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Giovedì 14 MARZO 2013
Cancro al seno. Confermata la fiducia nel test che dice quando fare la chemio

Si chiama Oncotype DX ed è capace di predire il rischio di recidiva nel cancro alla mammella. Secondo gli esperti internazionali riuniti in questi giorni a St. Gallen in Svizzera, il test genomico è prezioso per discernere pazienti con diverse prognosi. I medici italiani chiedono la rimborsabilità, date le evidenze. Dal nostro inviato.

Costituisce il 30% di tutte le neoplasie femminili, tanto che ogni anno si registrano in Italia 40 mila nuovi casi: il tumore alla mammella non è certo una neoplasia rara. Ma il vero problema non è quello della cura dopo la prima diagnosi – raggiunta nella stragrande maggioranza dei casi con diagnosi precoce – ma quello delle recidive e della loro prevenzione tramite chemioterapia: dopo l’intervento, per paura che il tumore si ripresenti in fase metastatica, le donne vengono spesso sottoposte a trattamenti dai grandi effetti collaterali e dagli ingenti costi, che talvolta non sarebbero necessarie. Tutto ciò nonostante esista un test genomico, chiamato Oncotype DX: raccomandato da diverse Linee Guida internazionali, da quelle dell’American Society of Clinical Oncology (Asco) a quelle dell’European Society of Medical Oncology (Esmo), che è in grado di predire il rischio di recidiva, viene usato ancora poco, soprattutto in Italia. In questi giorni, nel corso della 13esima St. Gallen International Breast Cancer Conference, che si tiene ogni due anni, gli esperti internazionali rinnoveranno la raccomandazione all’interno delle Linee Guida internazionali, e da questa sede arriva anche la richiesta alle istituzioni italiane di rendere il test più fruibile dalle pazienti, rendendolo rimborsabile dal Sistema Sanitario Nazionale.
 
Grazie alla diagnosi precoce e alle più innovative tecniche chirurgiche, il tumore alla mammella è uno di quelli con più alti indici di guaribilità (90%) e per il quale gli esiti nefasti si riducono al 25% dei casi. Molte delle donne cui viene diagnosticato un carcinoma al seno sopravvive e arriva anche ad età avanzata: si stima siano una su 8 le donne over 80 che ha nella vita sviluppato un tumore al seno. Eppure, nonostante questi dati confortanti, il cancro al seno ha ancora un problema, quello delle recidive e della loro prevenzione: come si fa a capire in quale caso la chemioterapia adiuvante – ovvero quella che si fa a seguito dell’operazione – è veramente utile e quando invece può essere evitata?
Per avere una risposta univoca a questa domanda, alcuni scienziati hanno sviluppato un testo genomico che analizza 21 geni del tumore mammario, la loro interazione e la loro funzionalità e che in questo modo definisce non solo il profilo molecolare del tumore, ma permette anche di identificare con assoluta certezza i tumori a bassa probabilità di recidive, che possono dunque essere trattati con sola terapia ormonale.
I risultati del test si ottengono in 7-10 giorni, e dà una garanzia di sicurezza sia all’oncologo che alla paziente. Oltre a questo, previene i costi di chemioterapie inutili e per questo – nonostante costi qualche migliaio di euro – secondo gli esperti è conveniente in termini economici sia sul breve che sul lungo periodo. “Tanto è vero che in tutti i paesi in cui il sistema sanitario è basato sulle assicurazioni è normalmente rimborsato”, ha spiegato Paolo Pronzato, direttore della divisione di Oncologia Medica A dell’Istituto San Martino – IST (Istituto nazionale per la Ricerca sul Cancro) di Genova. Compresi gli Stati Uniti, dove il test è effettuato normalmente ed è assicurato anche con Medicare e Medicaid, le assicurazioni “pubbliche” più diffuse tra pensionati e persone con un reddito basso.
In Italia, secondo l’esperto, il test – per ora usato in poche centinaia di unità in Italia – potrebbe servire ad almeno 7 o 8 mila pazienti: “a fronte di una spesa di qualche migliaio di euro si potrebbero completamente risparmiare per molte di queste i costi della terapia, compresi quelli indiretti. Senza contare il risparmio in termini di dolore per la paziente, che è un valore incalcolabile”.
 
Ma allora, perché in Italia non è utilizzato? Approvare la rimborsabilità di un test così utile ma che costa qualche migliaio di euro è un processo lungo, soprattutto in una fase di taglio di spese. Tuttavia, secondo Pronzato i tempi sono ormai maturi. “In considerazione della sua effettiva utilità, della sua validazione grazie a numerosi studi internazionali,  e della sua presenza tra le raccomandazioni di numerose Linee Guida internazionali, è forse giunto il momento che le società scientifiche e i medici oncologici italiani aprano una discussione con le Regioni riguardo la rimborsabilità e quindi la prescrivibilità del test nei casi in cui può essere utile”, ha detto l’esperto a margine del convegno. “Anche perché – come succede già in molti paesi del mondo, ad esempio in Inghilterra – si possono contrattare con la casa produttrice i prezzi del test, per esempio facendolo pagare solo nel caso in cui effettivamente si evita la chemioterapia”.
Anche perché comunque quest’analisi non serve a tutte le pazienti, ma solo ad una loro parte: il risparmio deriva anche dall’uso ragionato. “Vale la pena ricordare che il test non è utile a tutte le donne affette da tumore al seno, ma che nella popolazione di pazienti operate, in cui è stato asportato un cancro ad uno stadio iniziale, positivo ai recettori ormonali estrogenici e/o progestinici, e in cui i linfonodi ascellari non risultano positivi, Oncotype può essere di grande aiuto, sia ai medici, che alle pazienti, che al sistema sanitario tutto per il contenimento dei costi”, ha continuato Pronzato. “L’uso del test, infatti, se effettuato in maniera intelligente nei casi in cui la prognosi è veramente incerta, ha la potenzialità di ridurre le spese collegate a trattamenti inutili e quindi si iscrive perfettamente in un discorso di contenimento dei costi del sistema sanitario nazionale”.
 E allo stesso tempo, conclude il medico, il test “migliora la qualità della vita delle pazienti. Anche quando il risultato è quello di un’alta probabilità di ricorrenza della malattia e quindi le pazienti scoprono di doversi sottoporre a chemioterapia, la loro scelta non solo è più consapevole, ma anche più serena, perché sanno che la loro situazione clinica è stata valutata secondo i migliori strumenti diagnostici a disposizione”.
 
Laura Berardi

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