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Martedì 05 MARZO 2013
Ministri della Salute Ue: "Far fronte alla crisi non può voler dire tagliare i servizi essenziali"

La crisi finanziaria degli ultimi sei anni ha imposto ai sistemi sanitari tagli e ottimizzazione. Ma il Consiglio informale dei Ministri della Salute riunito a Dublino avverte: “Le misure messe in atto a breve termine per risparmiare non devono scontrarsi con le sfide sanitarie che si pongono a lungo termine”.

“L’impatto della crisi finanziaria internazionale, iniziata nel 2007, continua ad essere percepito in tutto il mondo, con un grande numero di nazioni, compresi gli Stati Membri dell’Unione Europea, che vivono importanti difficoltà finanziarie. Questo si manifesta in continui tagli alla spesa pubblica con inevitabili ripercussioni sulla sanità”. Con questa considerazione si apre un documento sul tema crisi e sanità, che ieri pomeriggio è stato alla base della discussione del Consiglio informale dei Ministri della Salute europei, a Dublino. L’obiettivo dell’incontro, si legge sul documento redatto dalla presidenza di turno (Irlanda), è quello di individuare al più presto iniziative che possano mitigare l’impatto della crisi sui sistemi sanitari del continente. Senza però perdere d’occhio le sfide sanitarie che le società di oggi pongono sul lungo termine.
 
I sistemi sanitari necessitano di fondi per poter pianificare e organizzare servizi alla popolazione. E questo è un dato di fatto. Ma allora cosa succede quando – come nel caso di questa crisi finanziaria – i finanziamenti pubblici alla salute scarseggiano? Questo è proprio quello che stanno cercando di capire i Ministri della Salute europei riuniti nella capitale irlandese.
Per capire cosa fare, i Ministri sono però partiti dai numeri. Secondo gli ultimi dati Ocse in media la spesa sanitaria pro capite si è ridotta in termini reali dello 0,6% tra il 2009 e il 2010, quando  il tasso di crescita annua della spesa pro-capite era stato pari al 4,6% dal 2000 al 2009. Andando ad analizzare cos’è successo paese per paese si vede chiaramente che le misure di austerità hanno avuto ripercussioni maggiori in alcuni stati piuttosto che in altri: a trainare il ribasso sono state Irlanda (passata da +6,5% a -7,9%), Estonia (da 7,2% a -7,3%) e Grecia (da 5,7% a -6,7%). In altre nazioni, compresa l’Italia, sebbene si sia registrato un rallentamento nel tasso di crescita della spesa sanitaria, questo è rimasto positivo.
Nella maggior parte degli stati (tutti tranne Cipro), i finanziamenti alla sanità sono per la maggior parte pubblici: in media nelle nazioni europee il 73% dei servizi sanitari sono stati finanziati dallo Stato. Per questo, gli effetti delle misure intraprese per ridurre questa spesa sono state da una parte tagli agli stipendi o al personale, dall’altra l’aumento della spesa diretta dei cittadini per la salute (sia per servizi che per farmaci). L’aumento delle spese out-of-pocket è stata una delle conseguenze del taglio dei finanziamenti in molti paesi. 
 
I dati suggeriscono che le misure intraprese dai sistemi sanitari nazionali per far fronte alla crisi finanziaria sono stati in un certo senso determinati dal “grado” di aggressività con cui questa ha colpito l’economia dei singoli Stati Membri. In ogni caso, queste possono essere riassunte in tre grandi gruppi: alcune nazioni non hanno dovuto introdurre misure di contenimento, o ne hanno pianificate poche (Danimarca, Finlandia. Germania, Malta, Polonia e Repubblica Slovacca); altre hanno dovuto introdurre molti cambiamenti nel loro sistema sanitario (Repubblica Ceca, Grecia, Irlanda e Portogallo); infine altre erano preparate in maniera migliore alla recessione, per via di misure fiscali intraprese subito prima dello scoppio della crisi (Estonia, Italia, Lituania).
Sebbene alcune iniziative intraprese dai singoli Stati Membri facessero parte di un processo di riforme dei sistemi sanitari già iniziato, la crisi finanziaria ha di sicuro spinto molti di questi ad accelerare l’implementazione di queste riforme, in risposta ad un urgenza imposta dai mercati. Chiaramente, ciò, in molti casi, ha fatto sì che alcuni paesi europei non avessero altra opzione che non applicare ingenti tagli alla sanità.
 
Ma allora qual è oggi la sfida per i governi? Prima di tutto, è facile immaginarlo, lanciare al più presto iniziative che possano mitigare l’impatto della crisi sui sistemi sanitari e che ne migliorino efficacia ed efficienza. “Esempi di iniziative possibili – si legge sul documento presentato ieri nel Consiglio informale dei Ministri della Salute – includono sicuramente acquisti strategici a prezzi ridotti per quanto riguarda la spesa farmaceutica, ma anche politiche che incoraggino una prescrizione e una distribuzione più razionale dei farmaci, una maggiore integrazione e coordinazione tra le strutture di assistenza e cura e uno slittamento sempre maggiore dal ricovero a forme come quelle day hospital, ove possibile”.
 
E soprattutto bisogna evitare di fare alcuni tragici errori. “Iniziative che hanno il potenziale di mettere a rischio il raggiungimento dell’obiettivo – scrive la presidenza irlandese – sono ad esempio l’applicazione di spese per i singoli cittadini su servizi sanitari essenziali, tagli indiscriminati alla copertura di questi servizi e attriti tra professionisti a seguito di tagli allo stipendio”. In altre parole, concludono nel documento, “è cruciale mantenere una particolare attenzione sulle sfide più a lungo termine dei sistemi sanitari, dato che alcune misure più a breve termine messe in atto per risparmiare potrebbero scontrarsi con le sfide che si pongono alle nazioni europee (come il rafforzamento dei sistemi di Assistenza Sanitaria Primaria, l’applicazione della strategia “Health in all” che teorizza come il benessere del cittadino non dipenda solo dalle politiche sanitarie, interventi specifici che riducano i rischi collegati alle malattie non trasmissibili. L’urgenza di agire rapidamente contro la crisi limita le opzioni praticabili, ma questo non deve mai risultare in interventi che non tengono d’occhio gli obiettivi sanitari a lungo termine”.
 
Laura Berardi

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