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Mercoledì 18 GIUGNO 2014
Dal 2000 ad oggi. I primi quattro Patti per la Salute. Attendendo il quinto. Da Amato a Renzi, passando per Berlusconi e Prodi

Con l'accordo del 3 agosto del 2000 inizia la stagione "pattizia" tra Stato e Regioni per il governo della sanità. Da allora hanno dato il loro placet sul Patto Giuliano Amato (ministro della Salute Veronesi), Silvio Berlusoni (ministri Sirchia e Fazio) e Romano Prodi (Livia Turco). Per arrivare ora al Governo Renzi, col ministro Lorenzin, che dovrebbe chiudere la partita del nuovo accordo in stand by dal 2012. 

Quello che si dovrebbe siglare a giorni, sarà il quinto Patto per la Salute tra Stato e Regioni. Una storia che inizia di fatto il 3 agosto del 2000, quando, presidente del Consiglio Giuliano Amato e ministro della Salute Umberto Veronesi, il Governo firma una prima storica intesa con le Regioni, allora guidate dal presidente del Piemonte Enzo Ghigo, per inaugurare in sanità la stagione dei Patti.
 
Anche se quell’accordo non prenderà subito il nome di Patto per la Salute, in esso troviamo i capisaldi della filosofia pattizia tra i due livelli di Governo del settore (ulteriormente definiti con la riforma costituzionale del 2001): da un lato lo Stato che si impegna a garantire risorse idonee ai Lea e dall’altro le Regioni che si impegnano a non sfondare i propri bilanci, assumendosi gli oneri di eventuali disavanzi.
 
E’ la fine dei ripiani a piè di lista e l’avvio di una politica che troverà piena attuazione qualche anno dopo nella logica dei Piani di rientro che conosciamo ormai molto bene, nelle loro luci e nelle loro (molte) ombre.
 
Ma andiamo con ordine. Per trovare una definizione ufficiale del Patto per la Salute abbiamo attinto al sito del Ministero della Salute che lo definisce come “un accordo finanziario e programmatico tra il Governo e le Regioni, di valenza triennale, in merito alla spesa e alla programmazione del Servizio Sanitario Nazionale, finalizzato a migliorare la qualità dei servizi, a promuovere l’appropriatezza delle prestazioni e a garantire l’unitarietà del sistema”.
 
In sostanza un vero e proprio "contratto" programmatico bilaterale che deve fissare indirizzi, strategie, programmi ma anche individuare risorse e norme per garantire che il sistema funzioni e si adegui ai cambiamenti dei bisogni e della domanda di salute.
 
Ma è andata veramente così? Un giudizio netto è arduo. Le materie toccate nei primi quattro accordi e nei successivi o paralleli provvedimenti legislativi che ad essi hanno fatto riferimento sono talmente tante che è impossibile dire se il modello pattizzio abbia funzionato o meno.
 
Certamente ha cambiato il modo di fare politica sanitaria, esautorando molto spesso il Parlamento di molti temi e ambiti di intervento con il rischio, che molti osservatori negli anni hanno sollevato, di fare della gestione della sanità un fatto chiuso e limitato a due soggetti esecutivi e non legislativi come il Governo e le Giunte regionali.
 
D’altra parte è grazie ai Patti per la Salute che in qualche modo si è comunque riusciti a mantenere una direzione univoca sulle grandi opzioni sanitarie e su quelle tendenze riorganizzative sulle quali non si può escludere che, senza Patto, le Regioni avrebbero potuto andare, ancor più di come hanno fatto, “ognuna per la propria strada”.
 
L’altra faccia della medaglia è che, nel tempo, i Patti sono diventati sempre più una scatola chiusa da “prendere o lasciare” sulla quale, non solo il Parlamento, ma anche tutti gli altri soggetti coinvolti nel pianeta sanità (professionisti, imprese, strutture sanitarie) non possono dire o fare nulla, se no sperare che Governo e Regioni facciano al meglio.
 
