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Giovedì 29 GENNAIO 2015
Liberalizzazioni. Il vero pericolo è intaccare il diritto all’assistenza farmaceutica

Le farmacie sono oramai da tempo nello specifico obiettivo, giusto per soddisfare un luogo comune e una pretesa generalizzata che non stanno più in piedi, considerata la loro assottigliata remunerabilità imprenditoriale netta, quasi simile a quella dei tabaccai

Ho letto il recente lavoro "Valutazione di impatto della riforma delle farmacie" del mio amico Nicola Salerno, che stimo come studioso. Ho apprezzato molte delle sue riflessioni, soprattutto quelle di carattere ricognitivo, corredate - come sempre - da grafici puntuali.
 
Condivido meno le conclusioni cui è drasticamente pervenuto, che lasciano presumere due cose:
a) la sottostima del contributo professionale del farmacista che, per essere tale, deve avere certezza retributiva e, quindi, poter contare su bilanci appena favorevoli, del tipo quelli di oggi da ritenersi per i più borderline, attesi gli sconti praticati al SSN che assottigliano gli utili a valori percentuali minimi;
b) la non corretta valutazione di ciò che nel nostro Paese è l'organizzazione sanitaria reale, specie in quella parte circoscritta nel Mezzogiorno, ove il sistema della spedalità pubblica - cui Nicola Salerno ricondurrebbe addirittura un ruolo surrogatorio delle piccole farmacie verosimilmente destinate a chiudere per sua stessa ammissione - è di una precarietà allarmante.
 
In un periodo nel quale la politica ritarda ad elaborare le riforme strutturali, quelle vere, funzionali a produrre il cambiamento in linea con i dicta economici europei, diventa di moda utilizzare atteggiamenti mini-riformistici attraverso i quali conseguire i più plateali consensi. Quei consensi facili da conseguire attaccando le c.d. caste professionali, piuttosto che intervenire su quella politica che, di fatto, mantiene inalterati tutti i suoi scandalosi privilegi, ivi compresa spesso una certa impunità.
 
Le farmacie sono oramai da tempo nello specifico obiettivo, giusto per soddisfare un luogo comune e una pretesa generalizzata che non stanno più in piedi, considerata la loro assottigliata remunerabilità imprenditoriale netta, quasi simile a quella dei tabaccai.
 
Quanto all'attuale sistema della Salute, è ricorrente l'errore da parte di chi si accinge al suo esame critico di lasciarsi condizionare troppo dall'analisi comparata, ovverosia dal vezzo di importare istintivamente e asetticamente soluzioni rapite ad altri Paesi europei senza, con questo, considerare il diverso contesto nazionale di provenienza rispetto a quello di destinazione.
- Sono diverse le organizzazioni sistemiche;
- Sono diversi, se non del tutto assenti, i principi costituzionali di garanzia che peculiarizzano il nostro;
- Non sono presenti altrove le sensibili differenze sostanziali che si registrano nelle diverse realtà territoriali che compongono il nostro Paese, con vaste aree geografiche ove la garanzia dell'esigibilità dei Lea è ancora una illusione;
- Sono diverse l’orografia e la distribuzione delle realtà municipali, perché ivi è nutrita la proliferazione di piccoli comuni dislocati sulle Alpi e lungo l’Appennino con preoccupanti difficoltà viarie e assenza di un sistema del trasporto pubblico locale degno di questo nome. Un handicap, questo, che mette peraltro in crisi l'assistenza ospedaliera a causa dei chilometri di strada cattiva che separano i siti urbani periferici e/o rurali dai relativi presidi.   
 
Tutto questo rende impossibile ogni genere di comparazione, prima, e assimilazione, dopo. Una considerazione che ha fatto sì che il nostro Ssn soffrisse così come ancora soffre il passaggio dalle vecchie condotte "mediche" alla diversa assistenza sanitaria territoriale, quasi impossibile da rendere esigibile, così come si dovrebbe, ad oltre 30 anni dall'esordio del SSN, tanto da ritenerla quasi assente nei territori ove risiedono circa 30milioni di cittadini.
 
