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Venerdì 24 MAGGIO 2013
Caso Marlia. Ha senso tenere in vita presidi che non rispettano gli standard?



Gentile direttore,
ho letto con attenzione la lettera inviatale dal giurista Benci ed ho seguito, seppur tramite le cronache giornalistiche, la vicenda sul “caso Marlia” che, a torto o a ragione, è finito per diventare un “caso” non per la pretesa complessità giuridica, ma piuttosto perché si è presentato come un buon cavallo di battaglia da cavalcare per chi aspira a svolgere compiti che, secondo quanto emerso dagli atti di indagine compiuti dalla Procura di Lucca e dai Carabinieri dei NAS di Livorno, la legge riserva in via esclusiva al solo dirigente medico specialista in diagnostica per immagini.
Da avvocato penalista che opera ogni giorno in Tribunale in difesa dei precetti costituzionali ritengo sia necessario precisare quanto segue. Innanzitutto facciamo chiarezza sui fatti.
 
Marlia è un presidio ospedaliero distante circa 10 chilometri da Lucca. Nella struttura di Marlia non erano presenti medici radiologi né erano previsti nell’organico della radiologia. I pazienti, in virtù di una procedura di gestione organizzativa interna, ricevevano le prestazioni diagnostiche da parte dei soli tecnici sanitari per poi gli esami essere refertati dal medico radiologo a Lucca senza che questi –addirittura- vedesse il paziente, come se il rapporto medico-paziente potesse essere virtuale e la medicina si componga di rigidi protocolli e di meri aspetti tecnici.
 
La valutazione della prescrizione e del quesito diagnostico, l’anamnesi del paziente, la valutazione della giustificazione dell’esame prescritto, che costituiscono attività riservate al medico radiologo, erano invece affidate al tecnico di radiologia. Del pari la raccolta del consenso presso la struttura di Marlia veniva effettuata dallo stesso tecnico di radiologia.
 
Quello che più ha destato preoccupazione (e che lede il bene protetto dalla norma incriminatrice) non è tanto la modalità di raccolta del consenso quale atto ricettizio ma la mancanza di preventiva informativa medica per la validità del consenso. Come è noto, e non v’è bisogno di dilungarsi tanto sulla questione, l’informativa e la raccolta del consenso costituiscono “atto medico” in quanto la complessità delle informazioni da rendere postulano non solo la corretta valutare del caso clinico proposto ma, sulla base di quel bagaglio culturale, scientifico e clinico che il radiologo quale medico possiede, la possibilità –addirittura- di negare la prestazione radiologica ovvero proporre esami alternativi. Esami che certamente il tecnico di radiologia non può prescrivere.
 
Ridurre il “caso Marlia” -così come pare spesso emergere dai tanti commenti, dai resoconti giornalistici e dalle tante iniziative promosse- ad una questione di difficoltà interpretativa delle norme o meramente radioprotezionistica, appare poco aderente agli elementi fattuali emersi che hanno portato all’incriminazione dei tecnici di radiologia.
 
Il problema della delega o della presunta autonomia del tecnico radiologo è dunque un falso problema, così come la presunta antinomia -leggesi conflitto- fra norme italiane e norme europee (ovvero adottate dal legislatore italiano in attuazione delle direttive europee).
 
Le diverse fonti normative si pongono in rapporto fra di loro e, talvolta, confliggono reciprocamente. Per questo motivo sono stati individuati, secondo un ordine successivo, i criteri di soluzione degli eventuali conflitti tra le norme giuridiche: i) criterio gerarchico; ii) criterio cronologico; iii) criterio di specialità; iv) criterio di competenza.
 
Seguendo i criteri sopra indicati emerge chiaramente che la normativa radio protezionistica, che delega al tecnico di radiologia i soli aspetti pratici, non solo risulta essere applicabile ma, in caso di conflitto, è proprio questa a prevalere sulle altre fonti normative (che forzatamente intravedono per i tecnici una autonomia più ampia di quella tecnica).
 
Applicando il criterio gerarchico il d. leg. n. 187/2000 “Attuazione della direttiva 97/43/Euratom in materia di protezione sanitaria delle persone contro i pericoli delle radiazioni ionizzanti connesse ad esposizioni mediche", derivando da un atto normativo comunitario (direttiva), ai sensi dell’art. 288 del Trattato di Roma, costituisce una fonte normativa gerarchicamente superiore rispetto alle altre fonti di legge (e dunque anche alla legge 25/1983 che parrebbe individuare una più ampia autonomia del tecnico di radiologia) e come tale non può configgere con una norma di rango inferiore.
 
Del pari seguendo il criterio cronologico si evidenzia che il d. leg. 187/2000 è cronologicamente successivo alle altre norme presuntivamente configgenti.
 
Analogamente, in base al criterio della specialità, in caso di contrasto tra due norme, si preferisce la norma speciale rispetto a quella generale (correttamente in latino: lex specialis derogat legi generali), anche se quest'ultima è successiva (lex posterior generalis non derogat legi priori speciali).
 
Per chiarezza, la norma è speciale quando presenta alcuni elementi caratterizzanti che si aggiungono a quelli costitutivi della norma generale e che ne determinano la riduzione o l’ampliamento della sfera di applicazione. Ciò vuol dire che il fatto concreto, qualora la disposizione speciale non esistesse, verrebbe sussunto nella norma generale.
 
Di conseguenza, nel caso, l’affidamento dei soli aspetti pratici ex art. 5 del D. Leg. 187/2000 si configura come elemento caratterizzante che determina la riduzione della presunta autonomia del tecnico radiologo e, come tale, costituisce una specialità per specificazione rispetto alla normativa previgente (venendosi a un rapporto di genere a specie tra uno o più elementi costitutivi delle diverse fattispecie).
 
Anche applicando il criterio residuale di competenza la norma applicabile sarebbe comunque il d. leg. 187/2000 laddove il trattato Euratom, ancora in vigore, tra le missioni individua quella di stabilire e garantire l’applicazione di norme di sicurezza uniformi per i pazienti e per la protezione sanitaria della popolazione e dei lavoratori (ovviamente in materia di radiazioni ionizzanti) nonché definire (così come avvenuto per la direttiva 97/43/Euratom che ha poi portato al D. Leg. 187/2000) i ruoli e le figure coinvolte per la corretta gestione delle applicazioni mediche.
 
Come è stato giustamente osservato nell’articolo pubblicato non può sussistere una delega di attività ad un soggetto privo delle necessarie capacità e competenze.
 
Ed infatti la delega richiamata dall’art. 5 del d. leg. 187/2000, proprio per evitare l’esercizio abusivo della professione medica, non affida alcuna delega di atti medici ma semplicemente “gli aspetti pratici per l’esecuzione della procedura o parte di essa”. Non gli aspetti clinici o medici.
Restano, invece conservate dal tecnico radiologo le sfere di competenze, più o meno autonome, afferenti le attività tecniche-operative funzionali allo svolgimento della prestazione medica, dovendosi ritenere intatta l'applicazione della disposizione generale per tutti gli ambiti non coperti dalla norma speciale.
 
In ultimo, ho letto la lettera delle società scientifiche che mi pare possa essere condivisa. Mi domando: ha ancora senso mantenere in vita quei presidi che non rispettano i livelli minimi di accreditamento e gli standard di sicurezza delineati dalle linee guida della comunità scientifica e dall’Istituto Superiore della Sanità sottraendo risorse e personale?
Se questo è il futuro innovativo ……….
 
 
 
Licia Gianfaldone
Avvocato Penalista
                                                                                  

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