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Lunedì 30 DICEMBRE 2013
Coesione sociale. Il Rapporto: "Nascite in calo. Disoccupati a quota 2,7 milioni e il 12,7% delle famiglie è povero"

Presentato il 4° Rapporto di Inps, Istat e Ministero del Lavoro. Un quadro a tinte fosche dove spiccano i dati sulla crescita del tasso di disoccupazione al 10,7% (+ 2,3% rispetto al 2011) che sale addirittura al 35% per i giovani (+ 6% dal 2011) e della povertà che dal 2005 è raddoppiata. Volume 1 e Volume 2.

L'Inps, l’Istat e il Ministero del lavoro e delle politiche sociali hanno presentato il quarto Rapporto sulla Coesione sociale. Anche quest’anno il rapporto è articolato in due volumi, il primo è una guida ai principali indicatori utili a rappresentare la situazione nel nostro Paese e la sua collocazione in ambito europeo.
 
L’obiettivo è quello di fornire, in modo particolare ai policy maker, le indicazioni basilari per conoscere le situazioni economiche e sociali sulle quali intervenire per migliorare le condizioni di vita delle persone.
Il secondo si compone di una serie di tavole statistiche che offrono dati, generalmente aggiornati al 2012, articolati a diversi livelli territoriali per consentire comparazioni regionali e internazionali. A questo fine sono state utilizzate indagini statistiche ed archivi amministrativi nazionali (di fonte Inps, Ministero del lavoro e Istat) e fonti internazionali (Eurostat e Ocse).
 
Quadro socio-demografico e proiezioni
Le nascite stanno lentamente calando nel nostro Paese. Nel 2012, i nati della popolazione residente sono poco più di 534 mila (547 mila del 2011 e 562 mila del 2010). Più di un bambino su quattro (28,3%) è nato fuori del matrimonio, quasi il triplo rispetto al 2000 (10,2%). E’ in continuo aumento la quota di bambini nati da coppie in cui almeno uno dei genitori è straniero (dal 13% del 2005 a quasi il 20% del 2011) e quella di nati da genitori stranieri (dal 9,4 del 2005 al 14,5% del 2011). Il numero medio di figli per donna risulta in lieve aumento per le donne italiane (fra il 2005 e il 2011 è passato da 1,2 a 1,4 figli) mentre è in calo per le straniere (da 2,4 figli a testa nel 2005 a 2).
 
Continua ad aumentare l’aspettativa di vita della popolazione italiana, che nel 2011 si attesta a 79,4 anni per gli uomini e a 84,5 per le donne (stessi valori registrati per il 2010), con un guadagno rispettivamente di circa nove e sette anni in confronto a trent’anni prima. Il trend è crescente anche per le persone in età avanzata: un uomo di 65 anni può aspettarsi di vivere altri 18,4 anni e una donna altri 21,9 anni, un ottantenne altri 8,3 e una ottantenne 10,1 anni. A livello territoriale, l’area del Paese più longeva è quella del Centro nord.
I bassi livelli di fecondità, congiuntamente al notevole aumento della sopravvivenza, rendono l’Italia uno dei paesi più vecchi al mondo. Al 1° gennaio 2012 si registrano 148,6 persone over 65 ogni 100 giovani under 14, a metà degli anni Novanta se ne contavano 112. E’ un trend destinato a crescere, secondo le previsioni, nel 2050 ci saranno 263 anziani ogni 100 giovani.
 
Cresce contestualmente anche l’indice di dipendenza, misurato dal rapporto percentuale fra la popolazione in età non attiva (0-14 anni e 65 e più) e quella in età attiva (15-64 anni), che passa dal 45,5% del 1995 al 53,5 del 2011. Nel 2050 si prevede che sarà pari a 84. 2
 
Mercato del lavoro
Nel 2012 gli occupati sono 22 milioni 899 mila, 69 mila in meno rispetto alla media del 2011. Il tasso di occupazione della popolazione 20-64 è pressoché stabile da qualche anno (61% nel 2012, 61,2% nel 2011), ma è sceso di due punti percentuali dal 2008. Il calo più vistoso è quello registrato dal tasso di occupazione per la classe di età 15-24, che dal 2008 ha perso 5,8 punti percentuali, passando dal 24,4 al 18,6%. Gli occupati a tempo determinato sono 2 milioni 375mila, il 13,8% dei lavoratori dipendenti. Si tratta in gran parte di giovani e donne. Gli occupati part-time sono invece 3 milioni 906 mila, il 17,1% dell’occupazione complessiva. In quest’ultimo caso prevale nettamente la componente femminile.
 
