quotidianosanità.it

stampa | chiudi


Giovedì 18 LUGLIO 2013
Fibrosi epatica. L'alternativa alla biopsia c'è. Ma si usa poco 

Il 70-80% dei casi di infiammazione cronica da epatite B e C va incontro all’epatocarcinoma. Per aiutare nella diagnosi dal 2005 esiste Fibroscan, capace di misurare in modo non invasivo, veloce e indolore la quantità di fibrosi. Molte regioni non lo rimborsano, ma è interessante l’esperienza di alcuni municipi, come il X di Roma.

Basterebbe la diagnosi precoce di alcune patologie epatiche per evitare molti casi di cirrosi e di neoplasie al fegato: basterebbe ad esempio riconoscere al più presto quel 70-80% dei casi di infiammazione cronica da epatite B e C che va incontro all’epatocarcinoma. Si tratta di un problema prioritario per la sanità italiana poiché, in questo ambito, l’indice di mortalità è passato da una percentuale di 4.8 decessi per 100 mila abitanti nel 1969 a 10.9 nel 1994 e a 12.5 nel 2000. A lanciare l’allarme è Fabrizio Soccorsi, primario emerito di Epatologia al San Camillo di Roma e consulente dei centri diagnostici Marilab. Ma uno strumento – che tuttavia ancora non è riconosciuto in convenzione in molte regioni – potrebbe aiutare nella diagnosi: si chiama Fibroscan e permette di comprendere la quantità di fibrosi presente in ogni paziente.
 
Per ridurre il numero di cirrosi e neoplasie basterebbe un sistema di diagnosi precoce delle patologie epatiche più adeguato al problema e più veloce, e così si potrebbero riconoscere anche le minime alterazioni degli enzimi epatici. E dunque fare subito la stadiazione della fibrosi epatica attraverso il test al Fibroscan, capace di svelare cirrosi silenti e misconosciute. “In questo modo aiuteremmo tante persone a scoprire una patologia sconosciuta e a tenerla sotto stretta sorveglianza clinica, evitando ulteriori complicazioni”, ha precisato l’esperto. “Oggi è fondamentale la ‘medicina preventiva’ per tutte le patologie di organo, in particolare per quella epatica”.
La sfida degli epatologi, per spronare le persone a controllarsi, è stata a lungo quella di “trovare delle metodologie alternative di ricerca che potessero supportare e surrogare l’eventuale biopsia chirurgica, il ‘gold standard’ delle procedure diagnostiche anatomopatologiche”, ha raccontato il primario. La biopsia chirurgica è una diagnosi “invasiva e dolorosa, tale da poter indurre complicanze, scoraggiando molte persone a sottoporsi al controllo. Una procedura - sottolinea il consulente Marilab - che tra l’altro non è detto abbia un’affidabilità assoluta, potendo essere influenzata da un eventuale errore di campionamento e/o da una interpretazione spesso non univoca”.
 
Ma nel 2005 è finalmente arrivato in Italia il Fibroscan,strumento simile all’ecografo e capace di misurare in modo non invasivo, veloce e indolore la quantità di fibrosi, e che può dunque aiutare proprio nella stadiazione della malattia. Lo strumento, come spiegano anche i National Institutes of Health statunitensi, in molti casi può essere molto migliore della biopsia: è meno invasivo e può essere effettuato in laboratorio, la sua interpretazione è meno dipendente dal singolo professionista rispetto a quella di una biopsia,  analizza tutto il fegato e non solo un campione, i risultati sono quasi istantanei e, ultimo ma non meno importante, è molto più economico di un intervento. Inoltre, rispetto ad altri test come quelli con biomarker o come la risonanza magnetica non ha bisogno di laboratori di analisi che abbiano particolari macchinari e funziona per ogni tipo di fibrosi. Gli unici pazienti sui quail Fibrotest non è particolarmente affidabile o non può essere applicato sono gli obesi o coloro che presentano un grande quantitativo di grasso sulla parete toracica e gli individui che presentano ascite. “Con questo strumento possiamo ripetere, in tempo reale e in maniera accurata la biopsia non invasiva e valutare, ad esempio, se c’è stata una modifica da parte del farmaco sulla malattia del fegato”, ha commentato Soccorsi. Così, oggi è possibile “limitare al 3-4% la biopsia chirurgica, affidando il resto al Fibroscan, che costituisce il ‘gold standard’ nelle malattie croniche del fegato e in particolare da virus C”. In ogni caso, per il medico, la regola generale è: “Tutti dovrebbero passare sotto le forche caudine del Fibroscan, che fa da spartiacque tra un fegato sano ed uno malato, stabilendo che tipo di fibrosi rappresenta. In base alla classificazione è poi possibile migliorare la performance del paziente e allontanarlo quanto più possibile da cirrosi e tumore al fegato”.

 
Tuttavia, molte regioni “a tutt’oggi non riconoscono l’elastografia epatica come convenzione, non creando i presupposti per l’accredito”. Tra queste, ad esempio, c’è ad esempio anche il Lazio. Nonostante questo a Roma, seppure solo in 3 ospedali (Policlinico Gemelli, Policlinico Umberto I e Ospedale di Marino) avendo l’attrezzatura un costo molto elevato,  il Fibroscan è presente da 4 anni, quale strumento di alta specializzazione. “Nel privato - fa sapere il professore - è presente esclusivamente nei centri Marilab”. Inoltre, poiché negli ospedali “le liste di attesa sono spesso troppo lunghe, anche per effettuare un’ecografia o una Tac, e le persone con difficoltà economiche finiscono per ritardare i controlli - afferma il direttore sanitario - abbiamo iniziato a pensare ad una ‘medicina sociale’ più attenta ai cittadini meno abbienti”. Infatti, il Gruppo Marilab ha aperto a giugno una convenzione con i centri anziani del X Municipio, che contano circa 18 mila iscritti: così un anziano da Marilab paga la prestazione come un ticket in ospedale con tariffe agevolate ed evitando di rimanere appeso per mesi con conseguenze tragiche per la sua salute.

© RIPRODUZIONE RISERVATA