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Mercoledì 30 OTTOBRE 2013
Conciliare lavoro e maternità è possibile. Ma in Italia è ancora un miraggio

Una ricerca della Sapienza di Roma sfata il pregiudizio secondo il quale le donne-mamme perdono efficienza e produttività. Per il 90% degli intervistati (4.000 dipendenti di aziende private) non è così. Eppure figli e carriera sono inconciliabili per il 49% delle donne e la percentuale di italiane occupate dopo il primo figlio è del 59%, contro il 74% delle tedesche.

Le aziende italiane sono sempre più rosa e diminuiscono i pregiudizi sui limiti che la maternità comporta all’efficienza delle donne in carriera. Tuttavia conciliare lavoro e figli è ancora impossibile per il 49% delle donne ed è difficile per il 78%, secondo le quali la maternità limita le opportunità di carriera.

Sono questi alcuni dei risultati preliminari di un’indagine della Sapienza Università di Roma, che prosegue su un campione totale di quasi 4000 persone (dipendenti di grandi aziende private), per comprendere le attitudini personali verso la gravidanza e la maternità in ambito lavorativo, per valutarne empiricamente l’impatto sulle donne lavoratrici dipendenti, sui colleghi di lavoro e sulle organizzazioni di appartenenza.

Qual è la percezione della relazione tra livello di produttività sul lavoro e gravidanza/maternità? È possibile conciliare lavoro/carriera e maternità?  Le donne lavoratrici in gravidanza sono a rischio discriminazione? Le donne che lavorano, come vivono la loro gravidanza in azienda? Le attuali previsioni legislative sono adeguate rispetto alle esigenze delle donne in gravidanza? Come dovrebbero comportarsi le aziende? Questi, in sintesi, alcuni dei quesiti contenuti in un’indagine della Sapienza Università di Roma i cui risultati preliminari (circa 700 su quasi 4000 le persone finora intervistate) sono stati presentati ieri a Roma al Centro Nazionale delle Ricerche (CNR), in occasione dell’evento “Donna, salute e lavoro” promosso dai docenti dei dipartimenti di Diritto ed Economia delle Attività Produttive, di Ginecologia ed Ostetricia e di Management della Sapienza Università di Roma.

Dall’indagine emerge che il 90% degli intervistati (il totale è costituito per il 46% da donne, di cui il 78% con figli, e per il 54% da uomini, di cui l’81% con figli e per il 94,4% di età compresa tra i 35 e 55 anni) ritiene che la produttività della donna al lavoro non sia messa in alcun pericolo a causa della gravidanza e solo un 16% degli intervistati concorda invece con l’affermazione che la gravidanza renda la donna fisicamente limitata al lavoro, lasciando spazio ad un altro confortante 87% di intervistati che ha confermato di non aver percepito alcun tipo di diminuita efficienza e capacità sul lavoro da parte della propria collega in stato di gravidanza.

Se da un lato più squisitamente personale l’evento gravidanza in azienda sembra venir accolto e vissuto con una certa serenità ( l’87,5% delle donne ha dichiarato di aver comunicato quasi subito la notizia a colleghi e superiori, che nel 55% dei casi hanno reagito positivamente), dall’altro, il 78% degli intervistati continua a ritenere che la maternità rappresenti un limite alle opportunità di carriera di una donna e il 49% pensa che non sia conciliabile con il lavoro quando il contesto è altamente competitivo.

“In Italia  - ha dichiarato Donatella Caserta, professore ordinario di Ginecologia ed Ostetricia alla Sapienza Università di Roma e presidente del Congresso - la gravidanza in età avanzata (il 34,7% delle donne partorisce dopo i 35 anni) non è dovuta solo a ragioni meramente economiche (NB: il 99,2% del campione intervistato è assunto con contratto a tempo indeterminato), ma, piuttosto, è causata dalla paura della donna di essere tagliata fuori da ogni possibile progressione di carriera, avanzamento economico o di essere segregata ad anello debole della catena produttiva al suo rientro”.

