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Giovedì 07 FEBBRAIO 2013
Ospedali. Marino: "Almeno 200 strutture potrebbero 'sbriciolarsi' in caso di terremoto"

La denuncia dell'esponenete Pd presentando la relazione finale della Commissione d’inchiesta sul Ssn. Colpa di ospedali troppo vecchi mai ammodernati. La summa di 5 anni di indagini che hanno prodotto relazioni anche su salute mentale (già anticipata da Quotidiano Sanità), corruzione, terapia del dolore e assistenza anziani.

Nelle zone a rischio sismico, in caso di terremoto, ci sono circa duecento edifici ospedalieri che rischiano di “sbriciolarsi”. Questo soprattutto per la vetustà delle strutture. Basti pensare che ben il 16% degli ospedali tuttota aperti è stato prealizzato prima del 1934 e che solo l’8% dopo il 1983. Una situazione di generale vetustà per quanto riguarda gli edifici che in caso di terremoto non lascia certo tranquilli come è stato nel caso dell’Ospedale San Salvatore a L’Aquila.
 
Questo è solo uno dei dati che emergono dalla relazione conclusiva finale sull’attività della Commissione d’Inchiesta sul Servizio sanitario nazionale, presentata oggi al Senato dal presidente Ignazio Marino.
 
Cinque anni in cui i membri della Commissione hanno indagato sullo stato degli ospedali in zone a rischio simico, sullo stato di attuazione della legge sulla terapia del dolore, sulla salute mentale e sulle residenze di ricovero per anziani. Cercando anche di far luce sui fenomeni di corruzione del Ssn, sul “caso Cucchi” e le condizioni di vita e cura all’interno degli ospedali psichiatrici giudiziari.
 
Il metodo con cui la Commissione ha lavorato, ha spiegato Marino, è stato quello “del rigore scientifico” utilizzando 34 indicatori scientifici di salute e in base a quelli si sono svolte le indagini.
 
Il lavoro in questi cinque anni sono stati piuttosto intensi: nove inchieste, 191 sedute plenarie, 88 riunioni dell'ufficio di presidenza e 57 sopralluoghi, gran parte dei quali effettuati a sorpresa in strutture ospedaliere e psichiatriche per verificare l'efficacia e l'efficienza delle cure. 

 
“Tra i risultati che la Commissione d'inchiesta – ha aggiunto Marino – è riuscita a raggiungere in questi anni vi è certamente la legge sugli ospedali psichiatrici giudiziari che ha consentito di fissare una data limite dopo la quale non sarà più possibile inviare nessuno nelle strutture che abbiamo visitato e di cui abbiamo denunciato il degrado”. 

 
Quella che offre la relazione è dunque “una fotografia rigorosa dell’offerta sanitaria in tutto il Paese – insiste Marino – per misurare ad esempio l’assistenza ospedaliera per alcuni tipi di intervento, l’accesso alle cure oncologiche e anche ai servizi di salute mentale. Le Regioni sollecitate su questo fronte hanno risposto rapidamente in alcuni casi, come quello toscano, perché già abituate a questo tipo di metodologia; in altri casi, abbiamo avviato un vero e proprio cambiamento culturale che ha portato alcune autorità regionali a riconoscere la valenza di tale metodologia e a farla propria anche per il futuro".


 
Le inchieste aperte nel corso di questi cinque anni hanno evidenziato in gran parte una disparità di trattamento e di accesso alle cure lungo tutto il territorio nazionale e, in taluni casi, anche delle differenze sensibili all'interno di una stessa Regione: dalla salute mentale, alle persone affette da gravi forme di disabilità; dalle cure oncologiche fino all'assistenza prestata nelle strutture socio-sanitarie per il ricovero e l'assistenza degli anziani oppure l'implementazione della terapia del dolore.

 
 
Accanto a ciò, l'analisi della Commissione si è soffermata sull’edilizia ospedaliera mettendo in luce carenze strutturali in alcuni nosocomi situati nelle aree a rischio sismico. La mancanza di investimenti adeguati e i controlli avviati con grande ritardo influiscono profondamente sulla sicurezza di strutture che dovrebbero essere un punto nevralgico proprio nella gestione dell'emergenza dopo un evento sismico. Se da un lato, tuttavia, la penuria di risorse abbia penalizzato e continui a penalizzare la sanità pubblica, la Commissione guarda con preoccupazione al proliferare di consulenze esterne nel settore sanitario che costituiscono uno spreco di fondi imperdonabile, ancor di più in tempi di crisi economica. 

Ad esempio, come si legge nella relazione, è stato accertato che nel 2008 la spesa sanitaria ha raggiunto un importo di circa 148 miliardi, rispetto ai quali le consulenze ammontano a 790 milioni, pari a circa lo 0,50 per cento della spesa sanitaria complessiva. "Una cifra inaccettabile – aggiunge Marino – se pensiamo che i gli ultimi ticket sono stati introdotti in Italia per rastrellare una cifra pari a 850 milioni di euro". "È emerso - precisa Marino - che le fattispecie più ricorrenti sono: illegittimo conferimento di incarichi libero-professionali; illegittimi affidamenti di incarichi per attività di consulenza in materia contabile e tributaria; ingiustificate proroghe di contratti di consulenza; mancata attuazione di procedure selettive nella scelta dei consulenti; ricorso a consulenze anche in presenza di professionalità interne all’Azienda”. 
Sullo stato di attuazione della legge sulla terapia del dolore, legge 38/2010, le indagini hanno riguardato 244 ospedali, caratterizzati dalla presenza dei reparti di chirurgia generale e oncologia. Le strutture “indagate” sono 86 al Nord, 103 al Centro e 55 al Sud.
La percentuale media di adeguamento nel Paese alla legge è pari al 71% su 244 ospedali.
 
Quanto al consumo di farmaci oppiacei, il dato nazionale evidenzia che nelle strutture poste sotto osservazione, dall’inizio del 2008 al giugno 2011, sono state utilizzate 6.678.535 confezioni, con una media di consumo per ospedale di circa 27.000 confezioni. Il 68% dei 7 milioni circa di confezioni è stato consumato al Nord, il 26% è stato utilizzato al Centro e il 6% è stato consumato nel Sud. Vi è dunque una notevole differenza areale che ha incrementato il fenomeno della migrazione sanitaria. Basti citare due dati riferiti al 2009: in Campania, su circa 64.000 residenti che hanno subìto ricoveri per patologie legate a tumori, 9.402 (quindi il 14,7 per cento) si sono avvalsi di strutture sanitarie fuori Regione. Un caso altrettanto esemplificativo proviene dalla Sicilia, dove 6.502 pazienti si sono rivolti ad altre Regioni, su un totale di 56.750 ospedalizzazioni residenti, e in particolare 2.650 (oltre il 40 per cento) pazienti si sono rivolti alla Lombardia.

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