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Lunedì 21 OTTOBRE 2013
Ambiente. Gli igienisti: “Troppa burocrazia e poche certezze per i cittadini”

Focus al 46° Congresso della SItI appena concluso a Taormina. Sotto accusa la frattura tra competenze sanitarie e ambientali e la mancanza di valutazioni delle varie norme che spesso ignorano le priorità di salute. E poi la presenza di almeno 7 corpi ispettivi, molte volte non coordinati tra loro.

Gli studi di epidemiologia ambientale sono lunghi e difficili, il rischio di strumentalizzazione su temi ambientali è altissimo e le certezze per i cittadini sono poche. Anche di questo hanno discusso gli esperti igienisti nel corso del 46° Congresso Nazionale della Società Italiana di Igiene (SItI)  appena concluso a Taormina.

Michele Conversano, Presidente SItI, ha evidenziato come spesso" le norme ambientali vigenti non siano correlate con gli effetti sanitari, tanto che si sono riscontrati eccessi di malattie in presenza di limiti di legge rispettati. "L'Italia è un paese di controllori, di vigilanti e di burocrazie che affogano le imprese e lo sviluppo" ha sottolineato Carlo Signorelli, Vicepresidente della SItI e Assessore all'ambiente in Provincia di Lecco. Nel settore ambientale ci sono almeno 7 corpi ispettivi deputati ad attività di vigilanza e ispettive, spesso non coordinati tra loro, che portano a una scarsa efficacia del sistema, poche certezze per i cittadini sui reali rischi per la salute e ‘irruzioni’ sempre più frequenti della magistratura per reati ambientali”.

Oggi sono deputati, a vario titolo, ai controlli ambientali l'ISPRA, i NOE (Carabinieri), il Corpo Forestale dello Stato, le Polizie Provinciali, le Polizie Locali, le ASL con i laboratori (dove sono stati istituiti) e l'ARPA, creata dopo il referendum del 1993. A ciò si aggiungono i controlli dei gestori del Servizio idrico e gli autocontrolli, introdotti anni fa dalla legislazione comunitaria e oggi sempre più diffusi. Dalla sessione è emerso come il bilancio delle politiche ambientali italiane per la tutela della salute sia largamente deficitario, come provato da alcuni casi eclatanti quali la diossina in Campania, il caso Ilva, l'arsenico nelle acque oltre che le numerose procedure di infrazione UE aperte.

Una delle ragioni è la frattura mai sanata tra competenze sanitarie ed ambientali, la normativa UE talvolta inapplicabile e la mancanza di valutazioni di impatto sociale e sul mondo della produzione delle varie norme che spesso ignorano le priorità di salute sia in termini di veri rischi che di rischi presunti ma non provati. “Ciò – secondo gli igienisti - ha minato la credibilità del sistema favorendo frequenti strumentalizzazioni”.

Pierluigi Macini, Presidente della SItI Emilia-Romagna ha presentato i dati dello studio Moniter, sottolineando l'assenza di effetti sanitari significativi nelle popolazioni che hanno vissuto negli ultimi decenni attorno agli impianti di incenerimento dei rifiuti. Alfonso Gelormini, responsabile salute e igiene industriale ENI spa, ha citato uno studio Confindustria che dimostra che per il rilascio delle autorizzazioni ci sia un massimo di 12 mesi medi in Europa mentre in Italia si va da 14 mesi fino a 5 anni. E quando le aziende lamentano i costi delle burocrazie e delle prescrizioni fini a se stesse (una stima indica in 4,6 punti di PIL) i Governi, nella contingenza della crisi, reagiscono spesso con provvedimenti affrettati di apparente semplificazione ma spesso d'impatto complessivamente negativo, come la recente introduzione dell'Autorizzazione Ambientale Unica (AUA). "Le aziende - conclude Gelormini - condividono l'elemento etico degli studi ma temono la strumentalizzazione per cui incoraggiano e supportano studi epidemiologici seri e esaustivi.

Gabriella Aggazzotti, Ordinario di Igiene a Modena, ha sottolineato la lunghezza e la complessità delle ricerche su salute e ambiente e la necessità di studi approfonditi e di lunga durata per fornire risposte sostenibili ai decisori e ai cittadini.
 
 

 

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