E indubbiamente le intenzioni che si leggono tra le centinaia di parole di questi documenti appaiono sostanzialmente buone per chi crede nella sanità pubblica e nei suoi principi. Salvo poi essere spesso costrette nei margini stretti di manovre economiche che, soprattutto negli ultimi anni, hanno eroso la disponibilità di risorse su cui contare.
 
E si sa, con poche risorse, i Patti non vengono molto bene. Tant’è che è stata proprio la questione risorse e la sua ristrettezza a congelare il nuovo Patto atteso ormai dal 2012.
 
Ma, a leggere le ultime dichiarazioni di Regioni e Governo, sembra che ormai la meta sia vicina e che quindi presto avremo un nuovo accordo per il prossimo triennio i cui punti di forza dovrebbero essere una sostanziale tenuta del finanziamento, interrompendo la china discendente delle ultime manovre e poi la messa in pista di alcune grandi riforme attese da anni, prima tra tutte quella delle cure primarie che dovrebbe finalmente trovare l’abbrivio definitivo per essere portata a termine.
 
Il primo accordo del 2000: lo Stato finanzia ma la Regione è responsabile di quanto e come spende
Come dicevamo, anche se non si chiamava Patto per la Salute, la logica del negoziato programmatico tra Stato e Regioni per la gestione della sanità può essere fatta risalire all’accordo del 3 agosto del 2000.
In questo accordo il Governo si impegnava innanzitutto a far salire il finanziamento del Servizio sanitario nazionale fino a quota 124.000 milardi (di lire!), impegnandosi a far salire tale somma nel 2001 fino a quota 129.000 mld (sempre di lire, bene inteso). In caso di disavanzi regionali, le Regioni stesse erano chiamate a risponderne con risorse proprie o aumentando le imposte. In alcuni "casi singoli", si stabilisce la possibilità di stipulare accordi tra Governo e Regioni per rimuovere le cause strutturali di questi disavanzi.
 
Il Governo si impegnava, inoltre, a presentare entro il 31 dicembre del 2000, una proposta sui Livelli essenziali di assistenza (Lea). Veniva assegnato a Governo e Regioni il compito di monitoraggio e verifica dei livelli di assistenza assegnati, nonché degli andamenti della spesa sanitaria.  Riguardo poi il riordino del sistema di pagamenti, veniva sancito l'impegno da parte di Governo e Regioni, a partire dal 1 marzo 2001, di modificare le modalità di erogazione delle risorse finanziarie alle Regioni, oltre al sistema di pagamenti delle Asl che diventavano di pertinenza diretta delle Regioni.
Infine, sempre le Regioni si impegnavano a ridefinire un sistema di rendicontazione e monitoraggio sull'andamento della spesa e delle prestazioni sanitarie ispirato a "criteri di uniformità nelle informazioni trasmesse, di tempestività nei tempi di trasmissione e di piena utilizzabilità per il sistema dei conti pubblici".

Già in questo primo atto possiamo leggere un principio rimasto sulla carta e anche oggi richiamato a più riprese anche dallo stesso ministro della Salute, Beatrice Lorenzin: all'attenta attività di controllo e monitoraggio dei conti delle Regioni in disavanzo effettuata dal Governo tramite lo strumento dei Piani di rientro, non è corrisposto un altrettanto attento controllo relativo all'effettiva erogazione dei Lea, garantiti per legge, su tutto il territorio nazionale.

Gli accordi integrativi del 2001
Si passa poi al 22 marzo 2001 con l'accordo tra Governo e Regioni (sempre con Amato, Veronesi e Ghigo) che integra quello sancito nell'agosto dell'anno precedente. Viene qui attivato il tavolo di monitoraggio della spesa sanitaria tra i Ministri del Tesoro, Bilancio e Programmazione economica, della Sanità e le Regioni, con il supporto dell'Agenzia per i servizi sanitari regionali.
Viene contestualmente costituito presso la segreteria della Conferenza Stato-Regioni un tavolo che associ a diversi livelli di assistenza e di prestazioni sanitarie i relativi costi

