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Lunedì 06 OTTOBRE 2014
Hiv. Otto italiani su dieci non si sentono a rischio di contrarre il virus

Inoltre, solo il 3% ritiene che il test dell’Hiv sia impiegato come strategia preventiva. Permangono stigma e barriere sociali. Migliora la consapevolezza dell’importanza dei farmaci nel controllare l’infezione, ma viene richiesta più informazione sulla malattia in generale. Questi i risultati di una ricerca GfK Eurisko realizzata con il supporto non condizionato di Gilead.

Otto italiani su 10 non si sentono a rischio di contrarre l’Hiv perché confidano nelle proprie abitudini e comportamenti e il 90% ritiene che avere rapporti sessuali protetti sia il metodo più efficace per non contrarre l’infezione, mentre una quota residuale (circa il 17%) ritiene invece che il modo migliore per prevenire l’infezione sia non avere contatti con le persone sieropositive. Questi sono alcuni dei dati emersi dalla ricerca GfK Eurisko, con il supporto non condizionato di Gilead, che ha coinvolto oltre mille soggetti in tutta Italia e che ha inteso indagare le conoscenze degli italiani sull’Hiv, sugli strumenti di prevenzione e sulle possibilità terapeutiche, ma anche sulla percezione del rischio di contagio e sulla rappresentazione della persona con HIV nella società odierna.

L’Hiv/Aids oggi in Italia
Emerge un quadro contraddittorio della rappresentazione dell’Hiv/Aids oggi. Se da un lato non si sentono a rischio personale, il 60% degli italiani pensa sia comunque facile contrarre il virus dell’HIV, perché questo riguarda prevalentemente i tossicodipendenti, le persone con relazioni promiscue e gli omosessuali. Emerge qui una ulteriore contraddizione: mentre dalla ricerca risulta che solo per 2 italiani su 10 la categoria degli eterosessuali è a rischio di contagio, l’epidemiologia dimostra che tra i nuovi infetti la maggioranza relativa sono etero (oltre il 40%).
“Questi risultati dimostrano quanto oggi la percezione del malato di Hiv sia ancora legata a stereotipi e false credenze dovute probabilmente a carenza di informazioni”, ha commentato Isabella Cecchini, Direttore del Dipartimento di ricerche sulla salute di GfK Eurisko. “Carenza di informazioni che rischia di penalizzare soprattutto i più giovani, che per scarsa conoscenza e consapevolezza arrivano a ghettizzare, in 9 casi su 10, i malati di HIV nella categoria dei tossicodipendenti - ha continuato Cecchini -. Anche questo conferma che nonostante siano passati trent’anni, si tende ancora a considerare l’HIV come un problema che non ci tocca direttamente, e per paure - basate molto spesso su una conoscenza stereotipata della malattia e del paziente - si tende a rimuovere il rischio personale”, ha concluso Isabella Cecchini.


La consapevolezza dell’importanza della diagnosi precoce
Anche il test dell’Hiv rappresenta uno strumento molto importante, anche se sottovalutato, per individuare subito l’infezione e iniziare precocemente i trattamenti con antiretrovirali ma solo la metà degli intervistati (46%) lo indica come possibile strumento di prevenzione e controllo, mentre solo il 3% ritiene vi si faccia ricorso “Non va mai sottovalutata l’importanza della diagnosi precoce dell’infezione. E’ infatti dimostrata la correlazione tra l’inizio delle terapie e l’incremento della durata della vita e la riduzione di comorbilità, perciò è importante favorire una diagnosi precoce, oltre che garantire l’accesso alle terapie antiretrovirali innovative - ha dichiarato Andrea Antinori, Direttore Malattie Infettive all'INMI Lazzaro Spallanzani di Roma -. Si stima che nel mondo solo la metà delle persone con Hiv sia a conoscenza del proprio stato. In Italia, su oltre 120mila persone con diagnosi di HIV/AIDS, il 15-20% non è al corrente della propria sieropositività. Nel 2012 almeno il 50% di nuovi casi di infezione diagnosticati erano già in fase avanzata della malattia”.


