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Giovedì 13 NOVEMBRE 2014
Pazienti e farmaci. Chi dimentica di assumerli, chi sbaglia il dosaggio, chi è allergico. Allarme di Cittadinanzattiva sull'"aderenza terapeutica"

Un paziente su cinque dimentica di assumere la terapia, uno su sette sbaglia il dosaggio del farmaco. Due su dieci sono costretti a mettere in standby le cure farmacologiche per reazioni allergiche o perché sono inefficaci. Soprattutto i pazienti si fidano ancora poco dei farmaci equivalenti, mentre sui farmaci biologici e biosimilari regnano ancora incertezza e confusione. L'INDAGINE

A scattare la fotografia del “rapporto” tra farmaci e pazienti con patologie croniche è l’“Indagine civica sull’esperienza dei pazienti rispetto all’uso dei farmaci, con focus su biologici e biosimilari”, presentata oggi da Cittadinanzattiva attraverso il Coordinamento nazionale delle Associazioni dei Malati Cronici (CnAMC). Obiettivo: approfondire quanto i pazienti sanno delle terapie che assumono, quanto sono informati su farmaci biologici e biosimilari, quali sono i loro bisogni informativi, i dubbi, le richieste inespresse e tutti gli elementi che in qualche modo possono ostacolarne il successo.
 
L’indagine – condotta fra agosto ed ottobre 2014 tra 619 pazienti con patologie croniche appartenenti ad Associazioni aderenti al CnAMC il 47,5% dei quali è affetto da malattia di Crohn e colite ulcerosa, il 18,5% da malattie renali, il 15,2% da ipertensione, il 13,2% da malattie autoimmunitarie e reumatologiche, il 10,6% da psoriasi e il 10,5% da malattie oncologiche – dimostra che è arrivato il momento di “riconoscere alle Associazioni di cittadini e di pazienti il ruolo che meritano nei processi decisionali nell'ambito dell'assistenza farmaceutica pubblica, formalizzandolo anche nell'ambito del processo di riorganizzazione in atto dell'Aifa, come del resto già avviene in altri paesi europei e nella stessa Ema”.
 
Ma quali sono i dati emersi?
 
Adesione alla terapia a rischio.Oltre la metà dei pazienti intervistati assume dai 2 ai 3 farmaci al giorno (24,8 e 28,9%), il 10,5% anche più di quattro. All’incirca a un paziente su cinque accade di dimenticare di assumere la terapia, a uno su sette di sbagliare il dosaggio del farmaco.
Il 22% dichiara di essere stato costretto ad interrompere la terapia, per una media di 12 giorni, nella maggior parte dei casi a causa di una reazione allergica (22,6%), o perché risultata inefficace (20,4%); ma anche per i costi a carico dei cittadini (16,4%) o perché il farmaco non era disponibile in farmacia (14,5%). Una percentuale inferiore (10,8%) decide volontariamente di sospendere o non intraprendere la terapia prescritta, principalmente per scetticismo (56,5%), nel senso che la stessa non produce i risultati sperati o mostra più effetti collaterali che benefici, o perché la cura risulta difficile da seguire a causa di un numero di somministrazioni troppo elevato (13%), o ancora perché si tratta di terapie che se intraprese dureranno tutta la vita e che quindi scoraggiano il paziente (11,6%).
 
Mancanza di informazioni chiare.Per il 32,2% degli intervistati, infatti, le informazioni fornite dal prescrittore non sono state sufficientemente chiare. Tant’è che la decisione di sospendere la terapia è dipesa da una cattiva comunicazione tra medico e pazienti.
 
Difficoltà di prescrizione.Un altro problema, fortemente sentito è la difficoltà di prescrizione: in molti casi (12,9%) lo specialista prescrive il farmaco su ricetta bianca, ma una volta che il paziente ne chiede la trascrizione su ricetta rossa al Medico di Medicina Generale questi la rifiuta.
Per chi si sposta fuori dalla Regione di residenza i principali problemi da affrontare sono: acquistare il farmaco di tasca propria (46,6%), non sapere a chi rivolgersi per proseguire la terapia (17,7%) o di ricevere un secco no anche davanti ad una regolare prescrizione (15,5%).
I pazienti si dimostrano molto responsabili circa la necessità di comunicare tempestivamente eventuali reazioni avverse ai farmaci. Lo ha fatto almeno una volta il 50% degli intervistati, comunicandolo prevalentemente al Medico di Medicina Generale (52,7%) o allo specialista (52%).
 
Farmaci equivalenti, conosciuti ma non troppo. Circa 1 paziente su 4 sa che si tratta di un farmaco che costa meno rispetto a quello di marca e nella stessa percentuale affermano che è un farmaco simile, ma non uguale a quello di marca. Oltre il 30% li riconosce dal prezzo sapendo che costano meno del farmaco brand e dalla dicitura sulla confezione. Nella maggior parte dei casi sono informati dal medico o dal farmacista circa l’esistenza del farmaco equivalente, ma considerano quello di marca più efficace (33,4%) o sono influenzati dallo scetticismo di una parte di medici (30,8%) che sostiene che non sono uguali.Il risultato è che quasi la metà dei pazienti (47,3%) non cambierebbe la terapia che sta assumendo con quella equivalente o ha dubbi nel farlo (21,6%).
 
