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Venerdì 07 DICEMBRE 2012
Rapporto Censis. Sanità: "Il sistema tiene grazie a chi ci lavora. Ma per anziani e bambini il pilastro è la famiglia"

Lo sottolinea il Censis nel capitolo del suo rapporto dedicato a welfare e salute. E lo hanno capito bene anche gli italiani che confermano l'apprezzamento per il lavoro di medicie degli infermieri. Ma per assistere bambini e anziani amici e parenti restano essenziali. IL CAPITOLO SALUTE DEL RAPPORTO.

“Concentrati su risorse monetarie e tecnologiche, troppo poco si considera che la sanità italiana cammina sulle gambe di oltre 724mila persone, tra le quali oltre 237mila medici, oltre 334mila infermieri, quasi 49mila unità di personale con funzioni riabilitative, oltre 45mila con funzioni tecnico-sanitarie e più di 11mila di vigilanza e ispezione”.
È da questa considerazione che parte il capitolo su Welfare e Salute del  46° Rapporto Censis sulla situazione sociale del Paese. Ma ad essersene accorto non è solo il Censis. Sono anche i cittadini. Infatti il 71,2% degli italiani intervistati, pensando ad una recente esperienza in una struttura sanitaria diversa dallo studio del medico di medicina generale, ha definito gli operatori sanitari gentili e disponibili. Un dato confermato anche sui medici di medicina generale: alla richiesta di esprimere un giudizio con un valore compreso tra 0 e 10, il valore medio indicato dagli italiani è stato pari a 7,7.

Migliora, dunque, il rapporto tra medico e pazienti. Un rapporto basato su una complessa interazione sulla quale gioca una molteplicità di variabili tra le quali la tendenza alla raccolta delle informazioni da parte dei cittadini, definita dal Censis “decisiva”. Quasi il 52% degli utilizzatori del web dichiara che gli capita di verificare la diagnosi e le indicazioni del proprio medico su Internet e il 33% di discutere con il medico stesso i risultati delle proprie ricerche sul web.

Altri protagonisti del fattore umano in sanità sono gli infermieri; tra i cittadini entrati in contatto con essi nell’ultimo anno, oltre il 75% esprime un giudizio positivo, e tale quota rimane elevata in modo trasversale al corpo sociale e alle aree geografiche. La positiva visione che degli operatori sanitari hanno i cittadini si riflette anche in una percezione sociale che le rende professioni attraenti; infatti, oggi volere fare l’infermiere è per gli italiani una scelta giusta: per il 76,6% perché è una professione con un alto valore sociale e di aiuto verso gli altri, ma per il 47% circa anche perché consente di trovare facilmente un’occupazione.

La salute costa e i costi preoccupano. Non diminuiscono, però, le paure degli italiani rispetto al futuro e alla la sfida della vecchiaia per i prossimi decenni. Quel che servirebbe è un sistema di cura e di assistenza che renda il Paese capace di rispondere efficacemente ai bisogni complessi legati alla cronicità, per cui la domiciliarità e una forte integrazione socio-sanitaria. Ma questo tipo di offerta, in Italia, è ancora troppo discontinua e diseguale a livello territoriale, e complessivamente carente: secondo il Ministero della Salute, il numero medio di ore erogate a ciascun caso preso in carico dall’assistenza domiciliare integrata nel corso del 2008 è pari a circa 22, e dunque sono inevitabilmente le famiglie a dover supplire alle mancanze del sistema pubblico.
Intanto, la spesa sanitaria out of pocket (ossia gli esborsi sostenuti direttamente dalle famiglie per acquistare beni e servizi sanitari) ammonta in Italia a circa 28 miliardi di euro (per il 2011), pari all’1,76% del Pil, e secondo i dati dell’Ocse si trattava nel 2010 del 17,8% della spesa sanitaria complessiva. Dato che pone il nostro Paese al di sotto della media (pari al 20,1%), ma nel confronto con gli altri grandi Paesi europei (Francia, Regno Unito e Germania) risulta piuttosto alto.
Ma, rileva il Censis, “i costi a carico delle famiglie rappresentano un fattore dal peso spesso insostenibile quando si tratta di malattie gravi e/o croniche. In questi casi non solo le spese mediche out of pocket rappresentano una fattispecie significativa dei costi familiari, ma soprattutto emerge come il modello assistenziale socio-sanitario sia capace di coprire solo una parte dei bisogni, lasciando scoperti proprio i soggetti che esprimono le necessità più complesse a lungo termine”.

