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Martedì 25 NOVEMBRE 2014
I giornalisti Casagit a convegno sull'appropriatezza in sanità. De Biasi (PD): “Il Ssn è ottimo ma ha bisogno di elementi di innovazione”

Tra questi, la presidente della Commissione Sanità del Senato, cita: la legge sulle professioni sanitarie e sulla responsabilità professionale, bilanciare il rapporto tra ospedale e territorio e maggiore prevenzione. De Biasi ne ha parlato in una tavola rotonda organizzata da Casagit dal titolo “Troppa sanità fa male, appropriatezza prescrittiva ai tempi della medicina difensiva”. 

Troppa sanità fa male perché produce una società medicalizzata che fa un ricorso eccessivo di diagnostici, terapie e riabilitazione, spesso in assenza di efficacia. È questa la conclusione a cui è giunta la tavola rotonda “Troppa sanità fa male, appropriatezza prescrittiva ai tempi della medicina difensiva” organizzata dalla Casagit la cassa di assistenza integrativa dei giornalisti in occasione del suo quarantesimo compleanno.
 
La tavola rotonda, ha spiegato il presidente della Casagit, Daniele Cerrato, vuole essere un ragionamento “sui danni e le conseguenza di una medicalizzazione eccessiva, sui pretesti – in buona o cattiva fede – per prescrizioni inutili e su come vorremmo fosse un giusto modello di sanità”. Un dibattito ha aggiunto Cerrato “spero non si concluda nello spazio di un mattino”.
 
La nostra società, ha spiegato ancora Cerrato è sempre più “medicalizzata” ovvero “affamata di molecole che promettono tante cose ma soprattutto una: la felicità in tante sfumature”. E questo modello di sanità, si è chiesto il presidente della Casagit “per quanto possiamo permettercelo?”.
 
Roberta Crialesi, dirigente del Servizio sanità, salute e assistenza dell’Istat ha esposto alcuni dati sui consumi sanitari in Italia per dare l’avvio al dibattito: “Nel contesto internazionale – ha detto Crialesi – l’Italia è in ottima posizione rispetto ai paesi avanzati per la maggior parte degli indicatori del sistema sanitario, sia per esiti di salute, spesa e accesso ai servizi sanitari, nonché per la qualità dell’assistenza”. La spesa delle famiglie per la sanità pur confermandosi con cifre importanti “è in calo rispetto al 2012: nel 2013 è stata di 27,593 miliardi contro i 29,245 del 2012 e i 29,557 del 2011. In un anno quindi il calo registrato è stato del 5,7%. Quello dei consumi sanitari è il calo più vistoso tra i consumi delle famigli che sono scesi in media del 2,5%”.
 
“Il buono stato di salute di cui gode la popolazione (solo il 7% dichiara di stare male) è legato a diversi fattori ma è anche il risultato di un’ampia accessibilità a trattamenti sanitari efficaci”. Sulla prevenzione, ha aggiunto Crialesi “aumenta la quota di quanti si sono sottoposti a controlli preventivi”. In particolare le donne sono più attente degli uomini e la propensione alla prevenzione è maggiore, maggiore è il livello di istruzione”. Aumentano poi anche le prestazioni extra-ospedaliere “in particolare mediche generiche e specialistiche, ad eccezione di quelle odontoiatriche, cresce l’accesso alla riabilitazione. Mentre si riducono i ricoveri ospedalieri per la razionalizzazione dell’offerta e il miglioramento dell’efficienza complessiva, ma anche per una maggiore appropriatezza e qualificazione delle cure erogate”.
 
Tra gli elementi di criticità “un italiano su dieci, nel 2013, ha rinunciato ad una prestazione sanitaria, pur ritenendo di averne bisogno. Questa – ha concluso Crialesi – non è una rinuncia generale a curarsi, ma è un segnale di vulnerabilità nell’accesso alle cure che riguarda i meno abbienti. Anche perché chi entra in contatto con il Ssn esprime soddisfazione per le prestazioni ricevute”.
 
“Di questi problemi la politica ne è a conoscenza”. Ha spiegato Emilia Grazia De Biasi, presidente della Commissione Igiene e Sanità del Senato che ha aggiunto come il “nostro sistema è rimasto l’unico a carattere universalistico in Europa. Si occupa di tutti erogando servizi attraverso la fiscalità generale”. Eppure ha bisogno di elementi di innovazione, tra questi la senatrice del Partito Democratico ha evidenziato il bisogno di “una legge sulle professioni sanitarie per combattere l’abusivismo, e di una legge sulla responsabilità professionale”. C’è poi bisogno di combattere la medicina difensiva perché sottrae soldi al Ssn che potrebbero essere reimmessi all’interno del sistema”. Altro elemento di innovazione passa poi per la revisione del rapporto “tra ospedale e territorio, perché da lì parte il governo delle cure appropriate. Invece di fare tagli lineari – ha aggiunto ancora De Biasi – si deve riconvertire la spesa”.
 
