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Martedì 07 DICEMBRE 2010
Inefficacia e inefficienza nel Ssn. Marino (Pd): “la politica deve fare un passo indietro”

Il nostro Ssn, dai rapporti pubblicati in questi giorni, sembra caratterizzato, tra le altre cose, da forti sacche di inefficienza e inefficacia. Ignazio Marino, che come presidente della Commissione di inchiesta sull’efficacia e l’efficienza del Ssn, ha indagato il fenomeno, spiega a Quotidiano sanità che tra le cause c’è “la cattiva organizzazione interna degli ospedali” a cui si dovrebbe porre rimedio “prima di tutto con una nomina trasparente dei direttori sanitari”. Insomma “la politica deve fare un vigoroso passo indietro nell’organizzazione tecnica della salute”. 

Tutto in una settimana. Prima il Rapporto Aiop sugli ospedali pubblici e privati che valuta in quasi 10 miliardi di euro l'anno gli sprechi degli ospedali pubblici. Poi due studi curati dal Ministero della Salute, che indagano nell'appropriatezza delle cure ospedaliere che puntano l'indice su 11 milioni di giornate di degenza che si sarebbero potute evitare con adeguate politiche di prevenzione e appropriatezza e di almeno un 25% di ricoveri inutili anch'essi evitabili se funzionasse la rete terrioriale.
Insomma un verdetto impioetoso per l'ospedalità del Ssn. Tutto vero? e, soprattutto, cosa si potrebbe fare per arginare questi dati comunque allarmanti?
Quotidiano Sanità lo ha chiesto al senatore Ignazio Marino, presidente della Commissione d'inchiesta del senato sul Ssn che non si dice affatto stupito per le forti sacche di inefficacia e inappropriatezza che sembrano caratterizzare il nostro Ssn. Questo perchè la Commissione che presiede “già dall’inverno del 2008 lavora con molto rigore sui dati dell’appropriatezza medica del nostro Paese in partnership con la Scuola superiore S. Anna di Pisa”.
 
Presidente che cosa è emerso dal vostro lavoro?
Dati estremamente preoccupanti e uno di quelli che colpisce di più, che indica lo spreco di risorse e la non efficienza delle prestazioni ospedaliere dal punto di vista economico, è la degenza media pre- operatoria per interventi chirurgici programmati che ha un costo medio di 800/900 euro per ogni giorno di ricovero. Il dato migliore è quello del Friuli Venezia Giulia dove la degenza media pre-operatoria per un intervento programmato è 0,72 giorni, quindi quasi nessuno, per passare alla Campania con una media di 1,73, la Calabria con 1,79, il Lazio con 2,24 e, il peggio di tutti, il Molise con 2,33.
Quindi in queste regioni una persona viene ricoverata circa due giorni prima dell’intervento programmato con un costo assolutamente inappropriato di circa 1800/2000 euro.
 
Secondo i dati raccolti dalla Commissione d’inchiesta quali sono le cause di tanta inefficacia e inappropriatezza?
Contrariamente a quanto si potrebbe immaginare, i ricoveri inutili si concentrano di più nei grandi ospedali e non nelle strutture sanitarie più piccole. Una delle ragioni di questo fenomeno, secondo quanto rilevato, è la cattiva organizzazione interna degli ospedali a cui si dovrebbe porre rimedio prima di tutto con una nomina trasparente dei direttori sanitari. La politica deve fare un vigoroso passo indietro nell’organizzazione tecnica della salute, non arrogandosi il diritto di nominare primari e direttori. Le logiche clientelari finiranno per affossare le prestazioni dei nostri ospedali: per garantire efficacia ed efficienza ci vuole una selezione rigorosa, basata sui curricula e sulle competenze.
 
Avete indagato altre inefficienze?
Siamo andati a vedere il tasso di ospedalizzazione ogni 10 mila residenti per capire quanti ricoveri inappropriati possono esserci. È evidente che più alto è il tasso di ricovero con popolazione giovane, più inappropriato è quel ricovero. Noi andiamo da un basso tasso di ospedalizzazione che è di 90 su 10mila abitanti l’anno in Piemonte, seguito da Toscana con 101 ed Emilia Romagna con 105 su 10mila abitanti, fino alla Campania in cui il dato è di 334,7 ogni 10 mila residenti.
Il dato della Campania è preoccupante perchè stiamo parlando della regione d’Europa con il più alto tasso di ospedalizzazione nonostante sia la regione più giovane. Infime c’è un altro dato che noi abbiamo indagato con la Commissione: la percentuale di Drg medici dimessi dai reparti chirurgici.
 
Questo cosa vuol dire?
Per classificare i pazienti ricoverati in una struttura ospedaliera utilizziamo il Drg. Con questo criterio distinguiamo le diagnosi di carattere medico da quelle di carattere chirurgico.
I reparti chirurgici, dotati di attrezzature complesse, risultano maggiormente costosi e per questo dovrebbero essere occupati da pazienti che si sottopongono a intervento chirurgico. Se un paziente viene dimesso da un reparto chirurgico con una diagnosi medica senza essere sottoposto a intervento chirurgico in molti casi può significare che è stata utilizzata una struttura a costo più elevato in maniera inappropriata. Ovviamente c’è un margine di errore del 20% che è fisiologico e che può essere giustificato da approfondimenti diagnostici.
Se si supera questo 20% siamo di fronte a disorganizzazione e ad un uso inappropriato delle strutture ospedaliere. In Italia andiamo da una situazione come quella del Piemonte, dell’Emilia e della Toscana con un tasso tra il 15 e il 17% di persone con diagnosi medica dimesse da reparti chirurgici, alla Sicilia dove il dato è di 37,8, la Calabria con 41,6 fino alla Campania con 44,5, ovvero quasi la metà.
 
La convince la ricetta proposta dall’Aiop, case mixpubblico – privato per arginare il fenomeno?
Su questo ho riflettuto e scritto tanto. C’è anche un Ddl (a. S 1954) che affronta il problema anche se con un’angolatura diversa rispetto a quanto proposto dall’Aiop.
Io non ho un pregiudizio nei confronti della sanità privata però credo che nel nostro Paese manca un elemento che verrebbe introdotto con il Ddl: un’Agenzia di valutazione e di verifica dei risultati che sia al di sopra delle parti e che sia slegata dalla politica. Un’agenzia che valuti esattamente quali sono i risultati clinici delle strutture, come abbiamo fatto in Commissione, ma estesa su tutto il territorio e in maniera continuativa. In questo modo potremmo veramente mettere in competizione il pubblico con il privato conoscendo non solo quanto si spende ma anche quali sono i risultati delle cure. 
 
S.S.

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