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13 OTTOBRE 2013
Cancro al seno. Come funziona il "Pap-breast". Il test che ne predice il rischio con anni d'anticipo

Ce ne ha parlato Gianluca Pazzaglia, direttore del Breasting Center di Perugia, membro Artoi e uno dei pochi medici che in Italia utilizzano questa nuova metodica, capace di svelare con decenni di anticipo qual è il pericolo che una donna sviluppi tumore alla mammella, tramite l'analisi delle secrezioni estratte dal capezzolo.

Molto prima che una donna debba arrivare a trovare un nodulo duro nel proprio seno, c'è un test che potrebbe predire lo sviluppo di un tumore alla mammella. O almeno dare un'idea del rischio che corre. Si chiama Pap-Breast, è un dispositivo che analizza le secrezioni che possono fuoriuscire dal capezzolo e fornisce un profilo di rischio, che può predire lo sviluppo del tumore anche con 20 anni di anticipo. Abbiamo chiesto a Gianluca Pazzaglia, direttore del Breasting Center di Perugia e uno dei pochi medici che in Italia utilizzano il macchinario, di spiegarci come funziona e perché risulta una piccola rivoluzione nella cura del seno.
 
 
“Si tratta di un'apparecchiatura che massaggia, riscalda e applica una suzione in corrispondenza del capezzolo, e in questo modo tenta di estrarre una piccola quantità di liquido. A seconda che il liquido ci sia, che contenga cellule mammarie e in base al tipo di cellule estratte si stabilisce il rischio di sviluppare cancro al seno nella vita”, ha spiegato. “In base ai primi studi effettuati oltre 25 anni fa negli Stati Uniti si è visto che i profili non secretori, o secretori di tipo 0 o 1 (ovvero che presentano un liquido che non contiene cellule mammarie o le contiene in numero ristretto), hanno una possibilità di sviluppare il tumore nei successivi venti anni molto bassa. Al contrario, i profili secretori di tipo 2, 3 e 4, che vedono la presenza di cellule particolari nel liquido prelevato, hanno un rischio maggiore di presentare la malattia. Nello specifico parliamo di un rischio doppio rispetto alle prime”.
Una piccola rivoluzione, spiega Pazzaglia. “Fino ad oggi le indagini eseguibili, dalla mammaografia alla risonanza magnetica, fino alla più recente tomosintesi – che è una sorta di mammografia in 3D – potevano dare solo un quadro della situazione al momento dell'indagine, ma non offrivano la possibilità di fare previsioni a lungo termine”, ha detto. “Con il Pap-breast tutto questo cambia, e così se si riconosce un profilo ad alto rischio si può agire per ridurre il pericolo, ad esempio cambiando stile di vita o alimentazione, prescrivendo integratori specifici o intensificando la sorveglianza per la malattia, anche per le donne che non presentano una familiarità per il tumore, che ad oggi sono le uniche considerate ad alto rischio”.
La metodica è interessante, tanto che avrà spazio anche nel corso della prima conferenza di oncologia integrata Iss-Artoi (V Congresso Internazionale Artoi) che si svolgerà il 6 e 7 novembre a Roma. “Tuttavia, bisogna specificare che questo test non sostituisce gli altri metodi di indagine e gli strumenti di prevenzione come la mammografia, che continuano ad essere fondamentali”, ha precisato.
 
 
Insomma, un test che sicuramente può essere importante dal punto di vista della prevenzione e della diagnosi. Senza però sottovalutare tutte le possibilità di studio che apre, oltre a questo. “Si potrebbe per esempio comprendere se attività fisica o alimentazione possono far scendere un profilo 2 a un profilo 1, passando da un rischio alto a uno molto più basso”, ci ha detto Pazzaglia. “Tra l'altro partendo da una metodica che già sappiamo funzionare”. Chiaramente, il problema con questo tipo di studi è la mancanza di fondi. “Sono già dieci mesi che facciamo test, ma non sono riuniti all'interno di un trial, perché una sperimentazione coerente ha dei costi”, ha concluso. “Se ci fossero dei fondi sarebbe interessante predisporre un piano di studi, ma – come sappiamo – in tempo di crisi questo è ancora più complicato”. 

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