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Mercoledì 30 OTTOBRE 2013
Cresce il numero di bambini colpiti da allergia da proteina del latte vaccino

Ma ridurre i rischi si può, con un corretto approccio clinico e laboratoristico volto definire con certezza il tipo di allergia alle proteine del latte vaccino e impostare la terapia giusta. Ad esempio tramite test per le IgE specifiche o un prick test cutaneo con latte vaccino naturale o con formula proteica. E, in caso, eliminare dalla dieta le proteine da latte vaccino.

Sono circa il 3% i bambini con meno di un anno di vita e neonati allattati al seno ad essere colpiti da allergia da proteina del latte vaccino (PLV), ma la percentuale è in crescita. La causa può essere l'assunzione diretta o il passaggio delle ‘sostanze nocive’ dalla dieta della mamma al latte. A dirlo sono dati diffusi da Paidòss (l’Osservatorio Nazionale sulla Salute dell’Infanzia e dell’Adolescenza) in occasione del 2nd International Conference and Exhibition on Probiotics & Functional Foods, appena conclusosi ad Orlando (Florida, USA).
 
Si tratta di allergie spesso sottovalutate o misconosciute per la variabilità della sintomatologia (che può interessare più distretti), o per le manifestazioni assimilabili anche ad altre cause, le allergie da proteine da latte vaccino – le PLV non sottoposte a processo di idrolizzazione, lo ricordiamo, sono contenute non solo nello stesso latte ma anche nel lattosio, nel latte artificiale in polvere e in altri prodotti simili – possono avere talvolta esiti anche importanti e pericolosi. Si va dai ricorrenti disturbi gastrointestinali con vomito, rigurgito e dolori addominali, a episodi che coinvolgono le vie aeree con tosse insistente, secrezione nasale e difficoltà respiratorie, fino a reazioni cutanee con eczemi, orticarie, angioedemi (edema delle labbra o delle palpebre) e, nei casi più gravi, arrivare allo shock anafilattico. “Le proteine del latte vaccino – spiega Giuseppe Mele, presidente di Paidòss – contenute anche nei latti artificiali, anche in polvere, comunque non sottoposte a processo di idrolizzazione, rappresentano una delle cause principali di allergia alimentare nei bambini piccoli con un picco di prevalenza del 2-3% nel primo anno di vita, mentre nei neonati allattati al seno materno insorge a causa del passaggio di queste sostanze dalla dieta materna al latte”.
 
Implicazioni, queste, che possono essere tenute sotto controllo con un corretto approccio clinico e laboratoristico con test per le IgE specifiche o un prick test cutaneo con latte vaccino naturale o con formula proteica, per definire con certezza il tipo di allergia alle proteine del latte vaccino e impostare la terapia giusta. “In caso di diagnosi accertata con esami specifici per le IgE specifiche o un prick test cutaneo da eseguirsi non prima dei 3 mesi, occorre eliminare dalla dieta le proteine da latte vaccino e, a seconda dell’età del bambino, della sintomatologia e dell’eventuale presenza di altre allergie alimentari, introdurre una formula sostitutiva estensivamente idrolizzata (ENS), con idrolizzati di caseina o di proteine del siero quale una fonte di azoto utile a ridurre il carico antigenico, e una miscela di carboidrati a base di malto destrine altamente digeribili per risolvere gli episodi di rigurgito senza lattosio e evitare le intolleranze secondarie”, ha spiegato ancora Mele. “La dieta di esclusione con l’impiego di una formula terapeutica che va scelta anche in base al residuo potenziale allergenico, alla composizione della formula, ai costi, alla disponibilità, al gradimento del bambino e all’efficacia, è indicata almeno per 6 mesi o fino all’età di 9-12 mesi. I bambini con reazioni immediate gravi, IgE mediate, devono rimanere in dieta di esclusione per 12 o anche 18 mesi prima di riprendere un’alimentazione normale previa ripetizione del test per le IgE specifiche”.
 

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