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Lunedì 07 APRILE 2014
Tagli alla sanità/2. La relatività dei numeri. Che prescindono dal “magna magna”

Si infittiscono gli allarmi alla vigila del Def. Ma nessuno sembra tener conto della relatività dei dati sulla nostra spesa sanitaria se considerati al lordo della corruzione (6 mld l’anno) e al netto di una qualsiasi strategia di marcia

Sapete cosa sono i fattoidi? No? Ve lo dico io: "qualcosa che viene accettato come un fatto, anche se non può essere vero" (Oxford english dictionary).Quindi qualcosa di non verificato, dei  “dati pseudo” o delle informazioni fallaci .
 
Tra il 2 aprile e il 3 aprile proprio come nella notte di S. Lorenzo i fattoidi schizzavano nel cielo della sanità come stelle cadenti:
· la senatrice Dirindin (QS 2 aprile) ci informa preoccupata che il 5,25% del Pil proposto da Cottarelli  è inaccettabile e chiede saggiamente chiarimenti sulle sue modalità di calcolo;
· la rivista Monitor dell’Agenas (QS 3 aprile) ci dice che l’illegalità, le frodi e la corruzione hanno bruciato il 5/6% delle risorse, circa 6 miliardi di euro, che il fenomeno incide pesantemente sull’efficienza, sulla qualità, sulla sicurezza, sull’equità di accesso ai servizi e che serve un piano nazionale anticorruzione  per il contrasto all’illegalità;
· l’Ocse (QS 3 aprile) ci dice sostanzialmente quattro cose: che il nostro sistema sanitario  non reggerebbe ulteriori definanziamenti,  che  eventuali riduzioni di spesa si ripercuoterebbero sui cittadini più svantaggiati e sui livelli e sulla qualità dell’assistenza sanitaria”, che  il 5,25% di spesa sanitaria in rapporto al  PIL proposto da Cottarelli non è compatibile con il nostro modello di Servizio Sanitario, infine, che la spending review  rischia di “esacerbare” ulteriormente "il divario”  del nostro paese nei confronti dei paesi europei.
 
Come la mettiamo? Se  è vero  che esistono 3 Pil, ufficiale, sommerso e  criminale, a quale dei tre si dovrebbe riferire la quantificazione del fabbisogno finanziario della sanità? Questo fabbisogno è al lordo o al netto del “magna magna”? Se è al netto, quali politiche si rendono necessarie per salvaguardare i diritti delle persone? Faccio un esempio che mi costa ammettere: gli odiatissimi piani di rientro a tutt’oggi in barba a tutte le teorie sulla razionalizzazione, sono stati  in assoluto i più potenti strumenti di condizionamento dei fattori di spesa anche se hanno fatto strage di diritti. Allora  se il fabbisogno per la sanità è al netto del “magna magna” come si fa ad eliminare il “magna magna” e non i diritti?
 
Se non troviamo il modo di rispondere seriamente  a queste domande è inutile che l’assessore Montaldo mandi il tweet a Renzi contro i tagli, o la Lorenzin faccia la scenata sui risparmi che devono restare in sanità. Se dovessimo dare retta a costoro la spending review non servirebbe, la sanità andrebbe semplicemente rifinanziata, dovremmo essere in linea con l’Europa, la corruzione non esisterebbe e le regioni bisognerebbe premiarle per la loro probità e irreprensibilità. Il difetto di questa gente è credere che un numero sia semplicemente un numero, cioè un valore assoluto.
 
La spesa sanitaria è un numero relativo (i numeri relativi sono quelli preceduti o da un + o da un -) che dipende in  + e in  –  da tutto quanto la determina al rialzo o al ribasso, e più esattamente dal tipo di consumo di salute che essa permette.
Se la sua quantificazione è calcolata senza chiarire in + o in -  i modi del consumo, e quindi il genere di tutela che essa assicura, o bassa o alta che sia, sarebbe un fattoide. Se ad esempio togliessimo di mezzo i 6 mld di illegalità, di frodi e di corruzioni, di cui  parla l’Agenas, o facessimo una bella riforma strutturale dei modi di consumare sanità, i ragionamenti di tutti costoro andrebbero in tilt: la spesa sarebbe più bassa quindi inciderebbe meno sul Pil, e “esacerberebbe” ancora di più le differenze con gli altri paesi europei, ma, come dice giustamente l’Agenas,  di converso avremmo più efficienza, più qualità, più sicurezza, e più equità nell’accesso ai servizi.
 
Allora? Se la spesa sanitaria è un numero relativo essa oltre ad indicare un valore dovrebbe indicare una direzione di marcia, delle politiche sanitarie, ovvero delle strategie. Le grandezze in sanità  hanno senso se indicano dei cambiamenti, senza i quali, cari signori, i  vostri numeri sono fattoidi. La domanda giusta non è se un qualsiasi fabbisogno sia compatibile o incompatibile con l’attuale sanità, ma “come” lo sarebbe in relazione ad un’altra sanità. Se avessi una bacchetta magica  per abbassare le malattie con strategie di produzione della salute, per ripensare il lavoro professionale, per reingegnerizzare tutto il sistema dei servizi sul luogo di vita del cittadino,  azzerando naturalmente le tante diseconomie, il 5.25% del Pil  sarebbe del tutto ragionevole.
 
Ma lo stesso numero sarebbe certamente irragionevole se non cambio niente. Il punto politico è tutto qui: diteci per favore quale sanità si accompagna al + e al – e solo dopo parlate di numeri. Il governo definanzia per indurre le regioni a ridurre i costi dei loro sistemi sanitari, le regioni solo se costrette dai piani di rientro intervengono tagliando in modo lineare su molti consumi e  senza intervenire su quel  5/6 % di illegalità di cui ci parla l’Agenas.
 
Di fronte a questi fatti diteci cosa dovremmo fare? Dovremmo forse mettere il (+) davanti ad una  spesa  “relativa” ad una classe dirigente miserevole? Dovremmo rifinanziare il “magna magna”? Tenerci modelli di servizio superati? Una governabilità indecorosa? Lavoratori trattati come pezze da piedi? E per cosa? Per essere finalmente allineati all’Europa? Il problema è sempre quello: il riformista che non c’è, solo che adesso alla vigilia del Def si comincia anche a dare i numeri.
 
Ivan Cavicchi

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