Del resto, lo scenario complessivo resta allarmante: se da un lato, negli ultimi venti anni il numero di donne lavoratrici in Italia è cresciuto del 22,2%, in netta controtendenza rispetto a quello maschile che invece è sceso dello 0,3%, dall’altro, i dati occupazionali per coloro che decidono di affrontare la maternità, “sono decisamente sconfortanti, per non dire un vero e proprio deterrente”, spiegano i ricercatori.

In Italia, infatti, la percentuale di donne ancora occupate dopo il primo figlio è del 59% (dati Istat 2012), una percentuale di gran lunga inferiore rispetto a quella delle colleghe europee; rispetto alle tedesche che sono il 74%, rispetto alle svedesi, che continuano a lavorare nel 81% dei casi e rispetto alle spagnole, che si attestano sul 63%.

“I risultati preliminari di questa nostra indagine, soprattutto se analizzati in un contesto globale, richiedono una valutazione rigorosa ed empirica; il ruolo della donna all’interno delle aziende sta cambiando rapidamente e con esso, insorgono criticità un tempo sconosciute - ha dichiarato Flaviano Moscarini, docente di Economia Aziendale della Sapienza .

“Le aziende diventano sempre più ‘a trazione femminile’ eppure, ad un avanzamento del ruolo femminile, soprattutto nelle grandi organizzazioni produttive, non corrisponde ancora un adeguato riconoscimento della diversità biologica (che culmina nel momento della gravidanza) in ambito professionale.
 
“A titolo esemplificativo – ha aggiunto l’esperto -  il 76% dei primi intervistati ritiene che le aziende, al di là degli obblighi legislativi dovrebbero essere maggiormente orientate nel prevedere speciali benefici o regimi a favore delle dipendenti in gravidanza, mentre oltre il 94% pensa che un’azienda dovrebbe investire nella promozione di una cultura della maternità. Le aziende devono definire adeguate politiche di genere, oggi – ha concluso Moscarini -  per conseguire importanti vantaggi competitivi, domani”.

Secondo i ricercatori, meritano una attenta valutazione, in questo caso da parte del legislatore, i dati relativi alla percezione dell’adeguatezza delle tutele legislative per le madri lavoratrici: il 63% delle donne ritiene infatti poco o per niente adeguato il periodo di congedo di maternità di 5 mesi previsto dalla legge italiana, così come il 73% ritiene inadeguata la previsione di 1 giorno di congedo obbligatorio e 2 facoltativi per i padri.

“Occorre passare da una cultura diffusa, che considera la gravidanza come fonte di potenziali conflittualità, ad una cultura realmente improntata al sostegno della gravidanza e della maternità in azienda - ha dichiarato Mauro Gatti, Professore Ordinario di Organizzazione Aziendale alla Sapienza Università di Roma - ciò consentirebbe alla donna di poter essere pienamente valorizzata e, all’impresa, di sfruttare appieno il patrimonio di competenze che le donne sono in grado di esprimere”.

“La costruzione di un contesto organizzativo basato sulla fiducia facilita ed alimenta un dialogo continuo tra la donna e i vertici aziendali, consentendo di poter gestire in anticipo eventuali problemi lavorativi che la maternità potrebbe comportare. Per esempio - ha aggiunto Gatti - non possiamo trascurare il fatto che il 49% delle donne intervistate abbia riferito di non essere stata coinvolta dai propri superiori nelle decisioni riguardanti la sua posizione in azienda e l’organizzazione del suo lavoro per il periodo della sua  assenza. Il rischio -  ha concluso l’esperto - è che ad una iniziale serenità nell’affrontare e comunicare la notizia della gravidanza, subentrino timori e frustrazioni provocate dall’incertezza del proprio ruolo professionale al rientro in azienda”.

Del medesimo avviso il Consigliere Michele Baldi, secondo il quale le istituzioni locali e nazionali hanno il dovere di fornire alle aziende gli strumenti necessari al fine di poter mettere in atto strategie che fungano da propulsivo per tutte quelle donne che desiderano diventare madri e, al contempo, esprimere in pieno le proprie competenze professionali, prima durante e dopo la maternità.

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