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Giovedì 21 NOVEMBRE 2013
Congresso Simg. Intervista a Cricelli: “Il medico di famiglia deve cambiare. Presa in carico 'globale' del paziente"

"Il Mmg come è oggi non può più esistere. Dobbiamo seguire il paziente fin dal ricovero per un'assistena piena". Con un sistema in rete ospedale-territorio si possono tagliare fino al 35% dei ricorsi al pronto soccoroso". "Ma per farlo serve che si faccia sul sero. Creando veri e propri staff professionali e strumentali di supporto". Ecco la proposta Simg per il rilancio del Ssn.

La professione medica è perfettamente consapevole delle difficoltà del Paese. Ha un grande senso di responsabilità ed è pronta ad assumersi tutte le responsabilità. Anche più di quelle che le spetterebbero. I medici di famiglia possono costruire una rete di protezione sociale dei cittadini, ma devono essere messi in condizione di farlo. Per questo bisogna far partire veramente il sistema di cure primarie realizzando al più presto l’integrazione ospedale territorio.
 
È questo il messaggio che arriva dal 30° congresso nazionale della Simg in corso a Firenze. Per i medici di famiglia la realizzazione dell'integrazione tra ospedale e territorio non è più procrastinabile anche perchè un suo rinvio porterebbe alla scomparsa del Ssn.
Ne abbiamo parlato con Claudio Cricelli, presidente della Simg, che in questa intervista ha ricordato che la medicina generale deve essere e rimanere il primo Lea.
 
“Il sistema costa troppo e non è più in grado di rispondere ai bisogni reali dei cittadini – ha spiegato Cricelli – e l’unica reale alternativa è rappresentata da un nuovo modello di assistenza, in cui ospedale e territorio sono strettamente connessi. In Toscana tutto questo è stato realizzato con grandi risultati: siamo riusciti ad evitare ricoveri impropri in ospedale fino al 35% dei casi e gli intasamenti dei pronto soccorso, con notevole risparmio di risorse. Si chiama sistema di cure primarie integrate e intercetta i bisogni di salute prima che si trasformino in malattie”.
 
Dottor Cricelli, la soluzione per uscire dall’impasse è l’integrazione ospedale e territorio. Un leit motive che ascoltiamo ormai da tempo. Cosa bisognerebbe fare secondo lei?
Semplicemente bisogna mettersi d’accordo per prefigurare dove deve andare l’ospedale e fin dove devono e possono arrivare le cure primarie. Bisogna quindi programmare e analizzare caso per caso come dimensionare l’intensità di cure del territorio. Questa è un’operazione che da trent’anni stanno conducendo in moltissimi paesi e la possiamo benissimo realizzare anche noi.
 
Mi spieghi? 
La figura del medico di medicina generale che lavora con modalità tradizionali non può più esistere. Ormai dobbiamo tararci su un sistema che è in grado di prendere in carico il paziente a casa dopo le dimissioni dall’ospedale. Ma già durante il ricovero devono essere attivati i meccanismi per assistere il paziente sul territorio. Per questo bisogna predisporre tutti gli interventi necessari, dall’accoglienza al supporto domiciliare, in continuità con l’ospedale. Dobbiamo passare dalla medicina di attesa a quella della presa in cura, con la realizzazione di un modello a ‘media intensità di cura e assistenza’. Ossia dobbiamo arrivare alla medicina generale per intensità di cure. Ma quello che serve è che si dica chiaramente: “Cari medici ora si cambia, d’ora in avanti vi diamo uno standard con una serie di requisiti minimi che dovete rispettare, poi vi diamo anche il compito di individuare un elenco di obiettivi che dovete raggiungere: ad esempio farvi carico di tutte le dimissioni chirurgiche, e via discorrendo”. Certo per fare tutto questo devo anche avere infermieri, medicazioni, strumenti per monitoraggio.
 
Questo si traduce in costi. Peccato che i soldi non ci siano. 
Attenzione le risorse ci sono, vanno solamente ripartite in maniera differente. Le risorse vanno distribuite laddove ci sono delle priorità.
 
Bisogna riscrivere tutto?
Il Decreto Balduzzi ha già dato delle indicazioni importantissime, ora serve una linea di indirizzo.  E mi aspetto che questa linea d’indirizzo la diano i Lea, quindi il Patto per la Salute. La questione è che la medicina generale deve essere il primo Lea. E va riconosciuto e sostenuto.
 
E.M.

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