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Martedì 20 GENNAIO 2015
Comma 566. Tutti dubbi dei medici fisiatri 

Il mal sottile del comma 566 significherà riproporre un solco rivendicativo tra medici e professioni sanitarie, una nuova tensione e separazione nei contesti di lavoro che ridurrà qualità, efficienza, efficacia nella presa in carico delle persone. Una fuga in avanti costituita probabilmente per giustificare la propria esistenza nella tanto desiderata “cabina di regia”

Professionalità specialistica, autonomia, ambiti di competenza, lavoro in team, sono state problematiche e condizioni particolarmente sentite dalla nostra associazione sindacale (SIMMFiR), a causa della pluralità professionale necessaria e della complessità del processo riabilitativo per produrre ed attuare la presa in carico della persona disabile. Abbiamo costantemente presidiato l’assioma che è il lavoro per obiettivi, concordati e condivisi all’interno di un team multidisciplinare/interprofessionale, che produce i migliori risultati di liberazione dalla disabilità.
 
È il motivo per cui i medici fisiatri e i medici specialisti in medicina fisica e riabilitazione hanno valorizzato la crescita professionale, l’interdipendenza, l’integrazione dei saperi di tutto il complesso mondo che si occupa della riabilitazione e della persona disabile. Volontà testimoniata dalle modalità con cui è stato elaborato l’aggiornamento delle LG per la riabilitazione (accordo Stato-Regioni del 7 maggio 1998, G.U. n.124 del 30 maggio 1998), con il nuovo Piano di indirizzo per la Riabilitazione (accordo Stato-Regioni del 10 febbraio 2011), ricercando la più ampia partecipazione delle società scientifiche, dell’associazionismo e dei professionisti sanitari.

Qui si ritrovano i princìpi, la metodologia e gli strumenti di lavoro del team riabilitativo e si chiarisce inequivocabilmente come e perché il medico fisiatra/specialista in medicina fisica e riabilitazione sia responsabile della diagnosi e terapia, sia responsabile del Progetto Riabilitativo Individuale e dei conseguenti Programmi Riabilitativi, che vengono successivamente attuati in autonomia dai professionisti sanitari partecipanti al Team (infermieri, OSS, logopedisti, fisioterapisti, terapisti occupazionali ecc).

Ora a minacciare questo mirabile sistema gestionale, organizzativo ed operativo interviene l’art. 1, comma 566 della Legge di Stabilità che intende parcellizzare l’atto medico trasferendo competenze mediche alle professioni sanitarie. La L. 42/1999, la 251/2000 e la 43/2006 sono risultate necessarie e funzionali all’applicazione della scienza medica riabilitativa, definendo ruoli e profili professionali consentendo una grande crescita formativa professionale, culturale e scientifica, e consentendo anche giuste aspirazioni sul versante manageriale ai professionisti sanitari. Nulla da eccepire quindi sulla necessità di migliorare la formazione e le competenze di tutti i professionisti sanitari (a quando l’infermiere specialista della riabilitazione?) ma se l’intendimento del legislatore e dei “gruppi di pressione” è modificare strutturalmente l’ambito della presenza medica nel SSN si troverà, per dirla con Carlo Palermo e Antonio Ciofani (ANAAO), “le risposte politiche, sindacali e giuridiche adeguate al livello dello scontro che si vuole aprire”.

Il mal sottile del comma 566 significherà in buona sostanza riproporre un solco rivendicativo tra medici e professioni sanitarie, una nuova tensione e separazione nei contesti di lavoro, un decadimento relazionale e fiduciario che ridurrà qualità, efficienza, efficacia nella presa in carico delle persone disabili e per quanto sopra accennato determinare professionisti sanitari di serie A, B, C. Difatti negli ultimi anni abbiamo assistito alla materializzazione delle conseguenze di un divario esistente tra le aspirazioni di una classe dirigenziale infermieristica (ben rappresentata dalla Senatrice On. Silvestro), le capacità-competenze-aspirazioni espresse dai professionisti sanitari (infermieri, tecnici di radiologia, fisioterapisti…) che quotidianamente svolgono la loro encomiabile attività assistenziale nei reparti ospedalieri, negli ambulatori, sul territorio e la normativa che ne regolamenta ruolo e profilo professionale.