L'8 agosto del 2001 un nuovo accordo va a integrare e modificare gli accordi sanciti nell'agosto del 2000 prima, e a marzo 2001 poi, con l'intento definire regole compatibili con gli obiettivi di finanza pubblica e con il Patto di stabilità e crescita sottoscritto in sede europea per la determinazione senza sottostime del livello della spesa sanitaria a cui concorre lo Stato. Primo ministro è ora Silvio Berlusconi, mentre al ministero della Salute siede Girolamo Sirchia.
L'accordo ha anche l'obiettivo di dirimere definitivamente qualsiasi controversia relativa all'accordo del 3 agosto 2000 per le responsabilità del Governo e delle regioni circa la congruità delle risorse finanziarie statali relative all'anno 2001, convenendo che eventuali ulteriori eccedenze di spesa resteranno a carico dei bilanci regionali; allo stesso tempo viene incrementata la quantificazione delle risorse previste per l'anno 2001 - che raggiungerà quota 138 mld (sempre di lire stiamo parlando) - a chiusura definitiva tra Governo e Regioni della partita finanziaria e sulla base del principio della corrispondenza delle risorse alle responsabilità.
Viene inoltre richiamata, tramite un successivo accordo, la definizione dei Livelli essenziali di assistenza, prima che gli stessi vengano adottati dal Governo con un provvedimento formale entro il 30 novembre 2001.

Il secondo Patto del 2005: arriva la contabilità analitica per centri di costo e si razionalizza la rete ospedaliera
Arriviamo così al 23 marzo 2005, con l'intesa tra Governo (presidente sempre Berlusconi e ministro per la Salute sempre Sirchia)  e Regioni (presidente della Conferenza è sempre Ghigo) valevole per il triennio 2005-2007. Entra in scena il nuovo sistema informativo sanitario (Nsis), istituito presso il Ministero della Salute, per misurare i livelli di qualità, efficienza e appropriatezza del Ssn. Le Regioni qui si impegnano ad adottare una contabilità analitica per centri di costo e responsabilità, che consenta analisi comparative dei costi, dei rendimenti e dei risultati in ciascuna Asl. Un adempimento obbligatorio per l'accesso ad un maggior finanziamento da parte delle Regioni.
A tale scopo, entro il 30 ottobre 2005, le stesse Regioni avrebbero dovuto adottare misure dirette a prevedere che, ai fini della confermabilità dell'incarico del direttore generale delle Asl, Ao, Aou e Irccs, il mancato rispetto dei contenuti e delle tempistiche dei flussi informativi ricompresi nel Nsis costituisca una grave inadempienza.
Si passa poi alla razionalizzazione della rete ospedaliera,prevedendo provvedimenti, da adottare entro il 30 settembre 2005, che prevedano uno standard di posti letto ospedalieri accreditati effettivamente a carico del Ssr, non superiore a 4,5 posti letto per mille abitanti.
Altro tema ancora di grande attualità restato pressoché sulla carta in buona parte delle Regioni è quello richiamato nell'articolo 4 lettera c) dove si stabilisce di "assicurare adeguati programmi di assistenza domiciliare integrata, di assistenza residenziale e semiresidenziale ospedaliera".
In particolare l'Adi è in buona parte del territorio ancora oggi molto indietro rispetto all'effettivo fabbisogno dei cittadini delle diverse regioni.
All'articolo 6 viene definito l'obbligo, da parte delle Regioni, di garantire l'equilibrio economico finanziario del Ssr. Vengono poi definiti meccanismi di raccordo tra Aziende sanitarie, medici di medicina generale e pediatri di libera scelta: si prevede il coinvolgimento di questi professionisti per una reale integrazione tra cure primarie e cure ospedaliere, anche attraverso percorsi diagnostici, terapeutici e riabilitativi oltre alla condivisione di percorsi di prevenzione. Un primo abbozzo di quelle cure primarie su cui è intervenuto in tempi ben più recenti l'ex ministro della Salute, Renato Balduzzi.
Viene poi istituito presso il ministero della Salute il Comitato permanente per la verifica dell'erogazione dei Lea. Infine, entra qui in scena per la prima volta il Tavolo di verifica degli adempimenti.

