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Giovedì 12 GIUGNO 2014
Nuovo Codice deontologico dei Medici. Cavicchi risponde a Pizza (Omceo Bologna)



Pubblichiamo la risposta di Ivan Cavicchi alla lettera aperta del presidente dell’Ordine dei Medici di Bologna Giancarlo Pizza pubblicata su Quotidiano Sanità lo scorso 9 giugno e indirizzata proprio a Cavicchi.

Caro Giancarlo,
non sarò certo colui che scrive “lettere aperte” senza rispondere a quelle che, come la tua, gli sono indirizzate con garbo e amicizia. Una “lettera aperta” è un discorso rivolto pubblicamente a chi, per qualche ragione, è il referente di una problematica che merita una discussione. Un “servizio” quindi offerto a chi è ritenuto portatore di una soluzione. L’indifferenza nei confronti di una lettera aperta è come rifiutare un dono, cioè rifiutare un gesto di amicizia. Ricusarlo, per mille motivi, vuol dire rifiutarne le obbligazioni e avere un espediente con il quale spostare l’attenzione della comunità dalla discutibile mediocrità di un Codice deontologico ad un nuovo “minaccioso” problema da risolvere, come se la pioggia fosse colpa di chi ti presta l’ombrello.

Per cui, caro, Giancarlo, ti ringrazio intanto per aver accettato il mio dono rispondendo, come si fa da millenni con un altro dono, e per offrire una possibilità di discussione. Comincerei dalla sociologia e dal sociologo. La deontologia oggi è una idea complessa che deriva da quella della “questione medica”, che per essere definita ha bisogno di molti saperi diversi che il medico normalmente non ha. Del resto, che la malattia appartenga al malato e la cura al medico è normale. Oggi per curare la deontologia del medico il medico non basta e non basta neanche mettere insieme dei medici, dei giuristi e dei bioeticisti. Ci vuole un meta pensiero che coordini il tutto, cioè una ipotesi ragionevole di medico che guidi pragmaticamente la riflessione deontologica. La costruzione di questo meta pensiero rientra nel mestiere di pensare i problemi sul campo accettando di farsi formare dalla complessità che non puoi evitare.

In tutta la mia vita professionale mi sono sempre sforzato di costruire di volta in volta gli strumenti giusti per affrontare i problemi con i quali entravo in contatto nelle realtà date. Come un bricoleur davanti al vostro Codice ho interrogato tutte le tante diverse cassette di attrezzi in mio possesso e ho usato tutto quello che mi faceva comodo per offrire quale dono una spiegazione prima di tutto alla Fnomceo, cioè al mio interlocutore naturale. Se il mio cavallo, caro Giancarlo, ha bisogno di essere ferrato, dimmi tu, a chi posso rivolgermi se non ad un maniscalco? Ma c’è di più. La Fnomceo ha promosso in questi anni una discussione sulla deontologia molto importante. Ricordo solo due pregnanti convegni ai quali ho avuto l’onore di partecipare, “Le nuove frontiere del pensiero medico” (Terni 2012), “Nel crepuscolo del dovere fra etica e giurisprudenza ,una deontologia forte per la rinascita della professione” (Parma 2012), nel quale io ed altri abbiamo cercato di tradurre la complessità della questione medica in deontologia. C’è da chiedersi come mai questa discussione collettiva sia assente dalla stesura del codice, ma anche cosa discutiamo a fare se poi le discussioni non contano ?

C’è un’altra questione, caro Giancarlo, che nella tua lettera mi ha fatto riflette, vale a dire quando tu abbini i guai dei medici all’istituzione delle cure gratuite per tutti. Per non rischiare di essere fraintesi, nel senso di essere considerati come coloro che vedono nella fine dell’universalismo la fine dei guai dei medici, troverei più ragionevole dire che i guai dei medici - indipendentemente dalla natura universalistica del sistema pubblico - vengono da lontano; dipendono da un mucchio di fattori ma anche, fammelo dire, da ritardi storici dei medici ad affrontare per tempo i loro problemi con progettualità adeguate.

A questo proposito mi ha colpito la lettera degli studenti di medicina di Torino che ci chiedono quale professione stiamo consegnando alle future generazioni di medici. Essi dicono, Codice alla mano, di non essere mai stati medici di non essere ancora medici e di non essere i medici del futuro. Come se fossero senza tempo. E’ inutile negarlo ma quello che dicono gli studenti è il segno di una inadeguatezza strategica dei medici italiani. Di fatto stiamo consegnando alle future generazioni, con una enorme responsabilità dell’università, una professione  debole e spaesata scaricando su di loro i problemi del nostro tempo. E se loro faranno altrettanto come è stato fatto più o meno da chi è venuto prima di noi, cioè limitandosi a rieditare vecchie deontologie, sarà la fine della professione che noi auspichiamo.

L’ho detto tante volte la “questione medica” è questione trans generazionale nel senso che ogni generazione più o meno ha la sua “questione medica” da affrontare. Lo abbiamo detto a Bologna, quando tuo ospite, abbiamo presentato “Il riformista che non c’è”, il problema anche per i medici e il Codice dimostra è che mancato un pensiero riformatore. Per cui ribadisco che oggi non basta aggiornare un vecchio Codice. È necessario un ripensamento profondo della professione.

Tutte le contraddizioni che tu rilevi nella tua gradita lettera si spiegano con il fatto che ancora non siamo riusciti a fare un salto di pensiero capace di rendere compossibili i doveri del medico con la realtà in cui opera. Senza questo salto di pensiero il rischio che vedo anch’io è di derivare i doveri del medico “dall’uso ottimale delle risorse” con ciò rischiando come professione di morire per eccesso di compatibilità.

Infine caro Giancarlo non posso che concordare con te sulla necessità di recuperare la spaccatura che si è creata di fatto tra gli ordini perché se la deontologia è come la Costituzione di una professione, hai ragione tu, su di essa si deve fare uno sforzo di unità e non procedere a colpi di maggioranza. Con questo spirito mi metto a disposizione della Fnomceo per tutto quello che il presidente Bianco riterrà giusto fare. Il problema di fondo resta il basso grado di pertinenza del Codice nei confronti della realtà e il rischio di “snaturare” la professione per mancanza di un progetto evolutivo. Quindi resta il problema posto dagli studenti di Torino: fare la nostra parte il meglio possibile nel nostro tempo.  

Grazie Giancarlo, ad maiora

Ivan Cavicchi

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