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Mercoledì 11 GIUGNO 2014
Mielofibrosi. Problemi economici per i malati. Persi ogni anno 13.000 euro di guadagni da lavoro

In anteprima i risultati del primo studio condotto attraverso la Medicina Narrativa, cioè utilizzando i racconti dei malati e delle loro famiglie. A promuoverlo la Fondazione Istud. Il 35% dei pazienti ha perso o ridimensionato con una perdita economica la propria occupazione. Ma anche le tasche dei famigliari si sono svuotate.

Mentre il Governo Renzi ha appena riconosciuto un bonus di 80 euro al mese per i cittadini con un reddito al di sotto dei 1500 euro mensili, che da maggio a dicembre 2014 equivarrà ad un introito complessivo stimabile in 640 euro, un nuovo studio lancia l’allarme sui costi che le famiglie devono sostenere quando una malattia cronica entra in casa a destabilizzare la qualità di vita del malato e del suo nucleo familiare. A realizzarlo è stata la Fondazione ISTUD – la più antica Business School italiana – che partendo dal caso della mielofibrosi, malattia rara appartenente alle patologie ematologiche, ha quantificato con uno studio innovativo e primo in Europa basato sulla medicina narrativa, i costi a carico della famiglia, grazie alle testimonianze scritte di 287  pazienti e 98 familiari per un totale di 385 interviste scritte. I risultati saranno presentati il 13 giugno a Milano, con una tavola rotonda con  gli esperti di politica sanitaria d’Europa, ma già oggi molti dati significativi sono stati resi disponibili in anteprima.

Contando che a oggi 4.000 sono i malati in Italia di mielofibrosi, lo studio ha raggiunto il 9,5% del sistema famiglia destabilizzato da questa malattia. La sola perdita di guadagno per cambiamento delle modalità di lavoro è di quasi 13.000 euro all’anno per nucleo familiare (8.065 euro per il paziente e 4.692 euro per i familiari). Il 35% dei pazienti ha perso o ridimensionato con una perdita economica la propria occupazione.

Lo studio ISTUD dimostra che se il paziente sta invece effettuando cure efficaci, la perdita del lavoro è contenuta al 13%, e la perdita di guadagno si abbassa sino a 5.700 euro rispetto alla perdita massima di 10.430 euro per cure non sufficientemente efficaci. “In uno stato di welfare – osserva la Fondazione -, la salute e il lavoro sono strettamente interconnessi, e in una visione sistemica, sanità lavoro e politiche sociali dovrebbero essere considerati non solo dei luoghi di costo ma anche di investimento. Se gli 80 euro aiutano ad arrivare a fine mese, possono contribuire ancora di più politiche atte a rimborsare innovazioni terapeutiche, purché dimostrate efficaci e, in tempi di crisi strutturale, a salvaguardare il posto di lavoro dei malati e dei loro familiari. Il servizio  sanitario pubblico, infatti, copre solo i costi medici, ospedalieri e ambulatoriali, i farmaci e le spese più ingenti di diagnostica, mentre le politiche sociali non coprono le perdite di guadagno sul  capitale umano, il capitale sociale e la produttività”.

E interconnesso all’aspetto della produttività economica, e alle spese a carico della famiglia per la mielofibrosi, ve ne sono altri legati al malessere psicologico e sociale a fronte della convivenza con la malattia, spesso cronica, la cui valutazione è complessa: “Il metodo per evidenziare il carico della convivenza con una malattia è unire e confrontare i dati di perdita economica dovuta a cambiamenti nell’ambito lavorativo o a costi sostenuti direttamente dai pazienti e dai loro familiari con le storie scritte dei pazienti e dei familiari, secondo l’approccio della medicina narrativa, per comprendere le risorse familiari personali e sociali messe in campo quando vi è un evento stressogeno, il cosiddetto coping,” spiega Maria Giulia Marini, Responsabile Area Sanità e Salute di Fondazione ISTUD. “Le valutazioni sul carico della malattia sono uno strumento di democrazia, che permettono di raccogliere direttamente la voce di quelle persone coraggiose che decidono di raccontare anche aspetti delicati come la perdita di denaro, le loro emozioni, sentimenti e ripercussioni sulla propria vita intima familiare e lavorativa, e che solo la medicina narrativa coglie nella sua interezza”.

Come risultato dell’impatto della malattia, l’87% dei familiari ha mostrato elevati livelli di stress, come misurato con il “Caregiver self-assessment questionnaire ” – il questionario di autovalutazione dello stress da parte del familiare – dell’American Medical Association.
Dalla narrazione – affiancata alla somministrazione del test – è emerso però che il cosiddetto “coping” (che può essere tradotto in “gestione attiva”) è presente nel 53% delle esperienze. Il vivere positivamente anche nella malattia non solo ha effetti positivi sulla qualità della vita, ma queste persone hanno una perdita di guadagno inferiore rispetto alle persone che non sanno reagire per una cifra pari a 596 euro per anno, poco meno della cifra del governo Renzi. Dalle storie quindi si riescono a quantificare e desumere “i numeri”.

I fattori di successo nella gestione del dramma della malattia sono la responsabilità, l'affetto e la possibilità di affidarsi a professionisti della salute, amici o colleghi. Pertanto, ciò che sembra a prima vista rappresentare una popolazione di familiari a rischio di grande fragilità (87% secondo il questionario di valutazione dello stress),  in realtà potrebbe essere meno, dal momento che il 60 % dei familiari ha mostrato, attraverso la narrazione, le caratteristiche della personalità più inclini a un miglior coping: l’estroversione, con la possibilità di condividere dolore e tristezza; la coscienza, con quel senso di responsabilità e di  dovere di parti razionali e morali dell'individuo.

Dalle narrazioni, le persone che continuano a lamentarsi e  che vivono segregati nelle loro stanze, malgrado ci sia la famiglia attorno, sono più a rischio di malessere. Le storie di successo nei confronti della malattia  mostrano la capacità di  reagire ad una fase iniziale di dolore e di paura al momento della diagnosi, alla speranza, serenità e tranquillità. La capacità di relazionarsi ha un valore fondamentale, forse senza prezzo, per una condizione cronica che si protrarrà per tutta la vita: infatti è emerso che il miglior coping è stato raggiunto attraverso relazioni aperte, intime e autentiche, in cui c’è  anche la possibilità di contradditorio. E una parola antica che emerge in modo ricorrente dalle narrazioni dei pazienti e dei familiari che hanno imparato a convivere serenamente con la mielofibrosi è Amore. Grazie a questa energia, le persone riescono a continuare a lavorare di più, malgrado la situazione. “Si può agire su due livelli, un primo individuale e familiare per promuovere le forze che possono portare a una maggiore serenità nel proprio microclima, e un secondo a livello di popolazione, per la definizione di politiche sociali e sanitarie atte a sviluppare e mantenere una vita attiva anche in condizioni di malattia cronica”, sostiene Maria Giulia Marini.

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