Focus su farmaci biologici e biosimilari
Nonostante biologici e biosimilari siamo il futuro delle terapie farmacologiche - secondo le stime nei prossimi anni su 100 farmaci almeno 48 saranno biologici con una percentuale che passerà dal 30% al 70% - emergono ancora molte incertezze e confusione sulla materia. Il 17,5% ignora completamente cosa sia un farmaco biologico e il 7% non ne ha mai sentito parlare.
Solo il 9% dei pazienti è a conoscenza della differenza tra i farmaci biologici e biosimilari. La maggioranza (oltre il 41%) non sa cosa sia un biosimilare e il 13,8%, invece, ritiene erroneamente che sia il generico del farmaco biologico di riferimento. Circa il 30% sa che il farmaco biologico è una sostanza biologica sintetizzata da una fonte biologica; il 20% che è un farmaco che fornisce solo l’ospedale ed ancora il 19% che è un farmaco molto costoso.
Quasi la metà dei pazienti coinvolti nell’indagine ha assunto un farmaco biologico (45,4%) e solo il 4% un biosimilare, ma ben il 38,6% non sa con certezza se il farmaco che sta assumendo sia biologico o biosimilare.
 
Chi assume un farmaco biologico è stato informato dal personale sanitario che si tratta di un farmaco sperimentato per la propria patologia (60,5%), sugli effetti collaterali che può avere (44,9%) o ancora sono stati avvisati sul fatto che in caso di reazioni avverse devono subito avvisare il medico (32,3%). Le informazioni fornite alla piccola percentuale di pazienti che sa di assumere un farmaco biosimilare riguardano, innanzitutto il nome del farmaco e la modalità di somministrazione (28,8%) e che il farmaco è stato sperimentato per la malattia del paziente (26,9%). Solo nel 7,7% vengono prospettate alternative terapeutiche.
 
Quello che sta più a cuore ai pazienti è innanzitutto il profilo di sicurezza ed efficacia del farmaco (59% per il farmaco biologico e 69% per il farmaco biosimilare) e i possibili effetti collaterali (circa il 48% per entrambe le categorie). Per quanto riguarda i biosimilari, la terza richiesta è il nome del farmaco e la sua modalità di somministrazione (41,88%).
 
L’assistenza che pazienti vorrebbero. L’indagine ha poi indagato sui desiderata dei pazientiin meritoall’assunzione di terapie farmacologiche. Il 37% vorrebbe non essere costretto a prendere tanti farmaci diversi; oltre il 35% vorrebbe assumere terapie che mostrino miglioramenti e non durino troppo a lungo; il 30% auspica terapie con meno effetti collaterali; il 23% desidera che il medico gli prescriva la cura in modo più chiaro, spiegando bene effetti e prospettive. C’è anche un 20% che vorrebbe che fosse lo specialista a prescrivergli il farmaco su ricetta rossa, senza dover ricorrere al medico di famiglia e nella stessa percentuale si lamentano di dover pagare di tasca propria.
 
“L’indagine civica indica alcune priorità sulle quali è necessario intervenire – ha affermato Tonino Aceti, coordinatore nazionale del Tribunale per i diritti del malato e responsabile del CnAMC – innanzitutto lavorare sui fattori che incidono negativamente sull’aderenza alle terapie, sia per garantire il più alto livello di salute della collettività, sia per contribuire alla sostenibilità del Ssn attraverso il miglior utilizzo delle risorse economiche a disposizione: le attuali criticità che caratterizzano la comunicazione (formazione e informazione) medico-paziente rispetto alle terapie; i costi diretti (in particolare i ticket ed i farmaci e parafarmaci in fascia C) e indiretti (permessi di lavoro, spostamenti, ecc.) che sostengono i cittadini; la burocrazia per prescrizione ed erogazione del farmaco; l’indisponibilità del farmaco, in farmacia ospedaliera e territoriale; l’imputazione dei budget tra i diversi professionisti e strutture”.
 
È inoltre importante lavorare sulla corretta informazione non solo al pazienti, ma anche ai professionisti sanitari per garantire un’assunzione e prescrizione consapevole e responsabile delle terapie. “Sarebbe necessario – ha aggiunto Aceti – garantire una maggiore e completa informazione sull’efficacia e sulla sicurezza delle terapie, sui possibili effetti collaterali, sul tipo di farmaco assunto (nome e modalità di somministrazione) sui costi della terapia, e in caso di sostituzione della terapia sulla motivazione che ha portato a questa scelta”.
 
Infine è necessario rafforzare ancora di più la farmacovigilanza attraverso il coinvolgimento dei cittadini, soprattutto rispetto alla opportunità di segnalare eventuali effetti avversi anche direttamente all’Aifa. Altresì è importante promuovere politiche e azioni volte a rafforzare e rilanciare il ruolo dei professionisti sanitari nella farmacovigilanza.
 

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