Stigma e barriere sociali
Lo stigma pare essere onnipresente come in passato tanto che 2 italiani su 3 hanno affermato che si sentirebbero a disagio e con non poche preoccupazioni a frequentare una persona con Hiv. Quindi il malato di Hiv è solo apparentemente accettato: lo stigma e la paura, legati a false credenze e mancanza di informazione, sono ancora molto presenti nelle percezioni degli italiani. Inoltre, sembra che la persona sieropositiva debba far fronte a barriere sociali in diversi ambiti, non solo nella sfera personale ma anche in quella lavorativa. Secondo gli italiani le persone sieropositive sono oggi molto discriminate nei rapporti sociali (74%), sul luogo di lavoro (71%) e nei luoghi di divertimento (55%). A risentire di queste barriere sociali anche i diritti del paziente: il 66% degli intervistati crede che il datore di lavoro sia legittimato a richiedere ai propri dipendenti il test Hiv mentre 7 su 10 ritengono che la persona con Hiv debba sempre dichiarare il suo stato di sieropositività.
Solo 1 italiano su 3 si sente sicuro a rapportarsi con i malati di Hiv, e il 60% di chi dichiara questo conosce personalmente un paziente. Probabilmente più si conosce da vicino la malattia e il malato più aumenta la consapevolezza del reale stile di vita delle persone sieropositive, quindi vengono sfatate tutta una serie di false credenze. “Da una maggiore conoscenza e consapevolezza può nascere una rappresentazione più realistica del sieropositivo, che viene visto come una persona normale, con una propria vita sociale, pienamente attivo nel proprio contesto di riferimento”, ha commentato Rosaria Iardino, Presidente onorario di Network Persone Sieropositive (NPS) Italia Onlus.


L’importanza dell’innovazione farmacologica nel cambiare la rappresentazione del destino della malattia
Il 74% degli intervistati è consapevole che l’HIiv non è curabile ma può essere tenuto sotto controllo con i farmaci e solo 1 su 3 (32%) ritiene che siano accessibili. “L’innovazione terapeutica ha avuto un ruolo fondamentale nel modificare il decorso clinico del paziente con HIV: da quando sono state introdotte le terapie antiretrovirali nel nostro Paese (1996), l’incidenza dell’Aids e il numero di decessi l’anno sono progressivamente diminuiti. Oggi possiamo contare su nuove terapie monodose, più tollerabili e con meno effetti collaterali rispetto al passato, che hanno permesso di controllare la malattia nel lungo periodo, trasformando l’Hiv/Aids in malattia cronica, al pari di diabete, disturbi respiratorie e cardiopatie. Inoltre, hanno determinato un incremento anche nell’aspettativa di vita, oggi allineata alla sopravvivenza media, mentre 30 anni fa il tasso di letalità dell’AIDS era vicino al 100% (oggi si attesta al 5,7%)” ha chiarito Giovanni Di Perri, Professore ordinario di Malattie Infettive dell'Università degli Studi di Torino.


Il vuoto d’informazione
Il bisogno di informazione della popolazione resta insoddisfatto: 9 italiani su 10 hanno sentito parlare di Hiv, ma non di recente, e il 75% ritiene che il tema sia poco trattato e vorrebbe che fosse più affrontato soprattutto nelle scuole (79%), sui mass media (66%), ma anche dal medico (54%).
“La responsabilità di questa carenza di informazioni è da ricondurre alle Istituzioni politiche – ha affermato con forza Rosaria Iardino -. Da anni non si sente più parlare di HIV: a risentirne sono gli adolescenti, che si apprestano alle prime esperienze sessuali, e i giovani adulti eterosessuali che rappresentano oggi la popolazione a maggiore rischio di contrarre l’infezione. E’ sottovalutato l’effetto positivo di campagne di sensibilizzazione mirate, strumenti essenziali per formare una coscienza diffusa del rischio e dell’importanza della prevenzione”. 

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