In altri termini, si vuole sottolineare la rapidità temporale di un passaggio normativo che trasforma la professione infermieristica da un ruolo “ausiliario” ad un ruolo dirigenziale e ora anche azzardare trasferimenti di competenza medica all’area professionale, senza aver potuto assorbire e metabolizzare il passaggio di una formazione regionale tipicamente tecnico-professionale verso una formazione universitaria (diploma di laurea triennale e laurea specialistica quinquennale che delinea anche competenze manageriali). Il meccanismo della equipollenza ha sanato un’intera generazione di professionisti sanitari, che attualmente rappresentano la stragrande maggioranza del personale dipendente del SSN/SSR, cui pur tuttavia non corrisponde oggettivamente quella “cultura” manageriale, ma anche un linguaggio e una scrittura, compatibile con un ruolo dirigenziale. Generazione professionale che, acquisita dunque una forte competenza tecnico-professionale, sostiene l’attività assistenziale (ci riferiamo p.e. all’infermiere) verso la persona accolta nel SSN, attuando sostanzialmente tutti gli atti assistenziali di competenza, dalla somministrazione del farmaco alla igienizzazione perineale, con il supporto dell’Operatore Socio-Sanitario, con la consapevolezza, maturata sul campo, che il risultato dell’assistenza rivolta alla persona dipende dal lavoro di gruppo e non dalla parcellizzazione degli atti prestazionali.

Una fuga in avanti, l’art. 1, comma 566, costituita molto probabilmente per giustificare la propria esistenza e radicamento nella tanto desiderata “cabina di regia”, a scapito di una mancata oggettiva tutela di interi gruppi professionali, che sono rimasti ancorati ai provvedimenti legislativi non ancora attuati e che tante speranze (la legittima progressione di carriera e progressione economica) ha vanificato. Oggi l’infermiere professionale, quarantenne, diplomato in un corso regionale ed equiparato al laureato, con esperienza ventennale ed ancora molti anni di lavoro prima della pensione, vede molto poco accessibile una progressione di carriera, che passa ormai unicamente attraverso un ritorno nella filiera formativa per l’acquisizione di masters universitari per funzioni di coordinamento o laurea specialistica.

Generazione professionale che, infine, difficilmente sopporterebbe/accetterebbe un ulteriore carico di responsabilità per il trasferimento di competenze mediche (quali?), considerato il già pletorico carico di atti sanitari nell’ambito del termine “assistenza” infermieristica, a stessa busta paga. A ciò si aggiunge la buona consapevolezza del lavoratore sindacalizzato che il trasferimento di competenze mediche verso le professioni sanitarie, desiderato da alcune Regioni e sostenuto dai vertici dei Collegi, si produrrebbe non certo per valorizzare la professione e migliorare la qualità dell’assistenza sanitaria ma per limare, apparentemente ed ulteriormente, i costi di gestione.

Nel contesto della discussione che si sta sviluppando attorno l’art. 1, comma 566, così come rivendicato dal Presidente dell’IPASVI, aleggia ancora la questione dell’autonomia professionale. Intendiamo ricordare che per gli aspetti clinici rimane a responsabilità del medico la diagnosi e la terapia, ma anche il controllo e vigilanza su qualsiasi atto assistenziale: il direttore di struttura complessa ospedaliera/territoriale compreso il direttore delle cure primarie, ha la responsabilità del controllo e vigilanza su tutti gli atti assistenziali prodotti dal personale professionale assegnato, medici compresi. Autonomia professionale dunque che riguarda esclusivamente l’organizzazione del lavoro, pianificata e programmata dal coordinatore e dal dirigente infermieristico.

Concludendo riteniamo opportuno suggerire agli interlocutori del Ministero della Salute che, prima della ridefinizione dei profili professionali, della formazione specialistica delle professioni sanitarie ecc., sarà forse il caso di provvedere prioritariamente per:
- adottare la definizione dell’atto medico stabilita dalla UEMS,
- confermare diagnosi, cura e riabilitazione ad esclusività medica,
- definire con esattezza cosa s’intende per autonomia professionale
- mantenere l’accesso alla prestazione professionale, successiva alla prescrizione medica,
- individuare e demarcare chiaramente i confini della responsabilità individuale e d’equipe, clinica ed organizzativa,
- vincolare il datore di lavoro a contratti assicurativi esaustivi
- depenalizzare il reato di danno colposo alla persona
- trovare le soluzioni per istituire gli Ordini professionali
- modificare il percorso formativo e le competenze dell’OSS
- ridisegnare gli atti di indirizzo ministeriali e regionali in merito ai processi di presa in carico delle persone che accedono al sistema sanitario e socio sanitario alla luce dell’ICF, strumento ancora misconosciuto ai più, presumibilmente anche ai massimi rappresentanti delle professioni, se il livello della proposta normativa è l’art. 1, comma 566.

Silvano La Bruna
Vice-Segretario Nazionale Sindacato Italiano Medici di Medicina Fisica e Riabilitativa
Delegato ai rapporti con le discipline/professioni  

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