I disoccupati sono 2 milioni 744 mila, 636 mila in più rispetto al 2011. Il tasso di disoccupazione ha raggiunto il 10,7%, con un incremento di 2,3 punti percentuali rispetto al 2011 (4 punti percentuali in più rispetto al 2008). Il tasso di disoccupazione giovanile supera il 35%, con un balzo in avanti rispetto al 2011 di oltre 6 punti percentuali (14 punti dal 2008).
 
Il tasso di disoccupazione della popolazione straniera si attesta nel 2012 al 14,1% (+2 punti percentuali rispetto al 2011). I valori più alti si registrano al Nord dove il tasso raggiunge il 14,4% (16,3% per la componente femminile).
 
Sempre nel 2012, la retribuzione mensile netta è di 1.304 euro per i lavoratori italiani e di 968 euro per gli stranieri. In media, la retribuzione degli uomini italiani è più elevata (1.432 euro) di quella corrisposta alle connazionali (1.146 euro). Il divario retributivo di genere è più accentuato per la popolazione straniera, con gli uomini che percepiscono in media 1.120 euro e le donne soltanto 793. Rispetto al 2011, il salario netto mensile è rimasto quasi stabile per gli italiani (4 euro in più) mentre risulta in calo di 18 euro per gli stranieri, il valore più basso dal 2008. I lavoratori sovra istruiti (cioè in possesso di un titolo di studio più elevato rispetto a quello prevalentemente associato alla professione svolta) sono il 19% circa dei lavoratori italiani mentre la quota supera il 40% fra i lavoratori stranieri e raggiunge il 49% fra le occupate straniere.
 
Capitale umano
Negli ultimi anni si è ridotta la capacità dell’università di attrarre giovani. Il tasso di passaggio (ovvero il rapporto percentuale tra immatricolati all’università e diplomati di scuola secondaria superiore dell’anno scolastico precedente) è sceso al 58,2% nell’anno accademico 2011/2012 dal 73% del 2003/2004, anno di avvio della Riforma dei cicli accademici.
Fra coloro che hanno conseguito una laurea nel 2007, nel 2011 risultano occupati quasi sette laureati di primo livello su dieci, otto su dieci in corsi di laurea specialistica/magistrale biennale, e sette su dieci con laurea a ciclo unico. Trovare un impiego dopo la laurea è più difficile per i laureati che vivono abitualmente nel Mezzogiorno e per le donne. Lo svantaggio si riscontra per tutte le tipologie di laurea.
Crescono gli alunni con cittadinanza straniera. Nell’anno scolastico 2011/2012 sono 9,2 ogni 100 iscritti nella scuola dell’infanzia (rispetto ai 5,7 del 2006/2007); 9,5 nella scuola primaria (6,8 nel 2006/2007); 9,3 nella scuola secondaria di primo grado (6,5 nel 2006/2007); 6,2 nella secondaria di secondo grado (3,8 nel 2006/2007).
 
Tra l’anno scolastico 2006/2007 e quello 2011/2012 il tasso di partecipazione al sistema di istruzione e formazione passa da 93,9% a 99,3% mentre si riduce da 79,9 a 76,2 la percentuale di diplomati tra le persone di 19 anni.
 
Nel 2012, sono il 37,8% i giovani 18-24enni che hanno conseguito al massimo la licenza media e non stanno seguendo alcun corso di formazione (25,8% nel Mezzogiorno). Fra questi, quasi uno su quattro sta cercando attivamente un lavoro mentre il 38,5% risulta inattivo (49,1% nel Mezzogiorno). Infine, nel 2012 hanno abbandonato gli studi 758 mila giovani tra i 18 e i 24 anni. Si tratta del 17,6% della popolazione di quella fascia di età (percentuale che sale al 41,3% se si considerano solo gli stranieri). Nei paesi dell’Europa a 15 questo valore non arriva al 14% e l’Italia fa meglio solo di Spagna (24,8%) e Portogallo (20,8%)
 
Conciliazione tempo di lavoro e cura della famiglia
Maternità e congedi parentali dei lavoratori del settore privato e autonomi
Nel 2012, i lavoratori dipendenti beneficiari di maternità obbligatoria sono circa 360mila. Fra le neo-mamme, il 91% ha un contratto a tempo indeterminato (e vive al Nord nel 57,2% dei casi), il 9% ne ha uno a tempo determinato (di cui il 50% concentrato nel Sud e Isole).
Nel 2012 ammontano a circa 285mila i lavoratori dipendenti che hanno usufruito di congedi parentali (astensione facoltativa). Di questi, il 93,3% ha un contratto a tempo indeterminato (nel Nord si concentra il 64,7% dei congedi parentali con contratti a tempo indeterminato). Fra i lavoratori che hanno goduto dei congedi parentali pur non avendo il posto fisso (6,7%), quasi i tre quarti sono concentrati al Sud e nelle Isole. I congedi parentali sono ancora poco utilizzati dai padri, ne ha usufruito appena l’11% dei lavoratori dipendenti.
 
