difficile se non impossibile. Chi si lamenta deve chiedersi cosa fa lui per gli altri. Lamentarsi e fumare, lamentarsi e mangiare e bere male, lamentarsi ed essere sedentari, lamentarsi ed avere comportamenti rischiosi, lamentarsi e non vaccinarsi, costringe gli altri a pagare non solo per la malattia ma anche per l’assistenza e l’invalidità. La malattia non è un peccato ma accanirsi a perderla non è una virtù.

Il terzo pilastro è la decisione senza ipocrisia di cosa affidare allo Stato e cosa lasciare al Mercato. Se vogliamo dare tutto a tutti non potremo più dare niente a nessuno. Bisogna affidarsi al metodo scientifico. L’intervento sanitario per essere uno strumento di salute e non un bene di consumo ha bisogno di qualità, sicurezza ed efficacia ma anche di valore terapeutico aggiunto. Una cura per essere realmente migliore di un’altra ha bisogno di essere comparata con una cura già di dimostrata efficacia rispetto al placebo e il placebo per essere tale deve essere comparato con il lasciare la malattia al suo decorso naturale. Sfruttamento scientifico e fraintendimento terapeutico fanno bene al mercato ma sono dei cancri che favoriscono alcuni minando alle basi il Servizio Sanitario.

L’evidenza deve essere la pietra miliare di una sanità sostenibile, pretesa dallo Stato. Lasciamo al mercato il superfluo dominato da ansia, paura, compassione, arroganza, ignoranza e fantasia di una medicina populistica ed eroica dove non esistono cittadini sani ma solo malati che ancora non sanno di esserlo, in un contesto di propaganda e autoreferenzialità che fa confusione tra causalità, probabilità e casualità. L’inappropriatezza non è un male, anzi è un bene per lo stimolo all’economia, se a pagarla è il cittadino di tasca propria, per placare le sue ansie e credenze. In fondo l’illusione è falsa ma il bisogno di illudersi vero.

Mi rendo conto che anche questa ricetta è di difficile applicazione nel groviglio inestricabile degli interessi più diversi dove ognuno razionalizza a modo suo nella direzione che gli pare più giusta o più conveniente. Chi la boccia dovrebbe però dire chi deve pagare e a quale prezzo, se possono esserci diritti senza doveri, con quale metodo valutare l’efficacia di una organizzazione e di una terapia. L’alternativa è la rassegnazione in una nazione dove tutto è dovuto e dove ognuno si chiede cosa possono fare gli altri per lui e non cosa lui può fare per gli altri.

Franco Cosmi
Già Direttore Cardiologia
Ospedale Cortona (Arezzo)

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