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Martedì 10 SETTEMBRE 2013
Due risposte. Sulla corruzione e sul ruolo dei Comuni in sanità

Sono stato sollecitato, direttamente dal direttore generale di Federsanità Anci Chilelli e, intellettualmente, dallla notizia del bel seminario promosso dalla senatrice Dirindin, a tornare a riflettere su due questioni che mi stanno molto a cuore: i costi standard e la legalità nella sanità

Nerina Dirindin ci annuncia un seminario sulla corruzione in sanità con un “parterre du roi”, quindi di grande livello, su tematiche  dedotte da un rapporto corposo, che consiglio a tutti di leggere, nel quale  ci si chiede : “che cosa puoi fare tu? Cittadini contro l’illegalità”. (parte 3,  paragrafo 3.6). La risposta è: “nessuno può rimanere spettatore passivo dell’illegalità per non essere complice”, il cittadino deve “informarsi e informare”. Molto giusto  anche se milioni di cittadini, spesso, non sapendo come fare ricorrono molto più semplicemente  alla “denuncia”. Una parola che in questo paragrafo non compare mai anzi la Dirindin ci dice, nel titolo di QS,  che la “denuncia non basta”, cioè è qualcosa di insufficiente.
Mi permetto di dissentire  per tre ragioni: in primo luogo perché  conosco Nerina come una persona sensibile e aperta alle critiche; in secondo luogo perché senza le tante denunce fatte dalla Corte dei Conti, dai Nas, dalle Fiamme Gialle, da questo giornale, e da altri con diverse inchieste, e molto più modestamente dal sottoscritto e da tanti altri come me, compreso tanti cittadini,  il suo seminario probabilmente non si sarebbe fatto; in terzo luogo  perché tante persone come me che non hanno gli strumenti politici e quindi organizzativi della Dirindin, non possono fare altro difronte ad abusi e corruzioni, che ricorrere alla denuncia politica “per non esserne complici”.
 
Posso  dire di aver, su questo giornale  quindi con il  pieno  e convinto consenso del suo direttore, anche quando il tema della corruzione  era impopolare, “denunciato” parecchio  fino a  parlare di “insostenibilità morale e economica del decadimento della sanità” (QS 28 gennaio), o a rivolgermi direttamente al partito della Dirindin “Bersani, la moralizzazione della sanità(QS 27 febbraio), “Al Pd dico….” (QS 30 gennaio) proponendo addirittura, in luogo dei patti per la salute, un “patto per la moralizzazione” contrariato dal fatto che nel programma del Pd la questione della corruzione era pura retorica. Con piacere ho notato che nella “sitografia” del rapporto è menzionato oltre a “cittadinanza attiva”, che a sua volta   ha “denunciato” parecchio, anche l’Ispe (Istituto per la promozione dell’etica in sanità”) che è stato il primo a trasformare le nostre povere “denunce” in tipologie di abusi, di soprusi, di irregolarità fino a  dar loro una certa sistematicità.
 
Certo di fronte alla tante forme di corruzione  la denuncia non basta come non basta neanche il bel rapporto scritto per il seminario e come non basterà neanche il seminario. Il problema principale, come sa bene Nerina, non è la cresta su beni e servizi, che pure va combattuta, ma l’intreccio tra la politica e le diverse forme di malaffare dal quale dipendono nomine, spese, guarantigie, privilegi, inutilità, sprechi, consenso elettorale, favori di ogni genere, abusi. Insomma sono molto contento del seminario della Dirindin  anche se avrei preferito che ad organizzarlo  non  fosse un centro studi (Coripe) ma  il partito di cui la Dirindin è autorevole senatrice. Ma a parte ciò considero tale seminario in qualche misura un risultato  del lavoro di denuncia di questi anni e per questo riterrei più appropriato dire  “grazie delle denunce…ci scusiamo per il ritardo…continuate a denunciare”.
Enzo Chilelli, direttore generale di Federsanità Anci, mi affibbia  la patente del “qualunquista”, cioè quello che dà la colpa al governo Letta anche della pioggia. Gli consiglio affettuosamente di rileggere meglio le mie preoccupazioni sui costi standard, ma anche quelle di Quattrone, della Cgil…e di alcuni economisti, esponenti del Pd, dell’Agenas, che in tempi non sospetti, cioè quando la Lega per prima tirò fuori i costi standard  per fare il federalismo, avanzarono  preoccupazioni  come le mie. Quello che è in discussione non è  l’uso della matematica in sanità, cioè la ragioneria, ma l’uso della ragioneria per cambiare il sistema di finanziamento come tale e senza mettere le mani sulle distorsioni del sistema di governo. I costi standard non sono congegnati per migliorare la spesa e tenere sotto controllo i costi, ma per standardizzare in modo lineare l’allocazione dei finanziamenti a prescindere dagli obiettivi di salute, quindi per superare il criterio della  quota capitaria ponderata.
 
Mi sono limitato a sottolineare le difficoltà tecniche di questa pensata, chiedendo a proposito di benchmark, dei chiarimenti sulla metodologia. I costi standard dovranno valere in quanto standard per 21 Italie diverse sapendo che le diversità  di queste Italie e dei loro eterogenei sistemi sanitari, da quel che mi risulta, non sono per niente facili da rappresentare nello standard, anche con tutti i migliori indicatori della contabilità analitica. La sanità non è riducibile alla contabilità industriale. Ma a parte questo, mi colpisce che il direttore generale di Federsanità Anci, mentre sembra poco o nulla interessato a quanto accaduto ai Comuni in sanità dopo il Titolo V, si preoccupi della ragioneria e non della politica, cioè di come ridefinire una governance che continuo a credere non può far a meno dei comuni, se non altro per realizzare politiche per la salute compossibili con le risorse disponibili.
 
I costi standard  sono ingoiati dalle Regioni perché essi svuotano di senso la questione istituzionale legata alla governance come  vera soluzione ai problemi di spesa. Con i costi standard  è come se ricentralizzassimo  la governance al ministero dell’Economia in costanza del Titolo V, quindi lasciando  i Comuni fuori e dando alle Regioni le loro sempre più formali titolarità. O loro o altri con la standardizzazione conta poco. Con i costi standard l’Anci perde l’occasione di ridiscutere il ruolo dei Comuni nei confronti della questione istituzionale che si è aperta drammaticamente con gli squilibri del Titolo V.
 
Ivan Cavicchi

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