Permessi L. 104/1992 e prolungamento dei congedi parentali e congedi straordinari ai lavoratori dipendenti del settore privato
Nel 2012 sono complessivamente 356mila i fruitori di prestazioni per i lavoratori con handicap o per l’assistenza di persone con handicap nel settore privato, di cui il 51% maschi e il restante 49% femmine. Il 77,9% sono coloro che hanno fruito di permessi per familiari, l’11,7% di permessi personali e il restante 10,4% del prolungamento del congedo parentale o del congedo straordinario.
 
Salute
Malattia dei lavoratori dipendenti
Nel 2012 sono stati trasmessi circa 11 milioni 738 mila certificati di malattia per il settore privato e 5 milioni 477mila per la pubblica amministrazione. Nella distribuzione regionale del numero dei certificati di malattia trasmessi, la Lombardia è al primo posto per il settore privato e il Lazio per il comparto della pubblica amministrazione.
Nel 2012 il Sud è la ripartizione con il numero medio di giornate per evento più alto (11,4) per il settore privato, mentre per quello pubblico c’è scarsa variabilità rispetto alla media nazionale, pari a 6,4 giorni per evento.
Per l’anno 2012 il numero complessivo di eventi malattia è pari a circa 9 milioni per il settore privato e a 4,5 milioni per la pubblica amministrazione. Analizzando tali eventi per classe di durata, si osserva che, in entrambi i settori, la classe di maggior frequenza è “fino a 3 giorni” (43,5% per il settore privato e 62,5% per la pubblica amministrazione).
Tra i due comparti diversa è anche la distribuzione per genere con il 57% dei maschi nel settore privato contro il 31% nella pubblica amministrazione.
 
Povertà
Povertà deprivazione ed esclusione sociale
Nel 2012, si trova in condizione di povertà relativa il 12,7% delle famiglie residenti in Italia (+1,6 punti percentuali sul 2011) e il 15,8% degli individui (+2,2 punti). Si tratta dei valori più alti dal 1997, anno di inizio della serie storica. La povertà assoluta colpisce invece il 6,8% delle famiglie e l’8% degli individui. I poveri in senso assoluto sono raddoppiati dal 2005 e triplicati nelle regioni del Nord (dal 2,5% al 6,4%). Nel corso degli anni, la condizione di povertà è peggiorata per le famiglie numerose, con figli, soprattutto se minori, residenti nel Mezzogiorno e per le famiglie con membri aggregati, in cui convivono più generazioni. Fra queste ultime una famiglia su tre è relativamente povera e una su cinque lo è in senso assoluto. Le famiglie con tre o più minori risultano relativamente povere nel 17,1% dei casi, con un balzo in avanti di circa 6 punti percentuali solo tra il 2011 e il 2012. Un minore ogni cinque vive in una famiglia in condizione di povertà relativa e uno ogni dieci in una famiglia in condizione di povertà assoluta, quest’ultimo valore è più che raddoppiato dal 2005.
 
La povertà relativa mostra alcuni segnali di miglioramento fra gli anziani; tuttavia, una vulnerabilità in termini economici permane soprattutto nel Mezzogiorno, dove risulta relativamente povero il 27,2% degli anziani (7,9% quelli assolutamente poveri).
In Italia il sistema di trasferimenti sociali è meno efficace nel contenere il rischio di povertà rispetto ad altre realtà nazionali del contesto europeo: la quota di popolazione a rischio di povertà dopo i trasferimenti sociali è più bassa solo del 5% rispetto a quella prima dei trasferimenti. Nei Paesi Scandinavi questa stessa differenza supera ampiamente il 10%, mentre è vicina al 10% in Francia e Germania.
Nel 2012 l’indicatore sintetico “Europa 2020”, che considera le persone a rischio di povertà o esclusione sociale, ha quasi raggiunto in Italia il 30%, soglia superata, tra i paesi dell’Europa a 15, solo dalla Grecia.
 
