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Lunedì 27 OTTOBRE 2014
Censis. Quasi cinque italiani su dieci bocciano i servizi sanitari regionali. Colpa delle liste d’attesa

E la percentuale degli insoddisfatti sale soprattutto al Sud. Per il 45% degli italiani il ticket è una tassa iniqua e per il 35% i farmaci garantiti dal Ssn sono insufficienti Gli Italiani sono anche sempre più informati, ma rassegnati al “fai da te”. È quanto emerge dal Monitor Biomedico 2014 presentato oggi a Roma

Peggioramento del Servizio sanitario nazionale e Paese spaccato. È molto diffusa la percezione che la qualità dell’assistenza sanitaria pubblica si vada riducendo, con punte di grave malcontento nelle regioni meridionali. Il 49% degli italiani giudica inadeguati i servizi sanitari offerti dalla propria regione, ma la percentuale si riduce significativamente al Nord-Est (27,5%) e aumenta nettamente al Sud (72%). Seppure la maggioranza degli italiani ritiene che il Servizio sanitario della propria regione sia rimasto uguale negli ultimi due anni, in particolare al Nord-Est (70%), il 38,5% rileva un peggioramento, e ad avere questa opinione sono soprattutto i residenti del Mezzogiorno (46%).
 
 
È quanto emerge dal Monitor Biomedico 2014, realizzato dal Censis nell’ambito delle attività del Forum per la Ricerca Biomedica, presentati oggi a Roma da Ketty Vaccaro, Responsabile del settore Welfare del Censis, e discussi da Carla Collicelli, Vicedirettore del Censis, Giuseppe De Rita, Presidente del Censis, e Massimo Scaccabarozzi, Presidente di Farmindustria.
 
 
Un’indagine che fa il punto sulle questioni chiave della sanità italiana evidenziando che l’aspetto che pesa più negativamente nel rapporto con le strutture sanitarie pubbliche è la lunghezza delle liste d’attesa: è l’opinione del 64% degli italiani. Negativo è anche il giudizio sulla chiusura dei piccoli ospedali: il 67% si dichiara contrario, perché costituiscono un presidio importante (44%). Cresce la quota di coloro che reputano negativa l’attribuzione di maggiori responsabilità alle regioni (il 36% di oggi contro il 30,5% del 2012).
 
L’impatto della crisi e l’aumento del “fai da te”. A causa della crisi, nell’ultimo anno il 53% degli italiani si è rassegnato a sopportare tempi di attesa più lunghi per effettuare analisi, visite e cure mediche nelle strutture pubbliche. Ed è aumentato il “fai da te”: il 48% si è rivolto direttamente al privato per effettuare analisi, visite e cure a causa delle liste d’attesa, il 35% si è rivolto al privato per ricevere prestazioni di migliore qualità, e due terzi degli italiani hanno sostenuto spese di tasca propria, in particolare per il ticket sui farmaci (66%) e sulle visite specialistiche (45,5%), o per le prestazioni odontoiatriche private (45,5%).
 
Le malattie che fanno paura e l’importanza della prevenzione. Le malattie che fanno più paura sono i tumori (63%), seguiti dalle patologie che provocano la non autosufficienza (31%), quelle cardiovascolari (28%) e quelle neurologiche (26%). Anche a questo proposito aumentano le forme di autoregolazione: per mantenersi in buona salute, il 44% della popolazione dichiara di seguire una dieta sana e il 19,5% vorrebbe farlo, ma non ci riesce. La prevenzione coinvolge una parte consistente di italiani: il 43% effettua controlli medici una o due volte all’anno, mentre il 14% li effettua ancora più spesso.
 
L’informazione sulla salute corre sul web. Più del 70% degli italiani si ritiene molto o abbastanza informato sulla salute, ma cresce la quota di coloro che temono il rischio della confusione causata dalle troppe informazioni (il 54,5% contro il 41% del 2012). Il medico di base rimane la fonte di informazione più consultata dagli italiani (73%), seguito dallo specialista (27%). Ma cresce il ruolo dei media. La percentuale di italiani che almeno qualche volta traducono in comportamenti le informazioni sulla salute acquisite da tv, radio, giornali, internet è passata dal 30% del 2012 al 48% del 2014. Si tratta più frequentemente dell’acquisto di integratori e vitamine (35%) o farmaci (25%), ma anche di modifiche al proprio stile di vita (26%). A utilizzare internet come fonte di informazione sanitaria è ormai il 42% degli italiani. Di questi, il 78% usa il web per informarsi su patologie specifiche, il 29% per trovare informazioni su medici e strutture a cui rivolgersi, il 25% per prenotare visite, esami o comunicare tramite e-mail con il proprio medico.
 
Il rapporto medico-paziente tra obbedienza e empowerment. Gli italiani hanno fiducia nei medici, ma l’aderenza alle prescrizioni da parte dei pazienti varia a seconda della gravità della patologia. Nel caso di malattie gravi, nel 90% dei casi le prescrizioni del medico vengono seguite scrupolosamente nelle dosi e nella durata. Se la malattia è meno grave, invece, aumentano l’empowerment, le decisioni soggettive e l’autogestione: la percentuale di coloro che rispettano alla lettera le indicazioni del medico scende al 57%.
 
Il rapporto con i farmaci: grande fiducia, ma critiche al ticket e alla copertura pubblica. Gli italiani attribuiscono ai farmaci un ruolo importante sia nella lotta alle malattie (per il 37% la finalità principale delle medicine è proprio quella di guarire dalle patologie), sia rispetto alla gestione delle cronicità, visto che il 21% ritiene che i farmaci abbiano un ruolo importante nel miglioramento della qualità della vita dei pazienti e nel garantire la possibilità di convivere a lungo con le malattie croniche. Per il 15,5% i farmaci devono svolgere una funzione di prevenzione delle malattie e per il 7% devono sconfiggere per sempre le patologie mortali. Il giudizio sul livello di copertura farmaceutica garantito dal Servizio sanitario nazionale è in prevalenza positivo, ma aumentano coloro che reputano insufficienti i farmaci garantiti dal Ssn: il 35% oggi contro il 31% del 2012. Il ticket è una tassa iniqua per il 45% degli italiani, uno strumento inutile per il 22% e solo il 33% ritiene che sia uno strumento utile per limitare l’acquisto di farmaci. Il 42% degli italiani ha comprato più frequentemente i farmaci generici rispetto a quelli con marchio commerciale nell’ultimo anno, ma il 45% dichiara di preferire il farmaco di marca (contro il 35% del 2012).
 

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