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Martedì 13 MAGGIO 2014
Infermiere di famiglia. Una professione 'chiave' per ridurre le spese e dare risposte al problema demografico

La sua presenza sul territorio, infatti, potrà permettere, insieme al medico di famiglia, di dare risposte assistenziali ai malati cronici o in fase acuta direttamente a domicilio, decongestionando in questo modo gli ospeali. Muttillo: "Chiederemo un'audizione alla Regione Lombardia per sostenere la nostra proposta di legge".

In occasione della Giornata Internazionale degli Infermieri il Collegio Ipasvi Milano-Lodi-Monza e Brianza ha organizzato, presso il Teatro Officina di via Sant’Erlembaldo, un evento dedicato alla nuova e dibattuta figura dell’infermiere di famiglia. Formato da alcune facoltà di infermieristica con master e corsi di specializzazione, ma purtroppo non ancora riconosciuto dal punto di vista contrattuale, l’infermiere di famiglia ha, di fatto, un doppio valore: da un lato potrebbe diventare una delle chiavi per limitare le spese sanitarie nel nostro Paese, dall’altro lato rappresenta un risorsa inestimabile in grado di contribuire a modificare quegli stili di vita scorretti che, inevitabilmente, portano a un’esacerbazione dei ricoveri e delle cure, con grandi benefici per la popolazione e un enorme sgravio delle spese sanitarie.

"Noi infermieri – ha illustrato il presidente del Collegio, Giovanni Muttillo – siamo chiamati a dare una risposta al cambiamento dei bisogni assistenziali della popolazione per un aumento dell’invecchiamento e delle patologie cronico-degenerative e invalidanti. Attualmente sono 12 milioni i residenti di età superiore a 65 anni, di cui 3,4 milioni con più di 80 anni. Gli anziani rappresentano oggi circa il 22% della popolazione, ma fra 20 anni arriveranno a più del 30%. Pertanto sempre più si sente l’esigenza di un nuovo ruolo infermieristico, diverso dal modello prestazionale, per l’assistenza alle persone malate anziane e alle famiglie che si fanno carico della cronicità. È più che mai necessario rivedere il paradigma sul modo di pensare l’ospedale, le logiche che guidano la definizione della geografia dei servizi territoriali, le sfide dell’integrazione tra ospedale e territorio e quelle del settore socio-sanitario. La principale sfida che ci attende è riuscire a rimanere all’interno di 24mila e settecento miliardi di euro tra il 2012 e il 2015, con risorse molto limitate, senza spazi espansivi, a fronte di un quadro epidemiologico in profonda trasformazione e di un’evoluzione clinico-assistenziale che sempre più ci chiede di concentrare e limitare la fase acuta".

Ed è qui che entra in gioco l’infermiere di famiglia, un professionista che si occupa di assistenza, in collaborazione con il medico di famiglia, operando in una zona delimitata, come ad esempio il quartiere di una grande città, un paese o una piccola comunità territoriale. Questo nuovo profilo infermieristico risponde ai bisogni di cura dei malati cronici e dei malati in fase acuta che non richiedono cure intensive o praticabili esclusivamente in ospedale. Al malato viene consentito di essere assistito dall’infermiere direttamente presso il proprio domicilio, con la prospettiva di contribuire a ridurre gli accessi al Pronto Soccorso, le degenze ospedaliere, nonché le riammissioni, operando, in una logica di team multi professionale, attraverso l’integrazione con le principali figure presenti sul territorio, dal medico di medicina generale, al fisioterapista, passando per l’ostetrica.
Molti sono quindi gli sviluppi della professione, illustrati nel corso del convegno tenendo in considerazione i tre possibili ambiti: ambulatori dedicati, dove il lavoro multidisciplinare viene rivolto a pazienti con particolari specificità (ad esempio diabetici), Chronic care model, con gruppi multidisciplinari che integrano educazione sanitaria e cura rivolgendosi a una popolazione estesa (nell’ordine delle migliaia) di malati cronici e, infine ma non meno rilevante, affiancamento alle famiglie e ai caregiver, in collaborazione con il medico di medicina generale.

"È evidente – ha continuato Muttillo – che il ruolo dell’infermiere di famiglia va a rispondere a specifiche esigenze che stanno nascendo sul territorio e che inevitabilmente contraddistingueranno, anche in modo marcato, lo scenario sanitario prossimo futuro. Come professione siamo pronti a cogliere la sfida e a trasformare questa figura in una realtà, operante e operativa, così come in molti altri Paesi europei. Non è più possibile temporeggiare, e infatti oggi abbiamo ritenuto opportuno condividere il progetto di legge regionale sull’infermiere di famiglia per l’approvazione istituzionale e la concreta attuazione in Regione Lombardia. Ovviamente occorrono maggiori autonomia e riconoscimento professionale, ma anche su questo punto, come Collegio, stiamo concretamente portando avanti le nostre istanze".