Politiche di sostegno al reddito
Politiche attive per il lavoro
Sono gli uomini a fruire maggiormente delle misure di politiche attive del lavoro, ad eccezione di alcune particolari tipologie delle quali beneficiano maggiormente le donne, come le agevolazioni per assunzioni in sostituzione di astensione obbligatoria e i contratti di inserimento.
Sotto il profilo territoriale, le misure di politiche attive del lavoro trovano applicazione soprattutto al Nord. Ci si riferisce, in particolare alle assunzioni agevolate in sostituzione di lavoratrici in astensione obbligatoria (circa il 68% è concentrato in Lombardia, Veneto ed Emilia Romagna).
Altre misure, invece, sono più diffuse nel Sud della penisola: si tratta, in particolare, delle assunzioni agevolate di disoccupati, dei beneficiari di Cassa Integrazione Guadagni Straordinaria (CIGS) da almeno 24 mesi, di giovani già impegnati in borse di lavoro (concentrati per il 57% al Sud, specie in Campania, e per il 31% nelle Isole, soprattutto in Sicilia) e di contratti di inserimento (che vengono sottoscritti in questa area del Paese nel 53% dei casi).
 
Disoccupazione
L’analisi della disoccupazione non agricola e speciale edile mostra che rispetto al 2010 il numero medio annuo dei beneficiari nel 2011 e nel 2012 è cresciuto ancora, rispettivamente del 4,2% e del 21,1%. La composizione per genere del numero medio di disoccupati si è mantenuta più o meno costante nel periodo 2010 - 1° semestre 2013, con una prevalenza di maschi, che rappresentano circa il 55,0% del totale.
L’analisi sull’evoluzione longitudinale mensile dei beneficiari del trattamento di disoccupazione ordinaria non agricola e speciale edile mostra che, mediamente, a sei mesi dall’entrata in disoccupazione un disoccupato su due si rioccupa (il 14,7% delle assunzioni è a tempo indeterminato) e a dodici mesi la percentuale sale al 62% (circa il 16,2% delle assunzioni è a tempo indeterminato); l’1,8% va in pensione.
Maggiore difficoltà si osserva per i beneficiari di 50 anni e oltre, le cui percentuali di reimpiego sono molto al di sotto della media; tuttavia si registra contestualmente un ovvio incremento delle uscite per pensionamento per la medesima classe di età.
La durata dei contratti a tempo determinato è variabile per le diverse generazioni e antidurate, ossia correlata al tempo trascorso percependo l’indennità di disoccupazione ed è mediamente di circa cinque mesi.
A partire da gennaio per la disoccupazione involontaria del settore non agricolo sono entrate in vigore le nuove prestazioni ASPI e mini ASPI.
 
Mobilità
Il numero medio annuo di beneficiari di indennità di mobilità mostra un incremento del 10,3% nel 2011, del 19,4% nel 2012 e del 3,3% nel 1° semestre 2013.
L’analisi longitudinale su due generazioni di nuovi beneficiari di indennità di mobilità mostra, per la generazione del 2005, che dopo sette anni il 49,2% della coorte iniziale è in attività lavorativa e il 29,8% è pensionato. 6
 
Risulta pari al 50,8% il numero di beneficiari di genere maschile che è in attività a distanza di sette anni, mentre la percentuale dei pensionati è del 33%; per le donne l’incidenza è rispettivamente del 46,8% per quelle in attività e del 25,3% per le pensionate. Per gli ultracinquantenni la situazione è molto diversa: dopo sette anni la percentuale di beneficiari in attività è solo del 9,1% mentre quella di pensionati sale all’80%.
 
Invalidità e assegni sociali
Al 31 dicembre 2012 ammontano a circa 4 milioni 328 mila i pensionati d’invalidità e assegni sociali, 2 milioni 52 mila sono maschi e 2 milioni 276 mila femmine. Fra i pensionati residenti in Italia, il 20,2% vive nel Nord-ovest, il 15,8% nel Nord-est, il 29,9% nel Centro, il 29,1% nel Sud e il 14,0% nelle Isole. Nella distribuzione per età, la classe più numerosa è quella degli ultraottantenni (35,0%). Il 51,2% dei pensionati d’invalidità e assegni sociali percepisce un importo lordo mensile inferiore a 1.000 euro, il 25,2% un importo mensile compreso tra 1.000 e 1.500 euro, appena l’1,7% riceve un importo superiore ai 3.000 euro mensili.
 
