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Giovedì 05 GIUGNO 2014
Speciale Asco. La carica dei nuovi immunoterapici

La vera novità dell’oncologia del terzo millennio è l’immunoterapia, una branca che si viene ad aggiungere a quelle tradizionali della chemioterapia, delle terapie a target, della radioterapia e della terapia chirurgica. Se ne è parlato al 50° Congresso dell'American Society of Clinical Oncology svolto a Chicago.

Dopo lo ‘sdoganamento’ del sistema immunitario come arma anti-cancro, avvenuto grazie all’introduzione dell’ipilimumab di BMS, che si conferma come una delle aziende più impegnate nel settore, con moltissime molecole in varie fasi di sperimentazione, questa edizione del congresso americano è stata contrassegnata da una grande varietà di studi sui nuovi immunoterapici, testati in diversi tipi di tumore. E sono sempre più numerose le aziende che si cimentano in questa nuova promettente area terapeutica.

“Gli immunoterapici – afferma il professor Michele Maio, Direttore dell’Immunoterapia oncologica, Policlinico ‘Santa Maria alle Scotte’ di Siena, Istituto Toscano Tumori – sono una famiglia sempre più numerosa di farmaci, in grado di attivar il sistema immunitario, ‘rieducandolo’ a tenere sotto controllo il tumore, che purtroppo, a volte riesce a diventare resistente anche a queste terapie. Quando funziona, l’immunoterapia è come se tenesse ‘congelato’ il tumore a tempo indefinito. Tutti i dati clinici acquisiti finora riguardano il melanoma, trattato in fase avanzata di malattia (stadio IV); adesso si sta cercando di introdurre l’immunoterapia, in stadi più precoci di malattia (stadio III). E’ quanto è stato esplorato dallo studio EOTC029, un trial multicentrico, internazionale coordinato dall’Università di Siena, che ha utilizzato l’ipilimumab in adiuvante. Questi risultati dimostrano che il farmaco funziona non solo nella malattia metastatica, ma anche in fase III. Nei prossimi anni avremo i risultati dell’immunoterapia nel carcinoma del polmone metastatico e nel carcinoma della prostata in fase avanzata, dopo il fallimento della terapia ormonale. L’Italia ha avuto un primo piano nelle sperimentazioni in questo campo; da qualche anno abbiamo costituito il Nibit (Network Italiano per la Bioterapia dei Tumori) con il quale facciamo una serie di studi spontanei, su argomenti di interesse marginale per le grandi industrie del farmaco. Abbiamo così avviato ad esempio un nuovo studio sui pazienti con metastasi cerebrali da melanoma, sulla scorta dei buoni risultati ottenuti da uno studio pilota, pubblicato su Lancet Oncology nel 2013. A breve sperimenteremo anche un’associazione tra ipilimumab e un ‘vaccino’ contro il tumore del polmone”.

Ipilimumab nel setting adiuvante. L’ipilimumab sperimentato per la prima volta in adiuvante (dopo resezione chirurgica) nel melanoma ha dimostrato una buona efficacia, nello studio di fase III EORTC 18071,  anche se gli effetti indesiderati non sono risultati trascurabili. Il farmaco in questo contesto ha ridotto il rischio relativo di recidiva tumorale del 25%, rispetto al placebo; l’ipilimumab diventa così il terzo farmaco con una dimostrata efficacia in adiuvante nei pazienti con melanoma e metastasi linfonodali (stadio III), ad elevato rischio di recidiva dopo chirurgia radicale. E’ il primo studio a dimostrare un’efficacia di questo immunoterapico anche quando somministrato in uno stadio di malattia precedente a quello per il quale è attualmente approvato (melanoma inoperabile in stadio IV). Il dosaggio utilizzato in questo studio  è stato di 10 mg/Kg ogni 3 settimane, per quattro somministrazioni totali, seguito da ulteriori somministrazioni ogni tre mesi fino a tre anni. L’ipilimumab ha ridotto del 25%, rispetto al placebo il rischio relativo di recidiva, ma una sotto-analisi ha dimostrato una riduzione del 33% tra i pazienti con micro-metastasi linfonodali e del 17% tra quelli con macrometastasi. Non trascurabili sono stati gli effetti collaterali, con 5 decessi dovuti al trattamento; il 52% dei pazienti inoltre ha abbandonato lo studio per effetti indesiderati (prevalentemente colite, rash cutaneo, tiroidite ed ipofisite). Un ulteriore studio, l’ECOG1609, sta valutando l’effetto di due diversi dosaggi di ipilimumab (3 e 10 mg/Kg), sempre nel setting adiuvante, in associazione ad interferon ad alte dosi.

