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Martedì 01 APRILE 2014
Infarto post-operatorio. Sembra impossibile prevenirlo. Fallisce il grande studio internazionale su aspirina e clonidina

Condotto in 23 paesi su 10mila pazienti doveva valutare efficacia e sicurezza di aspirina e clonidina come farmaci preventivi delle complicanze cardiovascolari dopo un intervento chirurgico. Ma i risultati sono stati negativi. La ricerca, presentata a Washington al congresso dell’ACC, pubblicata sul New England Journal of Medicine

Sono circa 200 milioni le persone che ogni anno si sottopongono ad un intervento chirurgico non cardiaco. Circa l’8% degli pazienti operati di età superiore ai 45 anni nei giorni successivi all’intervento presentano una complicanza cardio-vascolare importante, in primo luogo l’infarto. Questa complicanza spesso decorre in maniera inapparente, ma non per questo gli infarti perioperatori sono meno pericolosi: la mortalità a 30 giorni arriva al 10%. E’ generalmente accettato che alla base di questa complicanza ci sia l’attivazione piastrinica e la conseguente trombosi. Ma un ruolo importante può essere giocato anche dall’attivazione nervosa simpatica centrale, per la quale sono state già tentate strategie, quali la somministrazione di beta-bloccanti che riducono il rischio di infarto peri-operatorio, ma aumentano quello di ictus e di mortalità.

Muovendo da queste considerazioni, un gruppo di ricercatori della McMaster University (Ontario, Canada) ha organizzato il POISE-2 (Perioperative Ischemic Evaluation 2), un imponente studio clinico randomizzato con un disegno fattoriale 2x2, svolto in 23 Paesi del mondo. Sono stati arruolati 10.011 pazienti, con lo scopo di valutare separatamente l’efficacia e la safety di aspirina versus placebo e di clonidina versus placebo, nei soggetti a rischio di un evento vascolare peri-operatorio.

I risultati di questi due interventi di prevenzione sono stati entrambi negativi. I soggetti trattati con aspirina (200 mg prima dell’intervento, poi 100 g al giorno) non hanno presentato differenze nell’endpoint primario (infarto e mortalità) rispetto al gruppo di controllo; al contrario i sanguinamenti, anche importanti, sono stati molto più frequenti nei soggetti trattati con aspirina (4,6% contro il 3,8% del gruppo placebo). E’ noto che le emorragie rappresentano un fattore di rischio indipendente per infarto; dunque è anche possibile che l’aspirina data in prevenzione sia in grado di proteggere dagli infarti peri-procedurali, ma questo effetto verrebbe comunque annullato dagli infarti causati dalle emorragie. Altro punto da considerare è che il 65% dei soggetti operati era in trattamento con anticoagulanti in via preventiva. Gli autori concludono comunque che l’aspirina non rappresenta un intervento salva-vita in fase perioperatoria e che il momento ideale per riassumere questo antiaggregante è a distanza di 8-10 giorni dall’intervento chirurgico.

Negativi i risultati anche per l’altra presunta strategia preventiva, la clonidina un vecchio farmaco antipertensivo, che riduce l’attivazione nevosa simpatica centrale e in più ha anche effetti analgesici e antinfiammatori. Nel gruppo trattato con clonidina (0,2 mg/die per 72 ore, subito dopo l’intervento chirurgico) l’endpoint primario (infarto e mortalità) è risultato sovrapponibile a quello del gruppo di controllo; più numerosi sono invece risultati gli episodi di ipotensione clinicamente importante e di bradicardia nel gruppo trattato con clonidina.
Insomma, una strategia sicura ed efficace per prevenire gli infarti post-operatori resta ancora tutta da definire.
 
 
Maria Rita Montebelli

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