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Martedì 17 GIUGNO 2014
Riforma PA. Vergallo (Aaroi Emac): “Più che una rivoluzione, è un balletto legislativo”

Il presidente degli anestesisti-rianimatori evidenzia infatti i richiami "all’abrogazione di misure che, all’epoca della loro adozione, erano state a loro volta declamate come risolutive delle criticità del pubblico impiego”. E teme che le buone notizie su Specializzazioni e assicurazione possano nascondere in futuro sgradite sorprese.

“I provvedimenti sulla riforma della Pubblica Amministrazione approvati dal Consiglio dei Ministri lo scorso venerdì 13 giugno sono l’ennesimo passo in avanti, stavolta magnificato come ‘rivoluzionario’, sulla strada della cosiddetta ‘semplificazione’. L’ultimo di quella che si rivela sempre più chiaramente come una lunga marcia, che ormai da almeno una mezza dozzina d’anni spinge il nostro Paese, in materia di lavoro e di previdenza, su un’altalena di norme spesso in contrasto con le precedenti. Infatti, analizzando con ordine le anticipazioni sulla riforma Madìa, pur nell’attesa di conoscerne il testo definitivo, non si può fingere di ignorare i reiterati richiami all’abrogazione di misure che, all’epoca della loro rispettiva adozione, erano state a loro volta declamate dai Governi di turno come parimenti risolutive delle criticità del pubblico impiego: le stesse di oggi, e, presumibilmente, di domani”. Questa la prima osservazione di Alessandro Vergallo, presidente dell’Aaroi Emac, sui provvedimenti approvati dal CdM la scorsa settimana.

Per Vergallo “non si tratta, pertanto, nel suo complesso, di un “cambio di direzione”, ma di un balletto legislativo di cui si intravede non una regìa coerente, ma una coreografia continuamente variata, con cambi di scena repentini e con sipari chiusi e poi riaperti. D’altronde – osserva il presidente dell’Associazione degli anestesisti-rianimatori -, pare che una ‘riforma’ non possa essere definita tale se non presenta quasi unicamente elementi di durezza e intransigenza, apparentemente finalizzati a snellire la ‘burocrazia’, ma che in realtà altro non fanno che irrigidirla. Tali sono le novità normative in tema di turn-over, mobilità, mansioni; per quanto riguarda, invece, l’abolizione del trattenimento in servizio, e il divieto di incarichi a soggetti in quiescenza, è inutile sottolineare che non sono affatto una novità, così come è inutile ricordarne, nell’intermittenza normativa finora avvenuta, la loro costante e burocratica disapplicazione”.

Nell’ambito delimitato alla sanità, secondo Vergallo, “gli unici elementi di novità si profilano essere quelli relativi all’incremento delle risorse previste per le specializzazioni post-laurea, il chiarimento sull’insussistenza dell’obbligo assicurativo per i professionisti pubblici dipendenti, e la semplificazione delle prescrizioni terapeutiche per le patologie croniche. Ma, mentre sulla portata positiva di quest’ultima iniziativa non paiono esserci dubbi, non altrettanto può dirsi sulle altre due”.

Per Vergallo, infatti, “il sostegno alla formazione specialistica potrebbe sottendere, scientemente o meno, ad una successiva spinta alla progressiva sostituzione, nell’assistenza sanitaria, dei medici specialisti con gli specializzandi, con il rischio di creare, tra qualche tempo, una crisi occupazionale post-specializzazione paradossalmente peggiore di quella attuale. Ecco perché non ci sentiamo di condividere, nel merito, le entusiastiche dichiarazioni di alcuni nostri giovani colleghi”.

Sul versante assicurativo, invece, “finalmente si fa chiarezza su un principio che avrebbe dovuto esser chiaro sin nella prima stesura di quel pasticciato provvedimento noto come “Decreto Balduzzi”; ma, stanti lo stallo normativo e la deriva giurisprudenziale in tema di responsabilità professionale, la reale risoluzione delle problematiche legate al contenzioso sanitario viene così solo rinviata a data da destinarsi, e con una progettualità ancora oscura, ammesso e non concesso che ce ne sia almeno una”.

Per il presidente dell’Aaroi Emac, “al contrario, non v’è alcun dubbio su un percorso comune a tutte le ultime legislature: il progressivo e ininterrotto svuotamento delle possibilità di esercizio delle prerogative sindacali. Questa riforma, nello specifico, prevede il dimezzamento complessivo di distacchi, aspettative e permessi, all’indomani, si badi bene, di un CCNQ siglato lo scorso 5 maggio e che li aveva già ridotti: che senso ha sottoscrivere un contratto se questo viene, a distanza di pochi giorni, demolito da un decreto governativo, destino comune a tutti i contratti di lavoro degli ultimi anni? Una tale dilagante modalità di decontrattualizzazione collettiva del lavoro comporta inevitabilmente una grave difficoltà, per i Sindacati, nello svolgimento della loro funzione di interlocutori sociali, garantito, sempre più in teoria, dalla Costituzione”.

“Occuparsi di trattative – prosegue Vergallo - richiede tempo a disposizione (oltre che preparazione, buona volontà e pazienza), tempo che, all’indomani della riforma, sarà sicuramente insufficiente: sembra quasi che la soluzione alla crisi occupazionale sia semplicemente di rendere inutile la contrattazione collettiva del lavoro, destituendo di validità, per decreto, tutti quegli articoli di contratto “in contrasto” con le norme “emanande” nei vari provvedimenti più o meno urgenti in materia di impiego sia pubblico che privato, così come è accaduto anche in passato. Il Premier Renzi avrebbe recentemente asserito, più o meno: Il dialogo del datore di lavoro con i dipendenti non ha bisogno di essere intermediato dai Sindacati. Può darsi – conclude Vergallo -, dato che la loro funzione precipua è di fatto ormai in buona parte soppressa, venendo meno il valore delle norme contrattuali. “Pacta servanda sunt” pare essere un principio ormai abbandonato, nel mentre l’organizzazione del pubblico impiego viene sempre più affidata alla discrezionalità plenipotenziaria locale, all’unica condizione di contenere la spesa pubblica, intesa quasi esclusivamente come spesa per il personale dipendente, obiettivo beninteso necessario, ma che da solo resta insufficiente”.

 

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