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Lunedì 18 MARZO 2013
The Lancet. Ricerca shock in UK. I militari sono tre volte più violenti dei cittadini normali

Se su 100 cittadini “qualunque” in media solo sei o sette saranno mai condannati per reati violenti, dall’aggressione verbale all’omicidio, tra i giovani arruolati nelle forze dell’ordine britanniche il numero sale a 20. Ancora peggiore la situazione per i veterani di guerra, soprattutto se al fronte per più di una volta.

Uno studio shock sulla violenza nelle forze dell’ordine sta facendo il giro della Gran Bretagna e del mondo: poliziotti e militari – soprattutto i più giovani – sono decisamente più propensi a usare la violenza del resto della popolazione, tanto che vengono condannati per reati violenti tre volte più del resto della cittadinanza, e quando si parla di veterani di guerra  la probabilità è più alta del 53% rispetto a chi non è stato al fronte. A dirlo una ricerca svolta su quasi 14 mila militari in UK, alcuni dei quali avevano servito la nazione in due delle ultime “operazioni di pace” della Nato: la guerra in Afghanistan e quella in Iraq. Lo studio, condotto da King’s College di Londra, è stato pubblicato sulla prestigiosa rivista The Lancet.
 
In particolare il lavoro ha considerato un campione di 13.856 militari, in servizio o meno, registrati nel Police National Computer britannico, database che registra i dati del personale di tutti i reparti di polizia sul territorio, i militari, i servizi segreti, ecc. I ricercatori hanno studiato i tassi di crimini violenti (esclusa però la violenza domestica) e hanno cercato di rapportarli alla presenza di disordini da stress post-traumatico, stati di ansietà, depressione o altre patologie dell’umore.
In questo modo, hanno scoperto che tra poliziotti e militari, il tasso di condanne per reati violenti è dell’11%, contro il 6,7% riscontrabile tra i cittadini “qualunque”. Ma quando si considerano solo i 2700 uomini under 30  in servizio nelle forze armate la percentuale sale a uno su cinque (20,6%). Inoltre, come già detto, gli uomini che hanno combattuto in Iraq e Afghanistan hanno una probabilità maggiore del 53% di commettere reati che vanno dall’aggressione verbale all’omicidio rispetto a quelli mai stati al fronte, e nel caso di persone richiamate a combattere più volte in più guerre, la percentuale sale addirittura al 70/80%.

 
Il Ministero della Difesa inglese, che ha finanziato lo studio, tuttavia, ha precisato che lo scopo della ricerca non è quello di criminalizzare tout court le forze dell’ordine. L’istituzione ha dichiarato però che lo studio serve a rompere uno stigma sulla presenza tra gli esponenti delle forze dell’ordine – e in particolare tra i militari – di persone che presentano patologie mentali che le portano ad essere più aggressive. Ma anche sulla scelta degli individui arruolati.
Gli autori dello studio pensano che una più frequente esposizione a eventi traumatici sul luogo di lavoro possa aumentare il rischio di commettere reati violenti. “In particolare c’è una profonda correlazione tra la propensione a questo tipo di crimine e la presenza di disordini post traumatici da stress”, scrivono gli autori. Ma non solo. “La ricerca indica anche che i militari che fanno parte di alcuni reparti non vengono scelti a caso. In Gran Bretagna le truppe di fanteria tradizionalmente hanno promosso l’aggressività come ‘tratto desiderabile’, nonché spesso hanno reclutato individui socialmente emarginati e con basso livello di educazione”.
In altre parole, come spiega Deirdre MacManus, autore principale dello studio, “la tendenza violenta era più comune tra i giovani militari meno graduati, ed era associata a una storia di aggressività precedente all’arruolamento. E per queste persone il combattimento in guerra e le esperienze traumatiche funzionavano solo come innesco al comportamento violento”.
 
Gli esperti hanno per questo specificato che “sarebbe sbagliato pensare che tutti i veterani affetti da disordini post-traumatici da stress siano potenziali criminali”, come ha spiegato Walter Busuttil, direttore dei servizi medici dedicati ai militari che hanno servito in zone di guerra. Insomma, il problema non è solo quanto la guerra cambi le persone e le trasformi in criminali, ma quanto ad essere arruolati nei corpi armati possano essere individui già inclini all’aggressività. “Studi di questo tipo servono proprio a capire come individuare quali soldati hanno bisogno di cure appropriate e trattamenti specifici durante il servizio e quando lasciano le forze armate”, ha continuato.
Il Ministero della Difesa ha già introdotto una serie di iniziative per incoraggiare il personale in servizio a farsi avanti, per essere aiutato già nelle fasi iniziali di stati d’ansia o di depressione o se sono in difficoltà dopo eventi traumatici. Ma non solo: la Gran Bretagna sembra voler risolvere anche un altro grave problema, non presente nella ricerca. “Per ulteriore prevenzione – ha concluso Busuttil – stiamo approntando dei corsi per affrontare il tema della violenza domestica, seppure nello studio questa non sia considerata”.
 
 
Laura Berardi

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