Quanto alle farmacie, meglio alla rete assistenziale di cui le stesse si rendono garanti da un cinquantennio, è appena il caso di sottolinearne la peculiarità normativa che le disciplina. Esse trovano cittadinanza nel regime concessorio attraverso il quale lo Stato, ieri, e le Regioni/Province autonome, oggi, assicurano alle rispettive collettività il Lea relativo per il tramite dei concessionari, le farmacie pubbliche e quelle private.
 
Sottrarre al servizio pubblico la titolarità del diritto/dovere di assicurare l'assistenza farmaceutica alla collettività nazionalesignifica demolire il sistema delle garanzie costituzionali ad esse connesse e la qualità delle prestazioni che, beninteso, vengono rese a cura dell'impegno professionale e degli investimenti produttivi che le medesime fanno per loro conto, senza incidere alcunché sull'economia pubblica, fatta eccezione per la esigua retribuzione in regime convenzionale.
 
Indebolire la redditività residua, che quanto alle vendite effettuate in regime convenzionale è assorbita da sconti a due cifre, comporterà la scomparsa degli attuali livelli assistenziali e la chiusura di numerose farmacie con un grave nocumento della entità e qualità dei servizi e delle prestazioni di primo livello assicurati alla popolazione, ovunque e comunque.
 
In relazione alle proposte in circolazione, è da anni che si parla di liberalizzazione delle farmacieovvero dell’allargamento dell’attuale offerta alle parafarmacie e alla GDO dei farmaci soggetti a prescrizione medica. Ciò nonostante le decisioni ostative pronunciate dalla Corte costituzionale e dalla Corte di Giustizia Europea, esempi di assoluta chiarezza interpretativa delle norme esistenti e della ratio vigente al riguardo nei Paesi UE che promuovo, a pieni voti, l'attuale status del nostro sistema di assistenza farmaceutica, ivi compresa la sua disciplina legislativa.
 
Si propongono proliferazioni di "venditori" e quorum al ribasso, a tal punto da non garantire alcuna sopravvivenza aziendale, supponendo così, erroneamente, di rendere più diffuso e puntuale il relativo servizio.
 Sono in tanti a dispensare al pubblico - nell'assoluto teorismo fine a se stesso - ricette utili per spendere meno, garantire una maggiore occupazione ed eliminare i privilegi che c'erano e che non ci sono più. Nessuno, tuttavia, si preoccupa di spiegare, meglio di dimostrare, come il servizio migliorerebbe, al di là di un settico incremento numerario degli esercizi. E ancora. Nessuno assicura che l’attuale sistema della farmacia rimarrebbe tale, con la sua efficienza e con la sua efficace performance. Illuminante in proposito è stato l'articolo di Fabrizio Gianfrate pubblicato ieri su questa rivista online.
 
Tutto questo, nonostante che sia diffusa l’informazione scientifica sulla precarietà dei bilanci di un numero vastissimo di farmacie private ma anche pubbliche che, altrimenti, sarebbero state usate, piuttosto che essere cedute, dai Comuni per risanare i loro. Basti pensare che solo nella Capitale, per non dire ovunque, sarebbero a rischio di fallimento ovvero in condizioni di accesso alle procedure concorsuali un numero inimmaginabile di farmacie.
 
L’allargamento dell’offerta lato sensu metterebbe in pericolo tantissime aziende-farmacie, soprattutto quelle indebolite dalla sopravvenuta assurda concorrenza dei prezzi al ribasso, le più piccole e quelle distribuite nella periferia municipale oramai a verosimile rischio di sopravvivenza.
Non solo. Ucciderebbe nella culla quelle neonate, se consentite, per non dire della fine che farebbero le parafarmacie esistenti!
 
Prof. avv. Ettore Jorio
Docente di diritto sanitario all'Università della Calabria

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