E’ il 2006. Al Governo arriva Livia Turco e alle Regioni Vasco Errani che siglano subito un nuovo Patto. Si sottoscrivono i primi Piani di rientro
Con un ulteriore salto in avanti arriviamo al Patto per la Salute siglato il 5 ottobre 2006, valevole per il triennio 2007-2009. Romano Prodi vince le elezioni e al ministero della Salute arriva Livia Turco. Anche le Regioni cambiano “guida” con la scelta di Vasco Errani, presidente dell’Emilia Romagna a capo della Conferenza dei presidenti delle Regioni e PA.
Il nuovo Governo e le Regioni convergono nel voler ricondurre sotto controllo la spesa sanitaria, ma dando certezza di risorse al Ssn su un arco pluriennale, sollecitando azioni necessarie a elevare qualità e appropriatezza delle prestazioni e a equilibrare la capacità di fornire servizi di qualità su tutto il territorio nazionale. 
Il Governo, si legge infatti nel Patto, si impegna a “stabilire il finanziamento cui concorre ordinariamente lo Stato per il triennio 2007-2009 (omissis)
in modo da consentire alle regioni l'ottimizzazione, efficienza e massimizzazione nell'uso delle risorse e rendere loro possibile una
programmazione di medio periodo delle azioni necessarie a correggere
le inappropriatezze e a riassorbire le inefficienze che minano il
controllo della spesa e l'efficacia dei servizi per i cittadini”.
 
Anche in questo caso viene ulteriormente richiamato un rafforzamento del sistema di monitoraggio circa l'effettiva erogazione dei Lea, spiegando che il livello centrale svolgerà "non solo una funzione di verifica, ma, quando necessario, anche di supporto, servizio ed affiancamento per le Regioni". Si torna a parlare anche di ticket. Più in particolare, riguardo i Lea, si parla di una loro revisione straordinaria a partire dal 1 gennaio 2007. Per le Regioni in disavanzo viene istituito un Fondo transitorio il cui accesso è vincolato alla sottoscrizione di un Piano di rientro che dovrebbe contenere non solo indicazioni di carattere economico finanziario, ma anche relative all'erogazione dei Lea.
Sul territorio, per favorire la continuità delle cure, si promuove l'integrazione dei medici di famiglia tra loro e con la realtà distrettuale, con i medici della continuità assistenziale e con quelli del 118, anche allo scopo di migliorare le varie forme di assistenza domiciliare. Sempre riguardo i medici di medicina generale, si conviene di intensificare le iniziative volte ad una loro responsabilizzazione sul versante dell'appropriatezza prescrittiva.

L’ultimo Patto. Dicembre 2009: crescono ancora le risorse per il Ssn
Infine, arriviamo all'ultimo Patto per la Salute, quello sancito il 3 dicembre 2009 e valido per il triennio 2010-2012. Presidente del Consiglio è ancora una volta Silvio Berlusconi, giunto al suo IV governo, mentre al ministero della Salute troviamo Ferruccio Fazio.
Il livello del finanziamento al Ssn è di oltre 104 mld di euro per il 2010 e 106 per il 2011. Per il 2012, invece, lo Stato si impegnava a incrementare del 2,8% il finanziamento rispetto al 2010.
Si sancisce l'avvio di un sistema di monitoraggio dei fattori di spesa e sullo stato dei servizi sanitari regionali, e quanto ai Piani di rientro regionali, si parla di una "rivisitazione, potenziamento e semplificazione" del meccanismo del commissariamento. All'esito della verifica, in caso di disavanzo non coperto, si stabilisce che andranno confermati non solo l'innalzamento delle aliquote Irpef e Irap, ma andrà potenziato il blocco del turnover e il divieto di effettuazione di spese non obbligatorie.
Si passa infine alla razionalizzazione della rete ospedaliera: le Regioni - si scrive - si impegnano ad adottare provvedimento di riduzione dello standard di posti letto ospedalieri accreditati non superiore a 4 posti letto per mille abitanti, comprensivi di 0,7 posti letto per mille abitanti per la riabilitazione e la lungodegenza post-acuzie. 

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