La Proposta di Legge ha come titolo “Assistenza continua H24 nel distretto sociosanitario” e ha come scopo principale il pieno riconoscimento della funzione infermieristica in qualità di case manager dell’assistenza di famiglia e di comunità, nel segno della promozione e della tutela del diritto di salute del cittadino.

"Una proposta – ha illustrato la Consigliera Regionale Paola Macchi, Movimento 5 Stelle e componente della III Commissione Sanità – che prende in considerazione quelli che sono gli indirizzi comunitari e la competenza regionale in materia, che registra nuovi e specifici bisogni di protezione sociale ai quali occorre dare risposta con risorse sempre più limitate. I problemi di salute della popolazione legati all’invecchiamento e alla diffusione di cronicità, ci chiamano alla realizzazione di un sistema di welfare che possa poggiare su un tessuto caratterizzato da una storica tradizione solidaristica e mutualistica della società civile lombarda con la possibilità di prevedere pertanto degenze brevi, ma con il contestuale potenziamento della rete territoriale dei servizi, e tra questi l’assistenza domiciliare. In tal senso l’infermiere di famiglia e di comunità, e gli ambulatori infermieristici, rientrano in una modalità di operare vicina alle persone e alle famiglie in una prospettiva di welfare innovativo, dinamico ed efficace".

Il sistema è già una realtà in altri Paesi, come in Spagna dove, illustra Silvia Marcadelli, RN, MSN e PhD Candidate, Responsabile della formazione professionale avanzata, qualità e sicurezza delle cure presso l’ASM di Matera: "Dal 2005 l’infermieristica di famiglia è una delle sette specializzazioni dell’infermieristica, con una formazione che prevede un programma in comune con i MMG integrato da un programma specifico. Attualmente sono presenti molte associazioni regionali di infermieri di famiglia e di comunità riunite nella FAECAP, per anni promotrice della richiesta di specializzazione in infermieristica di famiglia e di comunità, motivata dal fatto che l’infermiere di famiglia è un professionista che ha con la persona inserita nel suo contesto vitale e quotidiano una relazione prolungata, continuativa e privilegiata".

E il confronto internazionale è una conferma sotto molti punti di vista, come spiega Cristina Filannino, professore Health – Public management and policy alla School of Management della SDA Bocconi: "Numerose sono le esperienze internazionali di modifica nel perimetro di attribuzione delle competenze tra medici ad altre professioni sanitarie, in particolare quella infermieristica e ostetrica. Il risultato più rilevante, riportato sia da rassegne in ambito manageriale o di policy che da review cliniche sistematiche, è che nelle analisi recensite non si riscontrano differenze significative in termini di outcome clinici: la qualità dei servizi erogata dal personale infermieristico è risultata non inferiore a quella offerta dai medici. Al contempo viene riportato un incremento nella soddisfazione dei pazienti, grazie all’incremento del tempo dedicato alla comunicazione da parte degli operatori. In sostanza, ciò ci conferma che si può fare, superando i paletti posti dalla perimetrazione dei confini professionali e preoccupandosi della competenza reale presente nel personale, di preparare i nuovi ruoli, di condividere il quadro aziendale-strategico in cui si inserisce l’evoluzione dello skill-mix".

Tornando in Italia, nel corso dell’ultimo decennio molteplici sono stati i mutamenti registrati nella rete dei servizi sociosanitari. Le attività e la spesa sociosanitaria (ADI, semi-residenzialità, residenzialità) sono significativamente aumentate in 10 anni (fino al 52%); gli utenti di servizi sociosanitari stanno diventando sempre più fragili e complessi, rispetto all’elevata percentuale di persone affette da demenze presenti nelle RSA. Inoltre il 30% dei pazienti lombardi è costituito da persone con patologie croniche (ad esempio diabete, ipertensione, etc). Circa il 37% dei malati cronici è impropriamente ricoverato in aree per acuti. La cronicità rappresenta un costo pari a quasi al 70% del Fondo Socio Sanitario appostato nel bilancio regionale. Del totale dei malati cronici, quasi il 10% è utente di servizi sociosanitari e sociali e il trend è in crescita, soprattutto alla luce del progressivo invecchiamento della popolazione. "Questo spiega – ha continuato Muttillo – come sia necessario sviluppare un modello vicino alle persone e alle famiglie, che orienti e faciliti l’accesso ai servizi territoriali sanitari e sociosanitari”.

Alle persone con patologia cronica vanno aggiunte le persone in condizione di cronicità sociosanitaria (anziani non autosufficienti, disabili, dipendenze, etc), stimate in circa 600.000. Anche secondo Alberto Aronica MMG e Consigliere del Consorzio Sanità Scarl, "anche se Regione Lombardia in fase di sperimentazione nel CReG non esplicita il ruolo dell’infermiere e del medico di medicina generale, la risorsa infermieristica può essere strategica nei gruppi di cure primarie per la famiglia nel dare risposta a questi bisogni".