L’anti-PDL-1 MPDL3280Asi è dimostrato in grado di ridurre la massa tumorale nel 43% dei pazienti trattati per carcinoma della vescica metastatica e caratterizzati come PD-L1 positivi da un apposito test messo a puto da Roche. Visti i risultati di questo studio di fase I, l’FDA ha  a questo anti-PD-L1 lo status di breakthrough therapy. Il carcinoma della vescica è il nono in ordine di frequenza tra tutti i tumori e sono circa 30 anni che non arrivava un nuovo trattamento. L’MPDL3280A ha come target il PD-L1, espresso sulle cellule tumorali e sulle cellule immunitarie infiltranti il tumore; colpendo il suo obiettivo, l’anticorpo monoclonale gli impedisce di legarsi al PD-1 e al B7.1 sulla superficie dei linfociti T; in questo modo, induce l’attivazione delle cellule T e ripristina la loro capacità di individuare e attaccare le cellule neoplastiche. Nel 2012 sono stati registrati nel mondo 430.000 nuovi casi di carcinoma della vescica, una neoplasia  che provoca ogni anno 145.000 morti. Gli uomini sono colpiti con una frequenza tripla rispetto alle donne e il fumo rappresenta il principale fattore di rischio. “Per la prima volta quest’anno – sostiene il dottor Andrea Necchi, dipartimento di oncologia medica, Fondazione IRCCS, Istituto Nazionale Tumori di Milano – abbiamo assistito alla presentazione di risultati molto interessanti in un contesto di patologia orfana. Lo schema MVAC (vinblastina, adriamicina, cisplatino) per il trattamento del carcinoma della vescica, è stato introdotto trent’anni fa e da allora, si è aggiunta tra le armi terapeutiche solo la vinflunina, peraltro utilizzata solo in Europa. Per la malattia metastatica, diventata resistente ai chemioterapici, si avvertiva quindi forte l’esigenza di individuare nuove strategie terapeutiche. L’MPDL3280A è stato dunque accolto con grande interesse dalla comunità scientifica internazionale  e in futuro si cercherà di studiarlo anche in una fase di malattia più precoce. L’MPDL3280Aha le potenzialità per cambiare la storia di questa malattia".

Il pembrolizumab (MK-3475), un nuovo anti-PD-1 dimostra la sua elevata e duratura efficacia contro il melanoma metastatico. E l’FDA lo premia con la designazione di breaktrough therapy. In uno studio di fase I, presentato all’ASCO,  il farmaco ha triplicato i tassi di sopravvivenza nei pazienti con melanoma in fase avanzata, compresi quelli trattati in precedenza con ipilimumab. La sopravvivenza ad un anno è stata del 69% nello studio di fase Ib KEYNOTE-001, ancora in corso. Promettenti anche i risultati nel carcinoma polmonare non a piccole cellule (NSCLC). In questo momento il farmaco è allo studio in oltre 20 trial clinici su 4.000 pazienti, affetti da diversi tipi di neoplasie. “il dato più importante che emerge da questo studio – afferma il professor Michele Maio – è che con questa molecola la sopravvivenza ad un anno, fino a qualche anno fa al di sotto del 25%, è triplicata; il 70% dei pazienti è infatti vivo ad un anno in corso di trattamento. Da sottolineare anche la risposta più durevole di pembrolizumab, rispetto alla chemioterapia”. Nel mondo l’incidenza di melanoma raddoppia ogni dieci anni; nel 2012, sono state fatte 232.000 nuove diagnosi di questo tumore in tutto il mondo; metà dei casi, riguarda persone al di sotto dei 59 anni. Il pembrolizumab colpisce il PD-1, un importante checkpoint immunitario, una sorta di ‘posto di blocco’, che si attiva in diverse fasi della risposta immunitaria per regolare la risposta dei linfociti. Attraverso il controllo del PD-1, il tumore riesce ad eludere la sorveglianza del sistema immunitario, mascherandosi dietro uno schermo invisibile. In un altro studio, presentato all’ASCO, la nuova molecola, utilizzata nel carcinoma non a piccole cellule del polmone, ha dimostrato un’importante riduzione della massa tumorale, nell’80% dei pazienti trattati. Attualmente sono in corso studi clinici di confronto tra pembrolizumab e chemioterapia standard, a base di platino. Se questo studio dovesse confermare quanto osservato finora, questo anticorpo anti-PD-1 potrebbe diventare in futuro il farmaco di prima scelta per il NSCLC, per il quale esistono attualmente poche  opzioni terapeutiche.

Maria Rita Montebelli
 

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