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Lunedì 10 DICEMBRE 2012
Farmaci. Aringhieri (Farmindustria) “Ecco perché il futuro è nel Biotech”

E l’Italia avrà un ruolo da protagonista con il 20% dei farmaci biotecnologici in commercio e il 50% in sviluppo. A dirlo è Eugenio Aringhieri, Presidente del Gruppo Biotecnologie di Farmindustria, che presenta il convegno "Biotecnologie e Medicina" in programma domani a Reggio Emilia. Il biotech in Italia

“Non c’è dubbio che il futuro sia nel settore delle biotecnolgie”. A dirlo con assoluta certezza è Eugenio Aringhieri, Presidente del Gruppo Biotecnologie di Farmindustria, che abbiamo incontrato alla vigilia del convegno “Biotecnologie e Medicina" in programma domani a Reggio Emilia.  Una dichiarazione supportata da dati inconfutabili: i farmaci biotecnologici sono già oggi il 20% di quelli in commercio e il 50% di quelli in sviluppo e in alcuni casi rappresentano, per patologie come l’anemia, la fibrosi cistica e alcune forme di tumore, l’unica possibilità di cura.
 
E l'Italia, con i suoi numeri, ha un ruolo da protagonista nel settore delle biotecnologie per la salute (red biotech). Le imprese attive nel red biotech, che operano nel nostro Paese, rappresentano infatti il 60% del totale e incidono per il 96% sul fatturato complessivo dell'intero comparto biotech.
All’interno del panorama italiano l’Emilia Romagna, sede del convegno, con 36 imprese (di cui 16 nell'ambito dei farmaci) si posiziona al 4 posto, dopo la Lombardia, il Piemonte e il Lazio.
Secondo Aringhieri però se il settore è il futuro è anche vero che “per una valorizzazione di questo asset” c’è “bisogno di mettere a fattor comune un sistema. Abbiamo bisogno di istituzioni che comprendano il valore della ricerca e che puntino su questo insieme alla comunità scientifica e all’industria”. Insomma tanto è stato fatto ma tanto ancora occorre fare.
 
 
Presidente Alingheri qual è la quota di mercato rappresentata dal farmaco biotech?
Oggi il 30% dei farmaci in commercio sono biotech mentre quelli in sviluppo sono del 60%. Quindi vuol dire che le risposte future alle domande di salute ancora aperte saranno per la maggioranza legate a questo tipo di famraci innovativi.
 
Il biotech a quali patologie si rivolge?
Il 45% è dedicato all’oncologia, poi abbiamo la neurologia e le malattie rare. Questi in sequenza i settori dove maggiormente è impegnata la ricerca bio. Questi sono i settori di salute con domanda ancora aperte, qui il biotech trova la sua massima espressione.
 
Quando parliamo di biotecnologie di che numeri parliamo per sottolineare l’impegno italiano?
In Italia abbiamo 188 aziende impegnate nel biotech e 394 studi attualmente in corso. Di questi i due terzi sono in fase due, fase tre, dunque nelle ultime fasi di sviluppo e quindi almeno il 50% di questi diventerà farmaco. Sono numeri che sottolineano l’impegno italiano. Oggi il fatturato bioetch in Italia è di circa 6miliardi e cento e all’interno di questo praticamente quasi un miliardo e mezzo di investimento arriva nel biotecnologico. Sono aziende che hanno il 30% dei loro ricavi investiti in ricerca. È quindi un settore ad alta intensità di ricerca che rappresenta il futuro.
 
Il settore è dunque strategico, quante persone lavorano nel biotech?
Il settore ha più di duemila parsone impegnate nella ricerca e queste rappresentano praticamente il 9% del totale degli impiegati all’interno di questo segmento. Lei tenga presente che in settore normali è l’1,6% degli impiegati in ricerca. Qua siamo quindi in un settore ad alta intensità di ricerca.
Com’è fare ricerca in questo segmento in Italia, è riconosciuto questo valore aggiunto dalle politiche di governo?
Io sono un inguaribile ottimista e guardo al futuro tifando Italia è ovvio però che, come ci ha insegnato il biotech,  da soli non si vince. Per poter aspirare ad una valorizzazione di questo asset che in Italia c’è, perché abbiamo una comunità scientifica di alto valore, abbiamo delle industrie che investono e ci credono, abbiamo bisogno di mettere a fattor comune un sistema. Abbiamo bisogno di istituzioni che comprendano il valore della ricerca e che puntino su questo insieme alla comunità scientifica e all’industria. Tanto è stato fatto ma tanto ancora occorre fare. Di sicuro non abbiamo più tanto tempo, è una finestra di opportunità che va colta e gli elementi per farlo ci sono tutti.

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