Infine la prevenzione “in Italia si fa pochissimo serve invece un cambio culturale, un cambio di mentalità sugli stili di vita. Perché occorre far capire che le malattie che mi posso evitare le devo evitare per evitare un costo sociale alla collettività”.
 
D’accordo sull’eccellenza del nostro Ssn il farmacologo e direttore Irccs Mario Negri, Silvio Garattini, “il nostro sistema è stato fondamentale perché ha contribuito al benessere del nostro Paese”. Questo però, ha avvertito Garattini, è anche un boomerang “perché si è creata la convinzione che ogni problema ha una soluzione e ciò ha creato una società medicalizzata”. I fattori che hanno spinto alla medicalizzazione sono essenzialmente “interessi economici, disinformazione ed esagerate promesse da parte di ricercatori e clinici” quindi determinando un’asimmetria tra promesse e aspettative.
 
Si è dunque creato un “grande mercato sanitario” dove “si vendono prodotti di ogni tipo oltre ai farmaci e ai dispositivi medici “anche gli integratori e i cosmetici,”. E questo mercato ha detto Garattini “che nel mondo vale 3 trilioni di euro, in Italia raggiunge la quota di circa 18 miliardi di euro, per arrivare a 25 se si aggiungono gli acquisti privati”.
 
La medicalizzazione, che il farmacologo ha ricordato riguardare anche “l’impiego di diagnostici, terapie e riabilitazione, spesso in assenza di efficacia”, si regge su affermazioni del tipo “al massimo non mi farà male”, oppure “se ha fatto bene ad altri farà bene anche a me”. In conclusione per il farmacologo è necessario “opporsi a questa forma di medicalizzazione che è il trionfo del mercato contro gli interessi di salute”.  
 
Se il mondo occidentale soffre di eccesso di salute, che come visto sfocia nella medicalizzazione, c’è una parte del mondo “dove la globalizzazione non è mai arrivata e dove si muore ancora di fame, di sete, di analfabetismo e di mancanza di fogne”. A dirlo è Aldo Morrone, presidente della Fondazione Ime, Istituto Mediterraneo Ematologia.
 
Che ha ricordato come “l’Occidente resta disinteressato ai veri problemi dell’Africa. In questo senso la lezione di Ebola è esemplare: mette a nudo tutto il disinteresse del nord del mondo che scopre alcune malattie solo quando teme di esserne contagiato”. Insomma adesso si parla tanto di Ebola, con i suoi quindici mila casi, ma “dimentichiamo che a causa della diarrea infantile, per fare un esempio, ogni anno muoiono circa due milioni di bambini. Se l’occidente investisse in servizi sanitari e nella lotta alla povertà non soltanto l’Ebola ma anche le altre malattie tropicali dimenticate sarebbero sconfitte”.
 
È opinione di Morrone che l’Africa “è rimasto il grande continente delle malattie infettive perché non si è ancora risolto il problema della povertà. Milioni di vittime sono causate da tubercolosi, malaria, leishmaniosi, colera e schistosomiasi”.
 
Dopo aver parlato di eccesso di cura, la seconda e ultima parte della tavola rotonda ha virato verso un altro “vizio” di cui soffre la sanità, e che non vive il paziente ma ne è vittima il medico ovvero la medicina difensiva. A illustrare il tema Giorgio Fraia, medico legale che l’ha definita “il prodotto di un cortocircuito tra l’atteggiamento burocratico ministeriale da un alto e ospedaliero dall’altro”. Il tema è noto, si prescrivono accertamenti in eccesso per fare diagnosi al di sopra di ogni sospetto in modo che si possa sostenere in un secondo tempi che non ci sono stati comportamenti errati o negligenti. Tutto questo però “non risolve il problema anzi. Più accertamenti si fanno – ha spiegato Fraia – più i medici legali hanno la possibilità di estrapolare e valutare dati per sostenere eventuali responsabilità e accertare profili di imperizia”.
 
Responsabilità in questo fenomeno sono però anche in capo a chi fa informazione che crea aspettative e “trasmette un messaggio sbagliato, ovvero che tutte le malattie sono curabili e i medici possono raggiungere risultati quasi miracolosi”. E se la medicina difensiva “è una questione mondiale, forse in Italia la situazione è oggettivamente più difficile anche per un atteggiamento della giurisprudenza particolarmente violento, per le aspettative eccessive nei confronti del personale medico e, infine, per singoli episodi utilizzati dai mass media per fare audience. Basterebbero piccole correzioni – ha concluso Fraia – per migliorare”. 

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