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Venerdì 03 GENNAIO 2014
Ciao 2013/7. Troise (Anaao): “Un anno inutile e dannoso”

È questo il bilancio di fine anno tracciato dal segretario dell’Anaao Assomed, secondo il quale si sono acuiti tutti in fattori negativi già manifestati negli anni precedenti. Ma per il 2014 non si dà per vinto. E spera che il ricambio generazionale che ha investito la politica possa coinvolgere anche la sanità

Boccia e senza appello le politiche sanitarie del 2013, Costantino Troise, segretario dell’Anaao Assomed. Molte le occasioni perse. A partire dal blocco dei contratti fino alla mancata legge sulla responsabilità medica. Soprattutto la voce sanità non figura nell’agenda politica. Quindi, come ha ironicamente ricordato, “per sentire parlare di sanità, anzi di salute, nelle aule del Parlamento bisogna aspettare uno starnuto del presidente del Consiglio”. La responsabilità degli obiettivi non centrati? Per Troise, è sicuramente del Governo e delle Regioni. Tuttavia anche le categorie professionali non sono immuni da colpe: non sembrano aver avvertito in pieno la criticità del momento.
 
Dottor Troise, com’è andato questo 2013 per la sanità?
È stato un anno inutile e dannoso. Si sono acuiti tutti in fattori negativi, sia per il sistema sanitario sia per la dirigenza medica, già manifestati negli anni precedenti fin a culminare in una paradossale una vessatoria proroga al 2014 del blocco del contratto nazionale e di quelli accessori. Una vittoria di Tremonti senza Tremonti. In sostanza, larghe intese o strette intese che siano, l’ossessione del Governo verso il Pubblico impiego è rimasta la stessa. E nello scenario della dipendenza non si è tenuto conto delle specificità svolte. Ancora, non solo sono stati lasciati al palo tutti i problemi che avevamo denunciato già nel 2012, ma si sono aggiunti danni ai danni. C’è stata una curiosa afasia della politica che ha fatto sì che il processo di disgregazione del sistema andasse avanti senza esplicitare la volontà di voler smantellare il Ssn.
 
Quali sono secondo lei le occasioni perse?
La sanità è stata esclusa dall’agenda politica, a cominciare dalla mancata legge per dare risposte chiare ed esaustive alla responsabilità professionale e all’obbligo assicurativo connesso, tant’è che il Governo si è visto costretto a un’ulteriore proroga di questo obbligo. È stato smarrito il valore lavoro per cui le condizioni di lavoro sono peggiorate in tutti gli ospedali a scapito della sicurezza delle cure. Il sistema della formazione medica ha continuato il suo cammino verso il collasso: non è un caso che ministro dell’Università abbia parlato di una vera emergenza nazionale. Il precariato continua imperterrito a proliferare, anche se va detto che l’ultimo Dpcm ci regala per il 2014 una parziale soluzione. La furia devastatrice dei tagli ai posti letto e il blocco del turn over, assolutamente paranoico in metà del Paese, stanno infine escludendo dalla garanzia dei Lea ben 11 Regioni.
 
Insomma uno scenario negativo. Chi mette su banco degli imputati?
Se lo potrebbero contendere a pari merito Governo e Regioni. Il ministero della Salute accetta di essere una dependance all’Economia e di funzionare da pallido contraltare di un potere delle Regioni che sta diventando strabordante fino a volersi estendere alle competenze professionali. È un ministero che non esercita un ruolo unificante per la garanzia dei diritti, e neanche d’indirizzo nei confronti delle Regioni. Qualcuno ha detto che per sentire parlare di sanità, anzi di salute nelle aule del Parlamento bisogna aspettare uno starnuto del presidente del consiglio. Le Regioni stanno attuando una politica di abbandono in cui non c’è alcuna attenzione per il Sud e propongono la panacea dei costi standard come se fosse il miracolo della sanità italiana. Ma anche le categorie professionali hanno qualche colpa. Devono farsi un esame di coscienza: se è vero che molto è stato fatto, anche di più rispetto a quello che apparentemente si poteva realizzare, è altrettanto vero che non sembrano avvertire in pieno la criticità del momento e non sembrano in grado di proporre un reale cambiamento.
 
È quindi poco ottimista sulla possibilità di realizzare un recupero nel 2014?
Chi fa sindacato non può non essere ottimista. Non possiamo darci per vinti prima di partire. Speriamo che il ricambio generazionale che ha investito la politica, e prima ancora il parlamento, possa coinvolgere anche la sanità fin ora ignorata da questi processi di rinnovamento.
 
Quindi il Governo Letta dovrebbe proseguire il suo cammino o sarebbe preferibile andare subito alle urne?
Per risolvere i problemi serve una stabilità politica, e mi pare che attualmente non esistano le condizioni per cui un ritorno immediato alle urne possa produrre una maggioranza stabile.
Certo, i Governi hanno il compito di legiferare per attuare cambiamenti costruttivi e difendere i diritti dei cittadini, quindi nel momento in cui questo diventasse impossibile bisognerà necessariamente intervenire. Come diceva Andreotti “campare è sempre meglio che tirare le cuoia”. Però come lui stesso ha dimostrato, a tutto c’è un limite.
 
Ester Maragò

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