quotidianosanità.it

stampa | chiudi


Venerdì 08 AGOSTO 2014
Grassi saturi: non tutti sono da evitare?

I risultati dello studio EPIC-InterAct suggeriscono che alcuni acidi grassi saturi, in particolare quelli contenuti nei latticini, potrebbero non solo non essere pericolosi, ma addirittura proteggere dall’insorgenza del diabete. I diabetologi italiani invitano tuttavia a prendere questi risultati con molta prudenza.

Il solo termine ‘grassi saturi’ evoca scenari di danni per la salute, senza appello. I consigli dietetici attuali prevedono che la quantità di acidi grassi presenti in una dieta equilibrata non dovrebbe superare la soglia del 10% o addirittura del 7% dell’apporto calorico giornaliero totale. E questo per il bene della salute cardiovascolare, ma anche per prevenire la comparsa di diabete di tipo 2. Al momento tuttavia non sono molte le evidenze che confermino il ruolo causale degli acidi grassi saturi (SFA) nella comparsa di diabete di tipo 2 e addirittura, il Women’s Health Initiative Diet Modification Trialnon è riuscito a dimostrare che contenere l’apporto di SFA serva effettivamente a ridurre l’incidenza di diabete. Per contro, sono sempre più numerosi gli studi che suggeriscono che il consumo di latticini, tipicamente ricchi di SFA, potrebbe avere un effetto protettivo contro l’insorgenza di diabete. E questo ha sollevato dubbi in merito al fatto che tutti gli acidi grassi saturi siano effettivamente dannosi per la salute.
 
Le evidenze circa l’associazione tra acidi grassi saturi (SFA) e diabete di tipo 2, come visto, sono discordanti. Per tale motivo i ricercatori dello studio EPIC-InterAct (allo studio hanno preso parte anche diversi centri italiani), appena pubblicato su <a href="\" _cke_saved_href="\" http:="" www.thelancet.com="" journals="" landia="" article="" piis2213-8587(14)70146-9="" abstract"="" target="\" _blank\""=""><em>Lancet Diabetes Endocrinology</em> </a>hanno cercato di individuare in maniera oggettiva, in uno studio longitudinale caso-coorte, il rapporto tra fosfolipidi degli SFA plasmatici e comparsa di nuovi casi di diabete di tipo 2. Lo studio ha preso in esame una coorte di oltre 12 mila persone con diabete di tipo 2 incidente e un gruppo di oltre 16 mila persone selezionate da una coorte di 340 mila cittadini europei (studio EPIC). Sono stati individuati i casi di diabete di nuova insorgenza, fino al 31 dicembre 2007 ed è stata valutata in questi soggetti e nei controlli la distribuzione degli acidi grassi nei fosfolipidi plasmatici mediante gascromatografia. I ricercatori hanno evidenziato che i diversi SFA dei fosfolipidi plasmatici risultavano associati alla comparsa di nuovi casi di diabete in modo contrastante, fatto che dimostra che non tutti i SFA sono uguali e dall’effetto univoco. Questo suggerisce l’importanza di non fare di tutta l’erba un fascio e di analizzare in modo accurato i vari sottotipi di acidi grassi. Secondo i ricercatori dell’EPIC è inoltre indispensabile approfondire le conoscenze in merito alle diverse fonti dei vari acidi grassi, di quelli della dieta, rispetto a quelli di produzione endogena. <br> Dallo studio in particolare, che ha analizzato separatamente nove diverse classi di acidi grassi saturi, emerge una correlazione tra incidenza di diabete di tipo 2 e acidi grassi saturi a numero di ‘pari’ di atomi di carbonio (es. 14:0, 16:0, 18:0); al contrario quelli con catena a numero ‘dispari’ (es. 15:0, 17:0), presenti soprattutto nel latte e derivati, e quelli a catena più lunga (es. 20:0, 22:0, 23:0, 24:0) sembrava avere un effetto protettivo sull’insorgenza di diabete. In altre parole, i vari acidi grassi hanno un diverso impatto metabolico. I grassi saturi presenti nei prodotti caseari, come già suggerito da recenti studi, potrebbero avere dunque un effetto protettivo contro il diabete, anche e gli autori ricordano che anche la presenza di calcio e vitamina D potrebbero spiegare questo effetto benefico. <br>   <br> “Questo lavoro – commenta il professor <strong>Enzo Bonora</strong>, Presidente della Società Italiana di Diabetologia - sostiene la grande complessità che esiste nelle relazioni fra il modo in cui mangiamo e il modo in cui il metabolismo del singolo individuo modula l’impatto della nostra alimentazione sullo stato di salute. Il lavoro, come molti altri in letteratura, mostra segnali deboli e in parte contrastanti su relazioni fra specifici componenti della dieta (es. prodotti caseari) e rischio aumentato o ridotto di diabete. Da questo lavoro non possono essere distillati messaggi nutrizionali diversi da quelli già noti. Il principale di questi, in termine di prevenzione del diabete è semplicissimo: dobbiamo mangiare un po’ di meno e consumare un po’ di più facendo un po’ più movimento”. <br>   <br> <strong><em>Maria Rita Montebelli</em></strong></p>

© RIPRODUZIONE RISERVATA