"L’infermiere di famiglia e di Comunità – ha commentato Fabio Rizzi, presidente della Commissione terza e Consigliere regionale Lega Nord – dovrà far parte del nostro futuro Servizio Sanitario Regionale. Alcune sperimentazioni sono state avviate in Lombardia con riscontri positivi e all’Università di Pavia è stato attivato il Master per infermieri di famiglia e di comunità. A questo punto nel condividere le proposte dell’ordine professionale, direi che l’infermiere di famiglia sta diventando una realtà nel riordino sistema sanitario lombardo".
Possibili nuovi sviluppi per la professione, quindi, e una nuova risorsa, fondamentale, per la popolazione. "Il cittadino – ha chiarito Antonino Zagari Direttore Distretto Socio – Sanitario di Seregno ASL MB – è e sarà sempre il nostro punto di riferimento privilegiato. L’idea è di garantire un’assistenza continua, ventiquattr’ore su ventiquattro, nel distretto socio-sanitario sgravando, diciamolo chiaramente, gli accessi impropri al pronto soccorso e garantendo una corretta integrazione della cura, che consentirà di evitare le inutili ripetizioni diagnostiche o terapeutiche che oggi hanno ripercussioni notevoli anche sul piano della spesa sanitaria. Condivido la proposta del Collegio di Milano nel ritenere che anche l’infermiere di famiglia possa avere un ruolo di prescrittore dei presidi sanitari, con un rapporto fiduciario attraverso la stipula di convenzione analoga ai mmg".

Per Fiorenzo Corti Segretario Regionale Fimmg la proposta va valutata con attenzione, soprattutto rispetto al rapporto di collaborazione con gli studi dei mmg, pone il problema di risorse e della formazione accademica per lo sviluppo di competenze professionali sulle cure primarie.
"L’infermiere di famiglia – ha aggiunto Macchi – rappresenta la quadratura del cerchio: da un lato consente di curare le persone presso la propria abitazione, di ristabilire il rapporto umano e dare risalto alla professionalità infermieristica, finora rimasta in ombra. Nel contempo permette di risparmiare sui costi".

"La proposta dell’infermiere di famiglia – ha aggiunto Carlo Borghetti, Consigliere regionale e capogruppo PD in Commissione sanità – si inserisce perfettamente nel ragionamento relativo alla riforma della sanità lombarda che non può continuare ad avere due assessorati distinti tra sanità e sociale. In tal senso dovremo ridare centralità alle Asl e rafforzare il ruolo dell’infermiere, la figura per sua natura preposta a garantire una funzione di raccordo, oggi imprescindibile, tra ospedale e territorio per facilitare la ricomposizione dei servizi al cittadino".

Angelo Macchia Referente Regionale Nursing Up esprime un giudizio positivo, chiede ai rappresentanti regionali di fare sinergia, pone il problema occupazionale dei giovani e dei vincoli economici sul mancato turnover del personale infermieristico e delle ripercussioni sui carichi di lavoro per gli operatori e per gli assistiti.
La parte conclusiva delle celebrazioni del 12 maggio è stata dedicata con la rappresentazione teatrale: “Un percorso di medicina narrativa: la relazione di cura nell’assistenza infermieristica” all’esperienza del “Laboratorio teatrale sulla comunicazione efficace” effettuata da una ventina di infermiere, tutte iscritte al Collegio Ipasvi MI LO MB, insieme agli attori Massimo De Vita e Daniela Airoldi del Teatro Officina di via S.Elembardo di Milano.

Per Paola Gobbi Consigliera del Collegio, il laboratorio, svoltosi nei mesi di marzo-aprile e articolato in sette incontri per un totale di 21 ore complessive, ha fatto acquisire al gruppo professionale i fondamenti della comunicazione: saper ascoltare, il ruolo della memoria come strumento per proiettarsi verso il futuro, saper “tirare fuori” la ricchezza interiore, fatta di sentimenti ed emozioni. Questi sono ritenuti elementi fondamentali, insieme a gesti e all’intonazione della voce, per definire la persona, l’infermiere un buon comunicatore, che si assume “la responsabilità del dire” mentre si relaziona con l’altro.

Una volta appresa questa virtù squisitamente etica, la “credibilità dell’attore” le infermiere partecipanti al laboratorio hanno sperimentato questa concezione del “narrare per comunicare” attraverso la produzione, sfociata nella rappresentazione del 12 maggio di una decina di brani e poesie, alcune recitate, altre interpretate, relative ai propri vissuti professionali, in particolare storie di pazienti (“Il caso di Marco”, “Quel paziente non lo dimenticherò mai”, “Senti, portala a casa”) dalle stesse assistiti nella fase di malattia, spesso nella terminalità della vita.

L’esperienza del laboratorio teatrale, unita a quella in corso presso il Collegio da alcuni anni del gruppo di studio sul codice deontologico applicato alla pratica professionale, si inserisce nel filone della medicina narrativa, una prospettiva fondamentale per la professione infermieristica di conoscenza e analisi dei problemi del paziente al fine di migliorarne la risposta assistenziale. 

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