Le reti familiari: l’unione fa la forza. In questa fase ormai avanzata di crisi economica, "la tradizionale e peculiare forza della famiglia in Italia, soggetto centrale dello scambio di risorse e forme molteplici di sostegno tra i suoi diversi componenti, assume una ulteriore rilevanza e alcune connotazioni specifiche”, spiega il Censis. Complessivamente il 59,4% delle famiglie intervistate dal Censis nel 2012 ha dichiarato di aver dato o ricevuto nell’ultimo anno almeno una forma di aiuto ad altre famiglie (le quote più alte del campione fanno riferimento al tenere i bambini, 17,3%, e a fare compagnia a persone sole o malate, 15,9%) partecipando alla rete informale di supporto familiare.
Le famiglie giocano però un ruolo soprattutto come agenti della redistribuzione interna di risorse a supporto dei propri componenti più vulnerabili: l’impegno maggiore è quello connesso ai figli che stentano a rendersi completamente autonomi e, in subordine, a quello per l’assistenza ai più deboli.
Attenzione, però. Anche questa risorsa, avverte il Censis, non potrà durare per sempre. Perché “una quota rilevante delle risorse che le famiglie dedicano al welfare familiare proviene con ogni probabilità da redditi pensionistici” e “da un lato i redditi dei pensionati saranno sensibilmente più contenuti in futuro, dall’altro va considerata la forte differenziazione tra le famiglie, per cui le più vulnerabili hanno accesso a prestazioni pensionistiche di livello basso, che non consentono strategie redistributive autonome. Manca di fatto una logica redistributiva forte nel sistema italiano, a fronte di un sovradimensionamento del welfare assicurative”.
Il meccanismo retributivo (in base al quale è erogata la quasi totalità delle pensioni vigenti) fa sì che le prestazioni più alte assorbano una quota assolutamente significativa di risorse: il 45,5% dei titolari di pensioni più basse (con reddito pensionistico medio mensile di 579 euro) pesa per il 20,4% sull’ammontare totale delle pensioni, mentre il 4,6% dei titolari di prestazioni della fascia più alta (che ricevono in media 4.356 euro al mese) ha un’incidenza di poco inferiore sul totale della spesa (15,7%).

Paure e iniquità generate dalla previdenza italiana. Si affida ai risultati di un’indagine dell’Eurobarometro di confronto tra i Paesi dell’Unione europea il Censis per evidenziare con l’81% degli italiani intervistati esprima un giudizio negativo sulla previdenza e di questi il 33% esprima un giudizio molto negativo; si consideri che solo il 32% dei finlandesi giudica negativamente il proprio sistema previdenziale, seguito dal 33% dei tedeschi, dal 39% degli abitanti del Regno Unito, mentre la media dei 27 Paesi della Ue è pari al 55%. Rispetto a un anno fa la valutazione negativa degli italiani ha subito un balzo in alto di 25 punti percentuali, dato di gran lunga superiore a quello medio europeo (+2%), e a quelli degli altri Paesi Ue, a cominciare dalla Francia (dove il giudizio negativo è diminuito di 12 punti percentuali), la Finlandia (-11 punti percentuali), la Germania (-8) e la Spagna (-3).
Alla richiesta di esprimere una valutazione rispetto a cinque anni fa, il 74% degli italiani dichiara che la previdenza è peggiorata, mentre in Finlandia il dato scende al 23%, in Svezia al 40%, in Germania al 41% e nel Regno Unito al 52%; il dato italiano è particolarmente elevato se lo si confronta anche con la media dei 27 Paesi della Ue, pari al 58%.
Le aspettative per il futuro della previdenza sono per il 50% degli italiani di ulteriore peggioramento, mentre molto diverse sono le aspettative in Finlandia (il 14% parla di peggioramento), in Svezia (20%) e soprattutto in Francia, dove il 23% parla di peggioramento, ma ben il 28% si aspetta un miglioramento. L’Italia è sotto al valore medio europeo (40%), mentre solo spagnoli e greci sono portatori di aspettative meno positive degli italiani.
“C’è una torsione evidente del ruolo sociale della previdenza, un suo progressivo diventare agli occhi degli italiani un problema più che una risorsa, un sistema minato dall’interno da contraddizioni, che costa tanto in generale e copre poco in particolare, con bassi redditi pensionistici attuali e futuri”, commenta il Censis, secondo i quali l’idea che ormai veicola agli italiani, e più ancora ai giovani, quando guardano al loro futuro, è quella di essere “condannati a pensioni basse”.
Non a caso, tra gli eventi che probabilmente li coinvolgeranno nel corso della loro vita, quasi il 68% reputa molto o abbastanza probabile l’impossibilità di ricevere una pensione adeguata nel futuro, quota che decolla letteralmente tra i giovani a oltre il 93% e rimane alta trasversalmente al corpo sociale. “Le iniquità – conclude il Censis - contribuiscono poi a screditare un sistema che negli ultimi anni ha visto un compattamento gestionale di sapore antico, tutto centrato sull’Inps; tra queste iniquità c’è quella visibile e nota, ma non per questo meno socialmente deleteria, della coesistenza di pensioni molto basse per tanti e pensioni dai valori svettanti per pochi”. Tra i pensionati con pensioni di vecchiaia, il 35% ha un reddito pensionistico inferiore a 1.000 euro mensili e assorbe circa il 14,9% del totale dei redditi pensionistici; laddove il 6,4% che ha almeno 3.000 euro mensili di reddito pensionistico (categoria in cui sono ricomprese anche le pensioni molto elevate) assorbe oltre il 18,7% del totale dell’ammontare delle pensioni erogate.

 

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