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Venerdì 12 DICEMBRE 2014
Tumore della mammella. E se gli ormoni da combattere fossero quelli 'maschili'?

Tre studi presentati al San Antonio Breast Cancer Symposium 2014, in corso negli Usa, dimostrerebbero infatti un importante ruolo degli androgeni nella progressione di alcune forme di tumore della mammella. Si apre la strada ad una nuova era di trattamento ormonale fino ad oggi basato sostanzialmente sul controllo degli estrogeni.

Se confermati, i risultati di tre studi appena presentati al più importante congresso dell’anno sul tumore della mammella, in corso in questi giorni a San Antonio (Texas), porteranno una rivoluzione nel trattamento di questo tipo di tumore per il quale è da tempo appurata l’efficacia della terapia ormonale. I trattamenti ormonali utilizzati fino ad oggi erano però mirati a ridurre la produzione degli estrogeni (inibitori delle aromatasi) o a bloccare i recettori ormonali presenti sulle cellule tumorali, per impedire loro di legarsi agli estrogeni (tamoxifene) nelle forme tumorali che esprimono i recettori per gli estrogeni (ER+).
 
Ma questi tre studi, presentati da ricercatori dell’Università del Colorado, suggeriscono una nuova ‘interpretazione‘ della terapia ormonale nel tumore della mammella. Al centro di queste ricerche non ci sono infatti gli estrogeni, ma gli androgeni, gli ormoni maschili.
 
Uno studio dimostra che bloccando l’azione dei recettori per gli androgeni, si riduce la crescita dei carcinomi della mammella ER+; un secondo studio ha dimostrato che molti dei tumori cosiddetti ‘tripli negativi’ (cioè quelli che non esprimono recettori per gli estrogeni, né per il progesterone, né per HER2/neu) sono in realtà dipendenti dall’attivazione dei recettori per gli androgeni. L’ultimo studio infine ha evidenziato che il trattamento con antiandrogeni, associato a quelli contro dei noti driver tumorali (HER2 o via di segnale mTOR), esercita un potente effetto sinergico che provoca la morte di un maggior numero di cellule tumorali.
 
“Siamo alla vigilia di una grandissima rivoluzione nel modo di trattare il tumore della mammella - ha affermato un’entusiasta Jennifer Richer, ricercatrice presso il CU Cancer Center e direttore del Richer Laboratory, dove sono stati prodotti questi risultati – Sappiamo da anni che la crescita del cancro della prostata è stimolata dagli androgeni, ma adesso è sempre più evidente che questi ormoni e i loro recettori sono in grado di influenzare anche molti tipi di cancro della mammella. I recettori per gli androgeni nel cancro della mammella sono addirittura più rappresentati dei recettori per gli estrogeni e per il progesterone. Colpire i recettori per gli androgeni nel cancro della mammella rappresenta dunque una strategia inedita per attaccare questo tumore.”
 
“Farmaci come il tamoxifene, nei tumori della mammella che esprimono recettori per gli estrogeni sono piuttosto efficaci – ricorda Nicholas D'Amato, del Richer Laboratory e primo autore di uno di queste ricerche - purtroppo la resistenza a questi trattamenti e le recidive rappresentano ancora un grosso problema”.
Studi condotti in passato hanno dimostrato che la presenza dei recettori per gli androgeni sulle cellule di cancro della mammella costituisce un importante predittore di resistenza al trattamento con tamoxifene, una terapia anti-estrogenica. Il lavoro di D’Amato dimostra che l’attivazione dei recettori per gli androgeni, ne provoca la ‘traslocazione’ nel nucleo della cellula, dove modulano alcune attività cellulari. E sembra che questa localizzazione dei recettori androginici nel nucleo rappresenti al conditio sine qua non per la crescita del tumore della mammella, in risposta allo stimolo estrogenico. Al contrario, farmaci come l’enzalutamide, che bloccano la localizzazione nucleare dei recettori per gli androgeni, sarebbero in grado di prevenire anche il legame degli estrogeni e dunque ridurrebbero la crescita e  la proliferazione delle cellule tumorali, dipendenti dagli estrogeni.
 
I tumori tripli negativi, che rappresentano circa il 15% di tutti i tumori della mammella, sono quelli a prognosi più sfavorevole perché non essendo stato individuato un ‘istigatore’ di crescita ormonale, non è possibile trattarli sbarrando in qualche modo la strada agli ormoni, che stimolano la crescita delle cellule dotate degli opportuni recettori.
Tuttavia, sebbene sia chiaro che la crescita di questi tumori non dipenda da estrogeni, progesterone, né al gene HER2, mancando i corrispettivi recettori sulle cellule tumorali, la loro crescita sarebbe comunque dipendente dagli ormoni. Valerie Barton, un’onco-biologa del Richer Laboratory, ha infatti dimostrato che la proliferazione di molti sottotipi di tumori della mammella tripli negativi dipende dalla presenza di recettori per gli androgeni. In particolare questi recettori regolerebbero la produzione dell’amfiregulina, una proteina nota per essere un driver di crescita tumorale. Anche in questo caso, l’impiego di anti-androgeni, come l’enzalutamide, attraverso il blocco dei recettori per gli androgeni, riduce la produzione di amfiregulina e uccide le cellule di tumore della mammella tripli negativi.
 
L’ultimo studio dimostra che l’impiego di anti-recettori per gli androgeni come l’enzalutamide, in associazione con trastuzumab (un farmaco anti-HER2) o con everolimus (un farmaco anti mTOR), nei tumori dipendenti rispettivamente dal gene HER2 o dalla via di segnale mTOR ,risulta molto più efficace che utilizzare i singoli farmaci separatamente. L’azione degli anti-androgeni è cioè sinergica a quella delle altre terapie e ne potenzia gli effetti.
 
“L’everolimus – commenta Gordon – dà importanti effetti collaterali che ne limitano l’impiego la nostra grande speranza è che, aumentandone l’efficacia d’azione, attraverso l’associazione con l’enzalutamide, sia possibile ridurre la posologia di entrambi i farmaci”.
E’ dimostrato inoltre che l’everolimus aumenta l’espressione dei recettori per gli androgeni e che questo potrebbe rappresentare un meccanismo attraverso il quale il tumore sviluppa resistenza a questo trattamento (cosiddetto meccanismo di escape o di fuga). Bloccando i recettori degli androgeni, unitamente alla via di segnale di mTOR, potrebbe consentire dunque non solo di bloccare la via che stimola la crescita dei tumori mTOR-dipendenti, ma anche il meccanismo di escape all’everolimus.
 
Maria Rita Montebelli

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