Il numero di pensioni di invalidità previdenziale è pari a 1 milione 314mila, di cui 615 mila percepite dagli uomini e 700mila dalle donne, con un importo medio annuo rispettivamente di 9.826 e 6.689 euro. Le pensioni d’invalidità previdenziale, i cui titolari risiedono in Italia, si distribuiscono sul territorio per il 17,0% nel Nord-ovest, per il 14,3% nel Nord-est, per il 21,2% nel Centro, per il 32,7% nel Sud e per il 14,8% nelle Isole. Anche in questo caso la classe di età più numerosa è quella degli ultraottantenni, con 608mila pensioni d’invalidità previdenziale, mentre appena lo 0,1% viene erogata a persone under30.
L’88,4% delle pensioni d’invalidità previdenziale è sotto i mille euro mensili, mentre solo l’1,2% è sopra i duemila.
Nel 2012 sono state erogate oltre 3 milioni 185 mila pensioni di invalidità civile, circa 1 milione 274 mila a uomini e 1 milione 911 mila a donne, che vivono nel 20,7% dei casi nel Nord-ovest, per il 14,9% nel Nord-est, per il 20,2% nel Centro, per il 29,6% nel Sud e per il 14,7% nelle Isole.
 
Le rendite per gli infortuni sul lavoro sono circa 700 mila nel 2012, di cui più di 601 mila assegnate a uomini e circa 99 mila a donne. L’importo medio annuo erogato è pari a 4.601 euro. La classe di età più numerosa è sempre quella degli ultraottantenni, con 146 mila rendite per infortunio, segue quella 70-74 anni con 104 mila, e quella 75-79 anni con 101 mila, mentre la meno numerosa è la classe sotto i 30 anni. Quasi il 95% delle rendite erogate per infortunio sul lavoro ha un importo medio mensile inferiore a mille euro.
Il numero delle pensioni di guerra è pari a circa 92 mila, delle quali l’86% erogate a uomini. Il 16,5% di queste pensioni è concentrato nel Nord-ovest, il 18,5% nel Nord-est, il 29,1% al Centro, il 24,0% al Sud e l’11,9% nelle Isole. L’importo medio annuo è di 9.538 euro.
 
La classe di età più numerosa è quella degli ultraottantenni, mentre solo lo 0,7% delle pensioni di guerra interessa le classi fino a 29 anni.
L’89,5% delle pensioni di guerra presenta un importo medio mensile inferiore ai mille euro, l’8,8% è compreso fra mille e duemila euro, e la restante quota ha un importo superiore ai duemila euro. Rispetto al 2010, il numero delle pensioni di guerra è diminuito del 12,9%.
Sono circa 837 mila le pensioni e assegni sociali erogati nel 2012, di cui 283 mila corrisposte a uomini e 554 mila a donne. L’importo medio annuo è di 5.088 euro.
 
Sul territorio queste pensioni si distribuiscono per il 15,6% nel Nord-ovest, l’11,2% è nel Nord-est, il 20,0% al Centro, il 33,8% al Sud e il 19,4% nelle Isole. La classe di età più numerosa è quella dei 65-69enni, con oltre 280 mila pensioni erogate. Rispetto al 2010 aumentano leggermente sia il numero di pensioni e assegni sociali (+4,7%) erogati nel 2012 sia il relativo importo medio annuo (+5,6%).
 
Servizi sociali
Asili nido
Nell’anno scolastico 2011/2012 sono 155.404 i bambini fra zero e due anni compiuti iscritti agli asili nido comunali; altri 46.161 usufruiscono di asili nido convenzionati o sovvenzionati dai Comuni. In totale ammontano a 201.565 gli utenti dell’offerta pubblica complessiva.
Nel 2011, la spesa impegnata dai Comuni per gli asili nido è di circa 1 miliardo e 534 milioni di euro: il 18,8% è rappresentato dalle quote pagate dalle famiglie, pertanto quella a carico dei Comuni è di circa 1 miliardo e 245 milioni di euro.
 
Fra il 2004 e il 2011 aumenta del 46,4% la spesa corrente per asili nido, al netto della compartecipazione pagata dagli utenti, con un deciso rallentamento nell’ultimo anno (+1,5% sul 2010). Nello stesso periodo cresce del 37,9% il numero di bambini iscritti agli asili nido comunali o sovvenzionati dai Comuni (oltre 55 mila in più) malgrado il lieve calo registrato nell’ultimo anno (-0,4%).
La quota di domanda soddisfatta rispetto al potenziale bacino di utenza (residenti fra zero e due anni) è passata dal 9,0% dell’anno scolastico 2003/2004 all’11,8% del 2011/2012.
Si confermano estremamente rilevanti le differenze territoriali: i bambini che frequentano asili nido comunali o finanziati dai comuni variano dal 3,5% del Sud al 17,1% del Nord-est, mentre la percentuale di Comuni che garantiscono la presenza del servizio passa dal 24,3% del Sud all’82,6% del Nord-est.

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