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Lunedì 29 DICEMBRE 2014
Ma le malattie possono essere considerate persone?

Perché tendiamo a dare personalità a virus o a cellule malate? Dalle invettive della Fallaci contro “l’Alieno” che l’avrebbe uccisa, alla trasformazione di Ebola in un’inquietante viaggiatrice “innamorata” delle sue vittime

Ma è giusto vivere una malattia che ci colpisce come fosse un’entità cosciente con una propria personalità con la quale interloquire e innestare una sorta di “sfida” o “battaglia” personale?
 
Quante volte leggiamo testimonianze toccanti di malati di cancro che “dialogano”, magari sui social, con il loro tumore, aggettivandolo o dandogli dignità di “persona”, con frasi tipo “non mi avrai”, oppure “ormai ti conosco e so quello che vuoi”, e così via?
 
Tra queste come non ricordare l’invettiva di Oriana Fallaci dopo l’intervento del 1992 per asportare il cancro alla mammella (male di cui sarebbe poi morta nel 2006) e che lei iniziò a chiamare “l’Alieno”?
 
Lo racconta lei stessa: "Dopo l' intervento, ho detto ai chirurgi: voglio vedere quello che mi avete tolto. È roba mia e la voglio vedere. Così mi hanno portato la cosa, questo grosso pezzo di Oriana, insomma 'lui'. Una cosa bianca, piccola e lunga. E ho cominciato a parlargli: tu, sporco bastardo. Oh, come lo odiavo. Lo insultavo. Gli dicevo: non permetterti di ritornare, hai lasciato dei bambini dentro di me?, ti ammazzerò, ti ammazzerò, non vincerai! I medici stentavano a crederci".
 
Questi pensieri mi sono venuti in mente rileggendo la lettera del medico italiano colpito dall’Ebola e il “bigliettino” d’auguri di Natale dello Spallanzani (dove il medico è ricoverato), firmato per l’appunto dal virus Ebola.
 
In ambedue i casi è evidente l’approccio personalizzante. Scrive il medico: “Non sono un eroe ma solo un soldato che si è ferito nella lotta contro un nemico spietato”. Nell’uso del termine “nemico” c’è indubbiamente un nesso col fatto incontrovertibile che l’Ebola sia un virus particolarmente aggressivo e letale, ma è giusto usare la parola “nemico”?
 
Nemico è chi, intenzionalmente, per atto di aggressione o per difesa da un’aggressione ricevuta, reagisce e combatte ponendosi in atteggiamento ostile. In sostanza nemico è colui che “nutre e manifesta profonda avversione e ostilità nei confronti di qualcuno o qualcosa”. Un virus può essere considerato tale? Lo è senz’altro in senso figurato, ma è indubbio che nelle parole del medico ricoverato trapeli quella tendenza alla personalizzazione della malattia di cui parlavamo.
 
Una personalizzazione totale e voluta, invece, (anche se in modo provocatorio) nel messaggio di auguri natalizi scritto da un infermiere dello Spallanzani che rende Ebola un’entità senziente e parlante “innamorata” delle persone contagiate, contrariata dagli sforzi dei medici e dei sanitari che vogliono impedire di farle “vivere questa storia d’Amore”. 
 
Penso che di fronte alla malattia ognuno abbia il diritto di costruire l’approccio che desidera. Tanto più se può essergli d’aiuto a sostenere cure, dolori e fatiche ad essa correlati.
 
Ma penso anche che, tutto sommato, questa personalizzazione non abbia molto senso. Come tutti, anch’io ho salutato amici cari e parenti morti per terribili malattie. Li ho visti consumarsi, lasciarci piano piano, con dolore ed evidenti trasfigurazioni nella loro personalità oltre che nel fisico. E anch’io, come tutti, ho maledetto quei giorni e quelle dipartite.
 
Tuttavia, mai ho pensato a quelle malattie terribili come un “nemico” e tanto meno come una “persona”, seppur aliena. Questa personalizzazione, questa necessità di trasformare cellule malate o virus in qualcosa di senziente e cosciente di sé, penso non sia altro che un’ulteriore manifestazione e riprova  della “non accettazione” dell’ineludibilità della nostra infinita fragilità organica e fisiologica e dell’altrettanto ineludibile condizione di esseri “a tempo”.
 
Con una data di scadenza che prima o poi scatterà, e la cui esistenza su questa terra resta pur sempre un episodio minuscolo in un tempo e in uno spazio assolutamente indifferenti al “naturale” infinito svolgersi della vita e della morte.
 
Cesare Fassari

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